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Mafiosi scarcerati, Bonafede ci mette una pezza ma l’Antimafia è inviperita col Capo del Dap perchè…

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Vincolare la concessione della detenzione domiciliare ai condannati al 41 bis al parere della Direzione nazionale antimafia e delle procure distrettuali. Con questo slogan, che diventerà un Decreto Legge urgente, il Governo vuole mettere un argine alle scarcerazioni di mafiosi.

Le norme che il ministro Guardasigilli Alfonso Bonafede presenta come la soluzione del problema della scarcerazione dei boss sono buone. Ma sono tardive. Arrivano quando sono stati già scarcerati  8mila detenuti e tra questi più di 400 sono del circuito di Alta Sicurezza. Tra loro 83 sono mafiosi, camorristi e ’ndranghetisti dal pedigree criminale lungo quanto la transiberiana. Per  questi signori  la Direzione Nazionale Antimafia mai avrebbe concesso un parere positivo per gli arresti domiciliari con differimento della pena. Insomma, per capirci, se queste norme il ministro Bonafede le avesse partorite un mese fa, oggi avremmo molti mafiosi ancora in cella.

Se il ministro Bonafede fosse stato consigliato bene o avesse ascoltato le critiche in punto di diritto di magistrati antimafia come Catello Maresca e Nicola Gratteri su questi argomenti, non avremmo dovuto a forza digerire cose indigeribili. Oggi, tanto per farvi un esempio tra decine, avremmo Pasquale Zagaria ancora in cella. Parliamo di un mafioso, braccio economico e finanziario del clan dei casalesi detenuto a Badu e Carros in Sardegna, regione covid free, che per tenerlo al riparo dal contagio è stato mandato a casa sua a Pontevico in provincia di Brescia. Avete letto bene, Zagaria è agli arresti domiciliari col braccialetto elettronico a Pontevico, paesino di 7mila anime. Le statistiche del ministero della Salute aggiornate al 29 aprile dicono che in questa amena località della Bresciana hanno registrato 140 casi di contagio e 23 morti.

E invece il ministro Bonafede ha tirato fuori solo ora dal cilindro questa soluzione. Eppure la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo nelle interlocuzioni istituzionali aveva reiteratamente evidenziato i rischi connessi alle scarcerazioni di mafiosi.

Purtroppo, è probabile che il Governo e il ministro Bonafede non abbiano mai saputo o non abbiano ben compreso il valore dirompente di una circolare del Dap – Dipartimento Amministrazione Penitenziaria – inviata a tutti i penitenziari italiani per chiedere i nomi dei detenuti che hanno più di 70 anni e sono affetti da alcune patologie. Tra questi c’erano e ci sono quelli che sono ristretti in regime di 41 bis e Alta sicurezza, cioè i capimafia, i boss di Cosa nostra, i capi della ‘ndrangheta e della camorra, i killer che hanno fatto stragi. Molti di questi signori sono usciti già dal carcere grazie a questa circolare che risale al 21 marzo scorso, cioè quattro giorni dopo l’approvazione del decreto Cura Italia. Nel provvedimento del Governo c’erano norme per combattere il contagio del coronavirus all’interno delle carceri, diminuendone l’affollamento. Così i detenuti condannati per reati di minore gravità, e con meno di 18 mesi da scontare, potevano andare agli arresti domiciliari. Ma quella stessa strada, come dicevamo, grazie alla circolare del 21 marzo del Dap, è stata poi usata da molti mafiosi per lasciare le celle e tornare a casa.

Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Bonafede col capo del Dap Basentini e un agente

Questa circolare è stata notificata alla Direzione Nazionale Antimafia solo il 21 aprile. In pratica un mese dopo il suo varo e quando gli uffici dei giudici di sorveglianza erano stati già subissati di istanze di scarcerazioni. Ora, la prima domanda, quella più banale è: com’è possibile che una circolare del Dap che va ad incidere su un pezzo pericolosissimo della popolazione carceraria (i mafiosi al 41 bis) è stata notificata alla Direzione Nazionale Antimafia solo un mese dopo e nel pieno della bufera mediatica innescata dalle durissime prese di posizione dei pm antimafia Maresca e Gratteri sulla scarcerazione di boss pericolosissimi? In un documento della Direzione Nazionale Antimafia inviata al Dap e a tutti i Procuratori distrettuali antimafia d’Italia traspare tutta l’amarezza del procuratore Cafiero de Raho per l’incredibile ritardo con cui il Dap gli ha inviato la circolare del 21 marzo. Sempre in questo documento ci sono riflessioni che fanno comprendere che mai la DNA avrebbe concesso parere positivo ai domiciliari per alcuni mafiosi, la cui pericolosità criminale è attualissima e lo è ancora di più nei luoghi di origine dei boss. C’è anche una osservazione fattuale che però suona come un grave campanello di allarme rispetto ad alcune scarcerazione per rischio contagio da covid 19. Rispetto a questo ipotetico rischio, il Procuratore Cafiero de Raho scrive che “i detenuti posti al regime di cui all’articolo 41 bis sono in condizione di isolamento e, quindi, i più protetti rispetto al contagio”.

Carcere di Poggioreale. Polizia in assetto anti sommossa per una manifestazione dei parenti dei detenuti

Non solo, sempre per scongiurare scarcerazioni di mafiosi, il Procuratore Cafiero de Raho scrive in questa nota che “in una ottica di collaborazione la DNA intende mettere a disposizione dell’Ufficio di Sorveglianza tutti gli elementi conoscitivi in suo possesso utili a valutare la posizione del detenuto nell’organizzazione mafiosa, la sua pericolosità sociale, il rischio di ulteriore diffusione di direttive criminali, il rafforzamento delle cosche con il ritorno sul territorio di esponenti di vertice o di rilievo”. Esattamente tutto quello che è già accaduto. Ed è per questo che Cafiero de Raho, immaginiamo amareggiato, davanti allo scempio compiuto, ha chiesto al Dap l’immediata “trasmissione delle istanze di sospensione dell’esecuzione della pena e/o detenzione domiciliare avanzate dai detenuti per reati di mafia e terrorismo”. Eh sì, perchè grazie a quella circolare del Dap inviata un mese dopo alla DNA,  ci sono istanze con richieste di scarcerazione di personaggi come Cutolo, Tano Riina (il fratello di Totò) e anche di terroristi pericolosi.

Insomma, oggi il ministro Bonafede propone un pacchetto di norme che vincolerebbe la concessione della detenzione domiciliare ai condannati al 41 bis (ai mafiosi) al parere della Direzione nazionale antimafia e delle procure distrettuali che mai daranno parere positivo. Bene. Dunque, problema risolto?

No, forse il ministro Bonafede dovrebbe chiedere conto al Capo del Dap Francesco Basentini perché non l’ha tenuto informato di quanto accadeva nelle carceri, dei mafiosi che uscivano sfruttando la falla della sua circolare.

Forse Bonafede dovrebbe chiedere a Basentini perché  ha inviato la famigerata circolare solo un mese dopo il varo e quando decine di mafiosi sono stati già scarcerati senza che la Direzione Nazionale Antimafia abbia potuto fare o dire alcunché.

Forse Bonafede dovrebbe chiedere al capo del dipartimento Basentini perchè nel caso della scarcerazione del boss Zagaria ha perso due settimane prima di scrivere al giudice di sorveglianza di Sassari e dirgli che voleva valutare se farlo trasferire in ospedale a Viterbo o a Roma.

Forse Bonafede dovrebbe chiedere a Basentini di rassegnare le dimissioni, come chiesto non solo da importanti esponenti politici della maggioranza ma anche da tanti magistrati e da molti sindacati della polizia penitenziaria.

Forse Bonafede dovrebbe provare a capire se le intercettazioni dei boss mafiosi che si affannano a chie- dere i domiciliari “perché con il Covid usciamo”, sono il frutto di una precisa strategia, dietro la quale c’è una regia criminale.

Forse Bonafede ha dimenticato che tra i 7 e l’8 marzo ci sono state rivolte in 21 carceri italiane, tumulti che hanno portato ad un bagno di sangue e alla umiliazione delle strutture delle Stato dedicate alla correzione dei detenuti. In quei due giorni, quando tutti assieme, all’unisono, sono state prese d’assalto e quindi controllate dai detenuti in rivolta 21 carceri (senza aver mai torto un capello ad un agente della polizia penitenziaria), sono morte 14 persone, sono evasi una 70ina di criminali (poi riacciuffati), ci sono stati una 50ina di feriti, hanno causato danni per milioni di euro. I detenuti rivoltosi hanno consegnato ai direttori delle carceri dei lunghissimi papelli con richieste varie di benefits in cella. Una serie di agevolazioni poi tutte concesse con circolari del Dap. Oggi in cella i boss ricevono più soldi, telefonano co Skype, fanno video chat, si incontrano su Tik Tik, insultano e minacciano sui social dal carcere magistrati come Maresca e Gratteri che in queste settimane hanno provato a dire: fermatevi.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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Aggressione omofoba a Federico Fashion style, ‘botte e insulti’

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Preso a schiaffi e pugni sul treno e insultato da un passeggero solo perchè gay. Un’aggressione omofoba che ha visto sul treno Milano-Napoli vittima Federico Lauri, conosciuto come Federico Fashion Style, parrucchiere e volto tv. Lo racconta lui stesso sui social e un’intervista al Corriere della Sera on line. “Preso a schiaffi e pugni in faccia su un treno Italo davanti agli occhi di tutti — scrive Federico, che è anche un volto di Real Time —Essere insultato, denigrato e aggredito per l’orientamento sessuale è vergognoso. Vi prego smettetela di chiamare la gente fr… L’omosessualità non è una malattia». L’aggressione è avvenuta sul Milano Napoli all’altezza di Anagni. Il treno si ferma per un guasto, Lauri chiede informazioni e un passeggero prima lo insulta con frasi omofobe e poi lo picchia. Lauri finisce all’ospedale a Colleferro cn un trauma cranico e una prognosi di 15 giorni. Ora promette che denuncerà tutto. “Questa bestia mi ha dato un cazzotto, ma se avesse avuto un coltello mi avrebbe accoltellato -dice al Corriere- Il rischio è uscire di casa e non rientrare più. L’omofobia è la malattia, non l’omosessualità. Loro si devono curare”.

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Lo stupro di Palermo, la difesa vuole la vittima in aula

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Dentro l’aula è scontra tra accusa e difesa. Fuori dal tribunale di Palermo i familiari dei detenuti che arrivano con il pullman della polizia penitenziaria sono in attesa di salutare ‘i loro ragazzi’ mentre non lontano una decina di associazioni hanno dato vita ad un sit in per chiedere di essere ammesse come parti civili. Sono in aula cinque dei sei giovani indagati per lo stupro di gruppo a una 19enne avvenuto lo scorso 7 luglio a Palermo in un cantiere abbandonato del Foro Italico. Uno solo segue l’udienza in videoconferenza, collegato da una sala del carcere dove è recluso. Assente la vittima dello stupro, ospite in una comunità protetta, fuori dalla Sicilia. L’unico minorenne del branco è in un istituto minorile, dopo essere stato già condannato a 8 anni e 8 mesi in abbreviato. L’udienza preliminare davanti al gup Cristina Lo Bue per i sei maggiorenni – Elio Arnao, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Angelo Flores, Samuele La Grassa e Christian Maronia – si apre in un clima di scontro aperto tra le parti. I legali degli indagati hanno già preannunciato le contromosse per ribaltare le accuse nei confronti dei loro assistiti.

La linea difensiva è chiara ed è legata alla richiesta di ascoltare nuovamente la vittima alla luce delle “nuove prove” che gli avvocati avrebbero raccolto. Alla prossima udienza chiederanno l’abbreviato condizionato a una nuova audizione della vittima, già ascoltata dal gip di Palermo Clelia Maltese due mesi fa nel corso dell’incidente probatorio. Il materiale raccolto dalla difesa già in un’udienza stralcio a marzo non era stato ammesso fra le carte del procedimento, ma i legali insistono. Secondo gli avvocati le nuove prove dimostrerebbero in sostanza che la giovane era consenziente. Una linea difensiva che non sorprende l’avvocato Carla Garofalo, legale della ragazza. “Questa è letteratura – spiega -, lo fanno in tutti i processi per stupro. Lo farei anche io, ma è improbabile perché mai difenderò un indagato per stupro. In ogni caso questa tesi è insostenibile, perché ci sono i filmati che parlano (i video girati con i cellulari dagli stessi indagati ndr)”.

La legale parla di “un ambiente tossico” attorno alla sua assistita “che a Pasquetta è stata pesantemente minacciata e aggredita” e denuncia “una campagna denigratoria nei confronti della ragazza durata tutta l’estate”. “Io, purtroppo – aggiunge -, sono entrata nel processo solo a gennaio per cui non ho potuto gestire e seguire la parte precedente”. L’avvocato Garofalo sottolinea anche lo stato di profonda prostrazione vissuto dalla giovane: “ha alti e bassi, momenti di angoscia e di speranza. Per fortuna abbiamo un buon rapporto. Sta raccogliendo i cocci di tutto lo sfacelo attorno a lei, con aggressioni continue. E a volte si chiede chi glielo ha fatto fare”. Attorno alla ragazza vittima dello stupro si sono strette una decina di associazioni che oltre a manifestare davanti al tribunale hanno chiesto di costituirsi parte civile, così come ha fatto il Comune di Palermo. Il Gup ha rinviato ogni decisione alla prossima udienza, fissata per il 29 aprile. Se il giudice non ammetterà l’abbreviato condizionato i legali degli imputati dovranno scegliere tra l’abbreviato “secco” o l’ordinario.

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