Collegati con noi

Politica

Manovra, Conte porta a casa un mezzo accordo con Juncker. Di Maio e Salvini pensano alle misure per gli italiani

Pubblicato

del

Ci sarebbero massima attenzione e anche tensione dietro il silenzio dei vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini nelle ore immediatamente successive al punto di caduta uscito dal vertice di Bruxelles con Giuseppe Conte. Lo riferiscono in tarda serata fonti di governo. La scelta del premier di offrire alla Commissione Ue l’abbassamento del deficit fino al 2,04%, preoccuperebbe infatti i due partiti di governo, per il possibile impatto sulle misure “di bandiera” della manovra: reddito di cittadinanza e “quota 100” sulle pensioni. Tant è che i leader di M5s e Lega ora starebbero ragionando con il premier non solo sulla traduzione in atti concreti nella manovra di numeri e cifre ma anche sulle modalità della presentazione di queste nuove misure. Conte ha subito rassicurato, nelle dichiarazioni alla stampa, che ci sono i margini per ridurre lo stanziamento senza intaccare i due interventi. Altre risorse, ha detto, verranno da dismissioni immobiliari. Ma a Roma speravano che l’asticella del deficit potesse fermarsi un po’ piu’ su, anche per non dare un segnale politico di cedimento. Anche perché passare dal 2,4 ad un quasi 2 comporta inevitabilmente una messa a punto di oltre 7 miliardi su una manovra complessiva di 36 miliardi. E il tweet di Salvini, che arriva dopo le 22, rimarca la necessità di “mantenere gli impegni” oltre a evitare la procedura d’infrazione. Di Maio aveva twittato un messaggio di incitamento a Conte, a incontro con Juncker in corso, poi più nulla. Nel vertice serale a cena, presenti anche Giancarlo Giorgetti e Riccardo Fraccaro, si discute così proprio di come mantenere in concreto l’impegno preso da Conte e Tria senza impattare sulle misure (sembra vacillare, ad esempio, la promessa di fermare l’adattamento dell’eta’ per le pensioni all’aspettativa di vita). Le prossime ore, come sottolinea ancora Salvini, saranno ore di lavoro e trattativa, sia dentro che fuori il governo: entro il weekend l’eventuale accordo dovrà tradursi in emendamenti in manovra. E, sebbene venga minimizzato l’effetto che il taglio stimato da 3,5 miliardi avrà su pensioni e reddito, gli alleati di governo sottolineano che l’attenzione sarà massima. Al rientro da Bruxelles, Conte vede i due vicepremier in un ristorante in centro. Dove discutono di manovra, accordo possibile con Ue e come tenere in piedi le misure economiche bandiera di M5S e Lega.

Vanno via a piedi, alla spicciolata, al termine della cena, intorno alla mezzanotte. Sorrisi tesi e un silenzio per loro inusuale, i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini lasciano il ristorante del centro di Roma qualche secondo prima del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. E Salvini, il cappellino della protezione civile calcato sulla testa, rinvia al premier ogni domanda: “Parla Conte…”. Non solo la trattativa con Bruxelles prosegue ancora, ma le modifiche alla manovra per far scendere il deficit dal 2,4% al 2,04% sono da mettere nero su bianco. Percio’ Conte, accompagnato dai cronisti nel tragitto dal ristorante fino a Palazzo Chigi, distilla poche parole. E sui tempi per una eventuale intesa risponde soltanto “vediamo”. A cena Conte – che e’ tornato a Roma proprio per proseguire il lavoro nel governo sulla manovra – aggiorna Di Maio, Salvini, Riccardo Fraccaro e Giancarlo Giorgetti, sul tavolo di confronto del pomeriggio con Jean Claude Juncker. “Non sono previste” domattina nuove riunioni a Palazzo Chigi, risponde Conte a chi lo interpella. E a Bruxelles, aggiunge, tornerà nel pomeriggio “per il Consiglio europeo”, non per altro. Ma la partita non è affatto chiusa. Di Maio, intanto, non rompe il silenzio che ha tenuto dopo l’annuncio di Conte sul taglio del deficit. E Salvini, tornato a casa, si concede un selfie sui social con un messaggio ai suoi follower: “Un buon caffè e notte serena amici, vi voglio bene”. Nessun accenno ad altro. La cena “è andata bene”, assicura il premier. Clima tranquillo? “Sì certo”, risponde. Prossimo passaggio? “Ci riposiamo un po’…”. Ma su come proseguirà il lavoro per cambiare la legge di bilancio e provare a evitare la procedura d’infrazione, non aggiunge molto di più. Ai vertici di M5s e Lega ci sarebbe più di un timore su come saranno reperite le risorse per far calare il deficit, a partire dai tagli su quota 100 e reddito di cittadinanza. E ora sarà corsa contro il tempo per portare le modifiche in Parlamento e approvare la legge di bilancio prima di Natale: “Confidiamo di riuscire, così facciamo delle feste più contenti…”, dichiara il premier. Ma l’intesa con Bruxelles non è chiusa, la partita è ancora lunga: eloquenti sono i silenzi.

Advertisement

Politica

Zaia difende il matrimonio di Bezos a Venezia: “Striscioni contro? Una comunicazione sbagliata al mondo”

Pubblicato

del

Luca Zaia non ci sta. Le polemiche esplose attorno al matrimonio di Jeff Bezos a Venezia — tra striscioni di protesta con il nome sbarrato del fondatore di Amazon affissi sul campanile di San Giorgio e sul ponte di Rialto — vengono definite dal presidente della Regione Veneto “una comunicazione inaccettabile”. In un’intervista al Corriere della Sera, Zaia difende non solo l’evento, ma anche la vocazione storica e cosmopolita della Serenissima.

“Venezia non è mai stata il ‘vietato l’ingresso’”

Zaia respinge con fermezza l’idea che Venezia debba chiudersi ai grandi eventi o ai personaggi simbolo del capitalismo globale:
“La storia della Serenissima è fatta di apertura: abbiamo i fondaci dei tedeschi, dei turchi, il ghetto più antico del mondo. La nostra cucina è contaminata dalle spezie che arrivavano da ogni parte”, afferma il governatore.
Per lui, quegli striscioni rappresentano un messaggio globale fuorviante: “Non è solo l’opinione di una minoranza, ma l’immagine trasmessa da uno dei ponti più famosi del mondo”.

“Il turismo va regolato, non criminalizzato”

Zaia riconosce il problema del sovraffollamento turistico a Venezia, con picchi di 150 mila presenze giornaliere, ma sottolinea come le nuove tecnologie e i varchi limitati della città permettano di regolare i flussi, senza scadere in forme di protesta ideologica.
Il matrimonio di Bezos viene presentato come uno tra tanti eventi già ospitati in laguna, ricordando le nozze vip di Clooney, Salma Hayek, Elton John, fino all’ipotesi (provocatoria) di una presenza di Donald Trump.
Forse se Bezos non fosse vicino al presidente Usa, non sarebbe successo nulla”, è la sua stoccata polemica.

“Grazie ai ricchi, Venezia riceve fondi e attenzioni”

Zaia rivendica l’importanza economica del matrimonio in programma:
“Sono stati affittati cinque alberghi, trenta motoscafi, l’evento costerà tra i 20 e i 30 milioni di euro”, ricorda. E aggiunge: “Grazie a questi ‘ricconi’ siamo sostenuti da fondazioni estere che amano Venezia”.
Il governatore si dice preoccupato per il messaggio che arriva al mondo: “Che qualcuno sparerà ai turisti con pistole ad acqua? Che Venezia non è più ospitale?”.

“Rispetto per l’Anpi, ma gli americani nel ‘45 furono accolti a braccia aperte”

Zaia si mostra sorpreso anche dal coinvolgimento dell’Anpi nelle proteste, ma tiene a distinguere: “Ho massimo rispetto per la Resistenza e per la lotta al nazifascismo, che ci ha permesso di chiudere una delle pagine più nere della nostra storia”.
Poi conclude con una punta di ironia storica: “Chi è stato partigiano ha accolto a braccia aperte gli americani nel 1945”.

Continua a leggere

In Evidenza

Incontro sulla panchina, Meloni scruta le mosse di Trump

Pubblicato

del

Su una panchina di legno del Pomeroy Kananaskis Mountain Lodge, da soli, senza staff nelle vicinanze. Giorgia Meloni e Donald Trump si sono parlati prima della cena che ha sbloccato la dichiarazione del G7 sulla crisi tra Israele e Iran, e del ritorno anticipato del presidente americano a Washington. Non è stato l’unico incrocio tra i due a margine del summit, ma questo momento clou, alla fine di una giornata intensa, era atteso dalla premier per comprendere meglio la strategia del tycoon sul nuovo fronte di crisi in Medio Oriente, ma anche per affrontare una serie di altre questioni incalzanti, come Gaza, il braccio di ferro sui dazi fra Usa e Ue, e gli scenari della Nato. L’Ucraina è invece diventato l’indomani il tema principale della giornata conclusiva del summit, senza Trump ma con Volodymir Zelensky, che dopo la notte “tragica” vissuta da Kiev per gli attacchi russi ha ottenuto dagli alleati la conferma del sostegno, anche se sulle nuove sanzioni alla Russia gli europei ancora non mostrerebbero una linea comune.

Nell’album del G7 di Meloni c’è anche la foto dell’abbraccio alla figlia Ginevra con lei in Canada (“La mia forza più grande. Ovunque. Sempre”). Quelle politicamente più rilevanti sono quelle in cui è seduta accanto al presidente Usa, protesa in avanti verso l’interlocutore, i tacchi puntati sul pavimento. Del “bilaterale” reso noto da Palazzo Chigi, non sono arrivate comunicazioni dalla Casa Bianca. La premier ha ribadito l’importanza di un accordo commerciale transatlantico, e con cui ha discusso dei temi Nato, in vista del vertice della prossima settimana all’Aja. Incluso il percorso di aumento delle spese militari (Berlino e Londra sostengono la linea di spostare dal 2032 al 2035 il termine per il 3,5%). In un G7 dominato dalla crisi fra Teheran e Tel Aviv, la premier ha puntato la sua strategia sull’idea che un cessate il fuoco a Gaza possa portare alla de-escalation anche nel resto del Medio Oriente. Lo ha detto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nei giorni scorsi. E lo ha ripetuto anche a Trump.

Ma sia l’uno sia l’altro sembrano avere come priorità l’Iran. La dichiarazione dei leader chiusa con notevoli sforzi diplomatici cita sì la Striscia, ma inquadra “la de-escalation delle ostilità in Medio Oriente, incluso un cessate il fuoco a Gaza”, come risultato di una “risoluzione della crisi israeliana”. In attesa di un commento pubblico, in queste 48 ore di trattative e incontri a Kananaskis, Meloni ha dovuto anche fare i conti con le varie prese di posizione di Trump su Vladimir Putin possibile mediatore con l’Iran. Roma è rimasta spiazzata, al netto delle considerazioni di Matteo Salvini. Il presidente russo “dovrebbe mediare per concludere l’invasione dell’Ucraina”, ha tagliato corto l’altro vicepremier, il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Putin ha altri piani come dimostra la notte vissuta da Kiev, con “attacchi a infrastrutture civili e case, una tragedia”, come ha detto Zelensky arrivando a Kananaskis. Ogni imbarazzo nel resort fra le Montagne Rocciose è stato evitato dalla partenza anticipata di Trump.

Il presidente ucraino ha ricevuto le condoglianze dei leader. Nella sua agenda un incontro informale con i leader G7 e la sessione di lavoro dedicata a “un’Ucraina forte e sovrana” aperta ai Paesi invitati, al termine della quale non si è concretizza l’ipotesi di una riunione ristretta tra il leader ucraino con Italia, Francia, Germania e Regno Unito. Mettere pressione a Mosca perché decida di sedersi al tavolo è la richiesta di Zelensky: “Noi siamo pronti per i negoziati di pace e un cessate il fuoco incondizionato, è molto importante, ma per questo abbiamo bisogno di pressione” sulla Russia. Fino a quel momento ha bisogno di aiuti militari. Il Canada, intanto, ha annunciato un nuovo pacchetto di forniture (droni inclusi) da 2 miliardi di dollari, e nuove sanzioni a individui e compagnie russe, anche per contrastare la flotta fantasma di Mosca.

Continua a leggere

In Evidenza

Braccio di ferro sul terzo mandato, 7 giorni per l’intesa

Pubblicato

del

Ancora sette giorni: dopo l’apertura di Fdi che ha preso in contropiede il resto della maggioranza, la Lega ha chiesto più tempo per capire se mettere davvero nero su bianco una (ennesima) proposta per allungare la permanenza in carica dei presidenti di Regione. Perché sul terzo mandato, e sulle conseguenti scelte dei nomi da mettere in pista per le regionali d’autunno, manca ancora l’intesa politica – Forza Italia si dice totalmente contraria. E potrà arrivare solo dopo che si saranno parlati i leader. Un vertice ci potrebbe essere già giovedì al rientro di Giorgia Meloni dal G7 in Canada, pronostica qualcuno, anche se c’è chi non esclude che si possa andare all’inizio della prossima settimana. A ridosso della nuova scadenza per depositare emendamenti a un ddl dedicato ai numeri dei consiglieri regionali che resterebbe, nonostante le proteste delle opposizioni, il veicolo più veloce per modificare i mandati dei governatori. I leghisti restano guardinghi. Nessuno sa davvero dire se il via libera a una discussione sia “vera” o solamente “tattica”. Nel frattempo in Veneto, dove tornerebbe in gioco Luca Zaia, la Liga scalpita.

E all’unanimità lunedì hanno deliberato di fare partire la macchina della campagna elettorale, in un direttivo cui sembrava dovesse partecipare lo stesso Zaia (che poi invece era impegnato altrove). Anche i meloniani veneti sono in attesa. Per mesi hanno rivendicato gli ottimi risultati del partito e la stessa Meloni a inizio gennaio, a dire il vero, aveva chiarito che nella scelta del prossimo candidato governatore Fdi andava tenuta nel dovuto conto e fermando tutti i tentativi di allungare i mandati. Oggi lo scenario è capovolto. L’idea di un terzo (che poi sarebbe il quarto) mandato del “Doge” non è più così indigesto anzi, sembra una soluzione ben gradita, che potrebbe garantire la pax interna evitando, al contempo, di dover appoggiare un nuovo nome leghista. “Meglio altri 5 anni Zaia che 10 anni un altro”, come ad esempio il vicesegretario Alberto Stefani che sarebbe in pole, fanno notare diversi meloniani. Certo, i tempi sono strettissimi e c’è da superare il niet azzurro. Antonio Tajani l’ha detto chiarissimo, la Lega “può presentare l’emendamento che vuole, Forza Italia non lo vota”. Punto.

Ma in molti sono convinti che il no del segretario di Fi sia negoziale, per cercare di ottenere qualche risultato dal braccio di ferro tra Fdi e Lega, che sia il taglio delle tasse o la blindatura di Flavio Tosi come prossimo candidato sindaco a Verona. In attesa che sia sciolto questo rebus Alberto Balboni, presidente meloniano della commissione Affari costituzionali del Senato, ha accordato una settimana di tempo in più per presentare gli emendamenti al ddl sui consiglieri regionali, su cui però c’era una intesa con le opposizioni tanto da essere in sede “redigente”, cioè con un iter accelerato. Le opposizioni sono già pronte a presentare “migliaia” di emendamenti se dovesse arrivare anche la proposta sul terzo mandato che non rientrava “affatto” negli accordi. Una mossa “inaccettabile” per il presidente dei senatori dem Francesco Boccia, una “forzatura di una maggioranza divisa”, attacca anche la vicecapogruppo M5S Alessandra Maiorino. Peraltro un terzo mandato, osserva Balboni, andrebbe temperato con dei “contrappesi” come “maggiori poteri delle assemblee oggi praticamente ostaggio dei governatori”. Senza considerare che a ruota, e già ha posto la questione ad esempio Noi Moderati, arriverebbe la richiesta di superare il limite al numero dei mandati anche per i sindaci delle grandi città. Mentre imperversa la battaglia verbale sulle regionali, la maggioranza si divide al Parlamento europeo sulla mozione contro gli abusi sessuali sui minori (Fi vota sì, Fdi e Lega si astengono perché si dà troppo spazio a teorie “gender”) e fa un pasticcio alla Camera a Roma dove, per un dichiarato errore, passa all’unanimità una mozione di Italia Viva a prima firma di Maria Elena Boschi sulle misure per attrarre i ricercatori su cui il governo aveva dato invece parere contrario.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto