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Maido di Lima è il miglior ristorante al mondo secondo il 50 Best 2025. Cinque italiani nella top 50

Trionfo per il Perù. L’Italia si conferma tra le eccellenze mondiali con Lido 84, Reale, Le Calandre, Piazza Duomo e Uliassi.

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È Maido di Lima, in Perù, il miglior ristorante al mondo secondo la classifica The World’s 50 Best Restaurants 2025. Il ristorante guidato dallo chef Mitsuharu Tsumura, celebre per la sua cucina nikkei, ha conquistato il primo posto battendo giganti della gastronomia internazionale.

La top 3: tra Perù, Spagna e Messico

Sul secondo gradino del podio si piazza Asador Etxebarri di Atxondo, nei Paesi Baschi spagnoli, famoso per le sue cotture alla brace. Terzo classificato è Quintonil, il tempio della cucina messicana contemporanea a Città del Messico.

Cinque ristoranti italiani tra i migliori cinquanta

L’Italia si conferma protagonista assoluta della scena gastronomica mondiale, con ben cinque ristoranti presenti nella top 50:

  • Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia) al 16° posto

  • Reale di Castel di Sangro (L’Aquila) al 18° posto

  • Le Calandre di Rubano (Padova) al 31° posto

  • Piazza Duomo di Alba (Cuneo) al 32° posto

  • Uliassi di Senigallia (Ancona) al 43° posto

Un risultato che sottolinea la solidità e la creatività della cucina italiana d’autore, capace di coniugare tradizione e innovazione ai massimi livelli.

(NELLA FOTO ROMITO)

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La Mozzarella di Bufala Campana DOP conquista New York: tour tra showcooking e diplomazia commerciale

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Dopo aver percorso oltre 10.000 chilometri in due settimane, la Mozzarella di Bufala Campana DOP prosegue la sua missione di promozione internazionale approdando negli Stati Uniti, precisamente a New York, dove sarà protagonista di una tappa chiave del suo tour mondiale. Dopo il successo in Giappone, nell’ambito della missione della Commissione Europea, il Consorzio di Tutela sbarca ora al prestigioso “Summer Fancy Food Show”, la principale manifestazione agroalimentare del continente americano, che si terrà al Jacob K. Javits Convention Center dal 29 giugno al 1° luglio.

Il Consorzio parteciperà con una propria postazione (stand n. 2523), all’interno del Padiglione ufficiale dell’Italia, rappresentato ai massimi livelli dal presidente Domenico Raimondo e dal direttore Pier Maria Saccani. La presenza americana ha un peso strategico, soprattutto in un momento di forte incertezza per il mercato internazionale: i nuovi dazi doganali, infatti, sono stati temporaneamente sospesi dal presidente Donald Trump fino al 9 luglio, ma il settore rimane in allerta.

“Al di là dei numeri attuali, i dazi sono da scongiurare, perché penalizzerebbero le potenzialità di sviluppo del comparto negli Usa, soprattutto nel canale horeca, dove la mozzarella DOP è percepita come prodotto premium”, ha dichiarato il presidente Raimondo. Il mercato statunitense rappresenta oggi tra il 7% e il 10% dell’export totale della Bufala Campana, per un valore che sfiora i 20 milioni di euro, con ampi margini di crescita, soprattutto nel segmento della ristorazione di alta qualità.

Per rafforzare la presenza e l’identità del prodotto negli USA, il Consorzio ha messo a punto un programma ricco di eventi aperti al pubblico. Tra i più attesi, le filature dal vivo e le degustazioni al Farmers Market GrowNYC di Union Square, il mercato contadino più celebre della Grande Mela. Lì, il maestro casaro Mimmo La Vecchia incanterà newyorkesi e turisti mostrando la magia artigianale della produzione della mozzarella di bufala, in collaborazione con Coldiretti.

Una presenza che non è solo commerciale, ma anche culturale e diplomatica: la Bufala Campana DOP si conferma ambasciatrice del Made in Italy, con l’obiettivo di promuovere autenticità, qualità e tradizione, parlando direttamente al cuore (e al palato) dei consumatori americani.

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‘Micha’, lo chef del Maido di Lima che ha conquistato il mondo

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Da qualche ora Mitsuharu ‘Micha’ Tsumura, lo chef che nel 2009 ha fondato nel quartiere Miraflores di Lima, la capitale del Perù, il ristorante Maido, che ha vinto il 50 Best Restaurant, è di gran lunga il peruviano più celebre del paese sudamericano. Arrivare primi nella classifica annuale dei cinquanta migliori ristoranti al mondo, stilata dal mensile britannico Restaurant basandosi su un sondaggio che coinvolge chef, ristoratori, cultori e critici internazionali, non è poca cosa ma, a questo, bisogna aggiungere che la culinaria in Perù è considerata una cosa seria sin dai tempi di Gastón Acurio, altro grande chef peruviano e, per questo, a Lima, televisioni, radio e siti web non parlano d’altro.

Nato a Lima nel 1981, in una famiglia di origine giapponese, l’infanzia di “Micha” come lo conoscono tutti in Perù, è trascorsa tra due culture che avrebbero profondamente segnato la sua visione della cucina: quella ereditata dalla famiglia e quella vissuta nelle strade di Lima. Formatosi in arti culinarie e gestione di alimenti e bevande negli Stati Uniti, “Micha” è poi andato ad Osaka, in Giappone, dove ha lavorato in ristoranti tradizionali come Seto Sushi, specializzato in sushi, e Imo to Daikon, dedicato alla cucina degli izakaya, le popolari taverne giapponesi, riporta il sito Perú21.

Al suo ritorno in Perù, dopo un periodo all’Hotel Sheraton dove si è appassionato degli incroci tra la culinaria peruviana e quella giapponese, ha fondato a 28 anni il Maido, il cui nome in giapponese significa “grazie per essere sempre venuti”, oggi un riferimento mondiale della cosiddetta cucina Nikkei, la fusione culinaria che usa ingredienti peruviani e tecniche giapponesi. “La cucina Nikkei non è una moda passeggera, è un modo per intendere la mescolanza razziale come forza creativa. Se oggi siamo in cima, è perché prima c’erano mani che seminavano, migravano, resistevano e sognavano. Dobbiamo loro tutto”, aveva previsto già sei anni fa, intervistato da Perú21.

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Il NYT cambia rotta, il food critic non è più anonimo

Tejal Rao e Ligaya Mishan, nuove firme del gusto, svelano l’identità ai lettori: “Più trasparenza e contatto con il pubblico”.

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Il New York Times cambia registro e abbandona definitivamente l’anonimato per i suoi critici gastronomici. Addio a travestimenti, voci alterate, profili sfocati: da oggi i lettori sapranno esattamente chi si cela dietro le recensioni dei ristoranti più acclamati (e temuti) d’America. Il quotidiano newyorkese ha presentato le sue nuove firme del gusto: Tejal Rao e Ligaya Mishan, che raccolgono il testimone lasciato da Pete Wells, critico di punta per oltre un decennio.

Fine di un’epoca: l’anonimato non serve più

“Internet ha reso l’anonimato praticamente impossibile”, spiega il Times in un video che ufficializza la svolta. Anche Pete Wells, che ha lasciato l’incarico lo scorso luglio, ha confermato che i ristoranti riescono quasi sempre a individuare un critico anche se camuffato. La mossa, quindi, va incontro a una realtà già consolidata, ma apre anche una nuova fase: i critici diventeranno volti pubblici, compariranno in video, e si metteranno in gioco anche con la loro personalità e stile.

Amo l’idea di non dover giocare con l’anonimato”, ha dichiarato Tejal Rao. Pur utilizzando pseudonimi per prenotare, non cercherà più di nascondersi una volta seduta al tavolo.

Due critici per coprire tutta l’America

Con milioni di abbonati distribuiti in tutti gli Stati Uniti, la redazione ha deciso di raddoppiare la posizione per coprire in modo capillare la scena gastronomica da New York a Los Angeles, passando per Chicago, Filadelfia, San Francisco e Austin. Un approccio nazionale per una cucina sempre più globale e diffusa.

Il pubblico vuole sapere chi c’è dietro le recensioni

Il pubblico vuole associare un volto a un’opinione, capire chi è la persona che consiglia un piatto, quali sono i suoi gusti”, spiega la direzione del quotidiano. Con video e interventi personali, Rao e Mishan porteranno una maggiore trasparenza e un tono più diretto nel dialogo con i lettori.

Un lavoro da sogno, ma non per la salute

Il cambiamento arriva dopo un anno di vuoto alla guida della sezione food, seguito all’addio di Pete Wells, che aveva lasciato per motivi di salute. “Ne va della mia salute”, aveva detto, raccontando le conseguenze di dodici anni di pasti abbondanti e ritmi serrati. Prima di lui, Adam Platt (New York Magazine) aveva descritto il mestiere come “il meno sano del mondo”, citando effetti collaterali come gotta, colesterolo alto, diabete e ipertensione.

 

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