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Politica

Mafia, una legge per fermare quei cosiddetti “artisti” che inneggiano alla malavita

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Sono sempre piu’ frequenti gli episodi in cui, nel corso di manifestazioni pubbliche o religiose, sui social network o con altri mezzi di comunicazione, si inneggia alla mafia. A denunciarlo sono alcuni componenti della Commissione Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie, che hanno presentato una proposta proposta di legge per introdurre nel nostro ordinamento l’aggravante dell’istigazione o dell’apologia del delitto di associazione di tipo mafioso. Domani l’iniziativa verra’ presentata alla Camera, presenti il senatore Nicola Morra, presidente della Commissione bicamerale Antimafia e Guido Salvini, magistrato esperto in materia di terrorismo e di criminalita’ organizzata, interlocutore nella fase di redazione della pdl. “Sempre piu’ spesso – si legge nella relazione che accompagna la proposta di legge – alcuni cantautori si fanno autori e interpreti di canzoni i cui contenuti inneggiano ai vari esponenti della malavita e della criminalita’ organizzata, tanto da indurre alcuni soggetti istituzionali e sociali a presentare esposti alla magistratura per chiedere di accertare eventuali fattispecie di reato, tra cui l’istigazione a delinquere. Queste canzoni, cosi’ come scritte, inneggiando alla peggiore forma di delinquenza, rappresentano un vero e proprio “pugno allo stomaco” per chi, come gli appartenenti alle Forze dell’ordine, lavora ogni giorno rischiando la vita per estirpare dal Paese il cancro della criminalita’ organizzata. In tali testi, ci sono, infatti, alcune frasi che appaiono superare il limite della decenza e della semplice liberta’ di opinione o di espressione. I commenti che appaiono sotto i video e i post di questi presunti artisti della canzone destano perplessita’ e rischiano di fomentare un clima di illegalita’ e di ingiustizia. I messaggi che vengono diffusi attraverso questi testi non possono essere ricondotti a mere ricostruzioni artistiche e canore, ma equivalgono a espressioni di odio nei confronti delle Forze dell’ordine e della magistratura e di esaltazione della criminalita’ organizzata e dei suoi componenti. Cio’ che maggiormente allarma e’ che sui social network questi sedicenti artisti abbiano un enorme seguito da parte di migliaia di persone e che influenzino con i loro messaggi devianti gran parte dell’opinione pubblica. Da qui la necessita’ che anche i social network debbano intervenire per censurare tali contenuti che istigano alla violenza e all’odio sociale. Pur di raccogliere migliaia di like inconsapevoli, questi sedicenti cantanti non esitano a fare leva su malsani stereotipi che raffigurano come veri patrioti i latitanti mafiosi e come nemici del popolo lo Stato e i suoi servitori, fino ad esaltare come gesta eroiche le stragi di Capaci e di Via d’Amelio”.

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Fine vita, gip ordina imputazione coatta per Cappato

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Ci sarà l’imputazione coatta per Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli, accusati di aiuto al suicidio per aver accompagnato nel 2022 Massimiliano – un 44enne della provincia di Livorno malato di Sla – in Svizzera, dove poté morire col suicidio assistito. Lo ha ordinato il gip di Firenze, Agnese di Girolamo, che ha respinto la richiesta di archiviazione proposta dalla procura di Firenze. I tre rischiano una condanna da 5 a 12 anni di carcere. Per il pm Carmine Pirozzoli, sia Cappato sia le altre due attiviste non ebbero una condotta da ricollegarsi alla volontà del paziente di essere aiutato a suicidarsi. Ma la giudice ha dato un’indicazione opposta, rinviando gli atti al pubblico ministero e ordinando che entro 10 giorni formuli l’imputazione coatta ai tre accusati.

Poi, sull’eventuale rinvio a giudizio, deciderà un altro giudice in udienza preliminare. “La nostra è stata disobbedienza civile – ha commentato l’attivista Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Coscioni – Con Chiara Lalli e Felicetta Maltese ci eravamo autodenunciati perché eravamo, e siamo, pronti ad assumerci le nostre responsabilità, nel pieno rispetto delle decisioni della magistratura, e nella totale inerzia del Parlamento. Continueremo la nostra azione fino a quando non sarà pienamente garantito il diritto alla libertà di scelta fino alla fine della vita”.

La giudice Di Girolamo nell’ordinanza afferma che, nonostante la Corte Costituzionale abbia ampliato l’interpretazione del concetto di “trattamento di sostegno vitale”, il 44enne di San Vincenzo (Livorno), non poteva essere considerato mantenuto in vita da un trattamento di sostegno vitale in quanto occorre la “necessità dello stretto collegamento con la natura vitale dei trattamenti di sostegno, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte in un breve lasso di tempo”. La gip ha anche rilevato che, come stabilito nella sentenza 135 del 2024, la Consulta ha sottolineato la necessità di una valutazione da parte di una struttura pubblica del Sistema sanitario nazionale. In altre parole, per stabilire se Massimiliano rientrasse nei requisiti previsti dalla legge italiana, “si nega l’equivalenza della verifica delle condizioni del paziente fatta in Svizzera rispetto a una verifica fatta in Italia”.

Per Filomena Gallo, avvocato e segretaria dell’Associazione Coscioni – che si batte per la pratica del suicidio assistito -, “la gip ha disposto l’imputazione coatta in quanto a suo avviso non risulta che Massimiliano fosse dipendente da un trattamento di sostegno vitale, nemmeno secondo l’interpretazione estensiva della Corte con sentenza 135 del 2024”. Pochi giorni fa la procura di Firenze aveva chiesto per la seconda volta al gip la richiesta di archiviazione per Cappato, Maltese e Lalli. Il pm Carmine Pirozzoli sostiene che il contributo di Cappato “si esaurisce nell’aver fornito informazioni sul panorama normativo relativo al fine vita in Italia, nell’averne facilitato i contatti con la clinica e infine nell’averne sostenuto i costi di noleggio di un minivan per il viaggio in Svizzera. Condotte che sul piano temporale si collocano in un momento distante dall’evento morte e che non appaiono collegate all’esecuzione del suicidio”.

Idem “le condotte di Lalli e Maltese” fermatesi a “uno stadio meramente preparatorio”, “hanno guidato il mezzo che ha accompagnato Massimiliano in Svizzera ma non risulta che le due indagate abbiamo partecipato alle operazioni mediche o di assistenza per predisporre il suicidio assistito”. Sul fine vita il 26 marzo nuova udienza in Corte costituzionale, dove i giudici affrontano altri due casi: quello di Elena, una malata oncologica terminale, e quello di Romano, affetto da patologia neurodegenerativa. Il 27 marzo Conferenza Stato-Regioni dopo l’approvazione da parte del Consiglio regionale della Toscana della legge regionale sul ‘suicidio medicalmente assistito’.

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Mattarella: statisti coraggiosi idearono Europa, no a dazi

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L’Europa “ha la forza per interloquire con calma, autorevolezza e determinazione” ai dazi che minaccia l’amministrazione Trump. Sergio Mattarella sembra voler far ritrovare autostima e compattezza ad un’Europa che appare timorosa a replicare alle barriere tariffarie che l’America trumpiana sta imponendo al mondo. Il presidente della Repubblica approfitta di una sua partecipazione ad un evento a difesa dell’agricoltura italiana, voluto dal ministro Lollobrigida a Roma, per chiedre uno scatto di reni all’Unione europea. Contemporaneamente Mattarella difende con forza il sogno europeo e con ancora più forza sottrae a tentativi revisionisti delle destre l’immagine dei Padri fondatori dell’Europa e il loro patrimonio culturale.

A pochi giorni dalle parole della premier Giorgia Meloni in Aula alla Camera con le quali ha demolito il Manifesto di Ventotene il capo dello Stato non ha esitazione nel mostrare che la pensa in maniera completamente diversa. Mattarella ricorda subito quanto sia importante tenere a mente il “contesto” in cui si operava in quegli anni per giudicare testi e parole che oggi – dopo qausi 80 anni di democrazia – possono sembrare forti. Certo, il presidente non cita mai la parola “Ventotene” ma la sua analisi è chiara: “bisogna riflettere al contesto in cui si muoveva questo avvio dell’integrazione europea”, premette rispondendo ad un ragazzo che gli chiedeva proprio della nascita della Ue.

“Nel 1945 l’Italia usciva da una guerra devastante. Vi erano state brutali dittature e l’abisso dell’olocausto. In quel clima di tragedie, di disperazioni alcuni statisti lungimiranti e coraggiosi cercarono di capovolgere un’idea: fu una rivoluzione di pensiero. Mettere insieme il futuro dell’Europa”. Statisti coraggiosi e rivoluzionari legati – con le loro differenze ideologiche – in una catena che parte proprio da Ventotene, dai pionieri Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, passa per Alcide de Gasperi e valica i confini dell’Italia con l’azione di Konrad Adenauer, Robert Schuman e Jean Monnet. C’è tanta Europa nei pensieri di queste settimane del presidente: un’Europa che è un modello “straordinario” che il mondo ci imita.

Un’Europa che non si deve fermare, che – aggiunge – ha bisogno di aggiornarsi, di colmare lacune, di avere processi decisionali più veloci e tempestivi”. Ma soprattutto c’è un’Europa che deve essere forte ed orgogliosa, che deve però far valere il suo peso nella guerra – Mattarella sottolinea la parola “guerra” – dei dazi. “Bisogna essere sereni senza alimentare un eccesso di preoccupazione perchè la Ue – rimarca ancora – ha la forza per interloquire e per contrastare una scelta così immotivata. L’Europa è un soggetto forte, quindi bisogna interloquire con calma ma anche con determinazione”.

Non si legge,quindi, nelle parole del presidente alcun timore reverenziale nell’affrontare il problema ma neanche si scorge l’irrazionale volontà di “rappresaglie”, tanto per citare un termine usato da Giorgia Meloni. Ma la situazione è complessa, a rischio ci sono miliardi di export italiano, buona parte di quel made in Italy che Lollobrigida rappresenta. “Speriamo che prevalga il buon senso”, osserva non troppo convinto Mattarella rispondendo ad un agricoltore della Coldiretti giustamente assai preoccupato.

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Bertinotti: a Meloni avrei tirato un libro. Ira FdI

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Nuova polemica, ma questa volta sulle parole dell’ex presidente della Camera e ex leader di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti. Se fosse stato seduto ancora fra i banchi di Montecitorio avrebbe reagito alle parole di Giorgia Meloni su Ventotene “tirandole un libro”. Un atto per cui poi “si sarebbe condannato” – è la consapevolezza – e che lo avrebbe fatto espellere dall’emiciclo ma “a trasgressione” si risponde con “trasgressione”, dice intervistato su LA7. Fratelli d’Italia, già insorta per la lite fra Romano Prodi e una giornalista, protesta ancora più veementemente. Parlano in tanti, fra deputati e senatori: per il numero uno di FdI a Palazzo Madama, Lucio Malan, si tratta di un’attentato all’incolumità della presidente del Consiglio, mentre per il presidente del partito di Meloni alla Camera, Galeazzo Bignami, in questo modo “la sinistra mostra il suo volto peggiore’. Nostalgia “canaglia”, interviene il ministro Tommaso Foti: “nostalgia di una sinistra che sbaglia”.

E c’è chi, come il deputato Marco Perissa, chiede alla rete televisiva di “prendere le distanze”. Le critiche del centrodestra non dimenticano però Prodi. Incalzato sulle frasi del Manifesto di Ventotene lette dalla presidente del Consiglio, il Professore è stato protagonista di un litigio con una giornalista di Quarta Repubblica, Lavinia Orefici. Che – secondo quanto sostenuto dalla stessa cronista – è arrivato a tirarle i capelli. “Solo una mano sulla spalla”, è stata la replica. Il filmato andrà in onda domani sera su Rete4, fa sapere la trasmissione: esprime solidarietà il sindacato Unirai, mentre la maggioranza continua a invocare un intervento dell’ordine dei giornalisti e della Fnsi. A distanza di 24ore dall’accaduto, a difesa dell’ex premier scendono in campo Enrico Letta e Gianni Cuperlo. Il primo lancia un hashtag: ‘IoStoConRomano”, il secondo è convinto si tratti di una “polemica sul nulla”. La speranza, aggiunge, è che “il tempo di qualche saggezza presto o tardi ritorni”. Difendono “l’indifendibile”, mette agli atti Fratelli d’Italia sui social. “Le pulsioni belliche hanno fatto perdere la testa alla sinistra”, chiosa la Lega.

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