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Madre e figlio non tornano a casa, affogati nel Garda

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Ancora tre morti nei laghi italiani. Sono stati ritrovati senza vita nelle acque del lago di Garda i corpi di Hanna Shabratska e del figlio Oleksiy, originari dell’Ucraina ma da circa due anni residenti nel comune di Vallarsa, in Trentino. È morta anche una bambina di sette anni che era scomparsa questo pomeriggio in un bioparco di Caraglio, in provincia di Cuneo. Sul Garda le ricerche sono partite nella serata di martedì 16 luglio, quando il compagno della donna, non vedendoli rientrare a casa dopo una giornata al lago, ha lanciato l’allarme. Sul posto sono intervenuti i carabinieri della compagnia di Riva del Garda, la Guardia costiera, i vigili del fuoco volontari con i sub del Corpo permanente dei vigili del fuoco e la polizia di Stato. Le ricerche si sono concentrate nella zona tra Punta Lido e la Spiaggia dei Sabbioni. È in questo punto che madre e figlio, di 52 e 19 anni, sarebbero stati avvistati dalle telecamere verso le 11.20, mentre stavano entrando in acqua.

Da quel momento più nessuna notizia di loro. Dopo il ritrovamento di alcuni effetti personali, nel pomeriggio sono stati ritrovati i due corpi, che si trovavano a una profondità di circa 15-18 metri, a poca distanza l’uno dall’altro. Sono stati portati all’obitorio, a disposizione del pubblico ministero di turno, che cercherà di ricostruire la dinamica dell’accaduto. “Erano nella nostra comunità da un paio di anni. Persone educatissime e per bene. Ho salutato la signora solo l’altroieri. Mi sembrava impossibile quando mi hanno detto che non la trovavano più”, ha spiegato il sindaco del Comune di Vallarsa Luca Costa.

Un’altra tragedia si è consumata nel Cuneese. È morta la bambina di sette anni che era scomparsa questo pomeriggio in un bioparco di Caraglio, in provincia di Cuneo. La piccola era stata trovata in fini di vita a due metri di profondità in uno dei laghi dell’area verde. Inutili le manovre di rianimazione da parte dei soccorritori. Della vittima si erano perse le tracce poco dopo le 16, mentre stava trascorrendo il pomeriggio con un centro estivo. Subito era scattato l’allarme quando gli accompagnatori si sono resi conto di aver perso di vista la bambina. Sul posto erano arrivati i vigili del fuoco e i carabinieri ed erano iniziate le ricerche.

La Società italiana di medicina ambientale (Sima) ricorda che solo nel periodo che va dall’1 giugno al 17 luglio si contano già diciannove le persone morte nei fiumi e nei laghi italiani, poco meno di una vittima ogni due giorni. La Società chiede “maggiore prevenzione e più controlli sul territorio”. “Ogni anno – stima la Sima – nel nostro Paese sono circa 400 le persone che muoiono annegate in acqua (mare, laghi, fiumi, torrenti), mentre nel mondo i decessi per annegamento ammontano a 2,5 milioni solo nell’ultimo decennio. Considerando i casi emersi sulla stampa nazionale e locale, solo tra giugno e luglio si contano già 19 cadaveri rinvenuti nelle acque di fiumi e laghi italiani. Le vittime più frequenti, secondo l’Oms, sono i bambini tra 1 e 4 anni, seguiti da quelli di età compresa tra 5 e 9 anni”. Una strage che sembra non fermarsi.

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Cina avverte il Giappone su Taiwan: “Intervenire sarebbe un atto di aggressione. Risponderemo con fermezza”

Pechino avverte Tokyo: qualsiasi intervento a difesa di Taiwan verrebbe considerato un’“aggressione” e troverebbe una “ferma risposta”. Escalation diplomatica dopo le parole della premier Takaichi.

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La Cina ribadisce la linea dura su Taiwan e avverte il Giappone. In un post pubblicato dall’Ambasciata cinese in Giappone su X, Pechino afferma di essere disposta a “fare ogni sforzo per raggiungere la riunificazione pacifica” delle due sponde dello Stretto, ma chiarisce che non rinuncerà “mai” all’uso della forza né tollererà “attività separatista per l’indipendenza di Taiwan”.

Il monito a Tokyo: “Intervenire sarebbe aggressione”

Le parole sono una risposta diretta alla dichiarazione del 7 novembre della premier giapponese Sanae Takaichi, che aveva ventilato un possibile intervento nipponico in caso di attacco cinese a Taiwan. La replica di Pechino è stata netta: “Se il Giappone osasse interferire nella causa della riunificazione cinese, si tratterebbe di un atto di aggressione e incontrerebbe di sicuro una ferma risposta”.

“Nessun compromesso con interferenze esterne”

La Cina sottolinea di non voler fare “alcun compromesso o concessione”, riservandosi la possibilità di adottare “tutte le misure necessarie” per difendere quella che considera integrità territoriale. Nel messaggio, Pechino ricorda che Taiwan “appartiene alla Cina” e che la questione della riunificazione “spetta al popolo cinese”.

L’ombra dell’autodifesa collettiva

La premier Takaichi aveva dichiarato in Parlamento che un eventuale uso della forza da parte di Pechino contro Taiwan potrebbe configurare una “situazione di minaccia alla sopravvivenza” del Giappone. Uno scenario che aprirebbe alla possibilità di intervento in base al principio di autodifesa collettiva. Parole che hanno provocato l’ira cinese, soprattutto perché la leader nipponica ha rifiutato di ritrattarle.

Una crisi diplomatica senza precedenti da oltre dieci anni

La tensione tra i due Paesi è arrivata al livello più alto da più di un decennio. Pechino considera Taiwan un territorio “sacro” e “inalienabile”, da riunire anche con la forza se necessario. Le parole di Tokyo hanno così alimentato un’escalation diplomatica che mette alla prova gli equilibri dell’intera regione asiatica.

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Il Tar dà ragione a De Luca: la Campania può uscire dal piano di rientro sanitario

Il Tar accoglie il ricorso della Regione Campania: la sanità può uscire dal piano di rientro. De Luca parla di “vittoria straordinaria”, ma Meloni attacca: “Fa show e gioca con i numeri”.

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La sanità campana può finalmente tornare sotto la piena gestione della Regione. Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) ha accolto il ricorso presentato dalla Regione Campania, stabilendo che il Ministero della Salute deve far uscire “immediatamente” la Campania dal piano di rientro dai debiti sanitari.

Si tratta di una vittoria attesa da anni dal governatore Vincenzo De Luca, che ha definito la sentenza “una vittoria straordinaria, una battaglia vinta nell’interesse dei nostri concittadini e delle nostre famiglie”.


Il lungo braccio di ferro con il Ministero della Salute

Lo scontro tra Regione e Governo durava da oltre due anni. Nonostante i conti in equilibrio e i miglioramenti certificati nei servizi sanitari, il ministero aveva continuato a mantenere la Campania nel piano di rientro, commissariata dal 2009 e formalmente uscita dal commissariamento solo nel dicembre 2019.

“Il no del ministero ha penalizzato in modo grave la sanità e le strutture convenzionate — ha attaccato De Luca — ed è stato usato in maniera strumentale.”

Il governatore aveva persino ipotizzato una denuncia per concussione contro alcuni esponenti di Governo, accusandoli di aver arrecato un danno economico alla Regione.


La sentenza del Tar: “Equilibrio raggiunto, diniego illegittimo”

Nella sentenza, il Tar riconosce che la Regione Campania ha “conseguito e mantenuto l’equilibrio di bilancio”, e che, pur non avendo ancora raggiunto alcuni obiettivi dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), ha ottenuto la “soglia minima per ciascun macro-livello”.

Il Tribunale sottolinea che il diniego ministeriale si basava su rilievi parziali — come il ritardo nella copertura delle reti residenziali per anziani o nelle campagne di screening — ma che questi non giustificavano il mantenimento del piano.

“Il ricorso va accolto e il diniego del Ministero della Salute va annullato”, si legge nella decisione.


De Luca esulta: “Una battaglia di giustizia per la Campania”

Per il presidente della Regione, la decisione del Tar chiude “un calvario ingiusto”.

“Da anni abbiamo un bilancio sanitario positivo — ha ricordato De Luca — ma per pura discriminazione siamo rimasti nel piano di rientro con il cappio alla gola. Ora la Campania torna libera di gestire la sua sanità.”


Meloni attacca: “Show e numeri truccati”

Ma la battaglia politica non si chiude. Proprio mentre la sentenza veniva diffusa, la premier Giorgia Meloni, da Napoli per la chiusura della campagna elettorale di Edmondo Cirielli, ha lanciato un duro attacco al governatore:

“De Luca fa show con le dirette Facebook per gettare fumo negli occhi. Si vantava dei risultati sulle liste d’attesa, ma dava solo i dati delle urgenze. È il gioco delle tre carte.”

La replica del governatore non si è fatta attendere: “Le chiacchiere non cancellano i fatti. La Campania ha vinto una battaglia di dignità e autonomia”.

Tra rivendicazioni e polemiche, la sanità campana sembra dunque pronta a voltare pagina, ma il duello politico tra Palazzo Santa Lucia e Palazzo Chigi è tutt’altro che concluso.

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Caos garante Privacy, Ginevra Cerrina Feroni: «Non mi dimetto, accuse false e attacchi incompatibili con la democrazia»

Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente del Garante per la privacy, in un’intervista al Corriere della Sera respinge le accuse di Report, chiarisce i casi più contestati e afferma: «Non è all’ordine del giorno alcuna mia dimissione».

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Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente dell’Autorità garante per la privacy, in una lunga intervista al Corriere della Seraha respinto le accuse mosse dal programma Report e ha ribadito la correttezza del proprio operato. «Non mi dimetto», ha detto con fermezza, definendo «falsi» molti degli episodi contestati.

Alla domanda se sia una “professoressa o baronessa”, ha precisato: «Baronessa che c’entra? Sono un professore universitario e il mio titolo è professoressa».

AGOSTINO GHIGLIA, CERRINA FERONI GINEVRA,, PASQUALE STANZIONE, GUIDO SCORZA: SONO I COMPONENTI DEL COLLEGIO DEL GARANTE DELLA PRIVACY (foto Imagoeconomica)


Rapporti con la politica e il mondo accademico

La vicepresidente ha ricordato l’eredità morale del padre, deputato del Pci, dal quale ha appreso «rigore etico, senso della giustizia e solidarietà per i più deboli». Ha confermato di aver avuto «buoni rapporti anche con Giuseppe Conte», con cui insegnava nella stessa università, e ha spiegato che oggi intrattiene «doverosi rapporti con chiunque ricopra incarichi pubblici», nel rispetto della democrazia.


Le accuse su Salvini, i viaggi e le spese

Sulle critiche per il parere reso dal Garante nel 2024 a favore del Ministero dei Trasporti sul foglio elettronico degli autisti Ncc, Cerrina Feroni ha chiarito: «Non io, ma il Collegio fu tenuto a rendere quel parere, necessario a tutela della privacy». Ha aggiunto che l’annullamento del Tar Lazio «fu determinato anche dalla mancata piena conformazione alle nostre indicazioni».

In merito alle spese di rappresentanza e ai viaggi, ha precisato che «le missioni sono autorizzate dagli uffici e proporzionate al percorso». Ha smentito la richiesta di rimborso per il parrucchiere: «Mi accorsi di aver scambiato la carta personale con quella dell’ufficio e chiesi subito il riaddebito di 15 euro».


Green pass, Meta e accuse di favoritismi

Cerrina Feroni ha negato che l’aumento di stipendio del collegio fosse collegato al parere favorevole sul green pass: «Falso. La parificazione economica è avvenuta cinque mesi dopo per correggere una stortura».

Sulla multa da 44 milioni a Meta per gli smart glasses ha spiegato: «I miei dubbi erano sull’istruttoria degli uffici, fragile nella ricostruzione giuridica e tecnica. La revoca in autotutela non fu una prescrizione ma una decisione motivata anche dal fatto che quegli occhiali non erano più commercializzati».


Nessuna pressione sulla Rai e nessuna dimissione

La vicepresidente ha definito «falso» anche l’episodio delle presunte pressioni sui vertici Rai per fermare Report: «Mi sono solo informata se fosse stata ricevuta una comunicazione del Presidente».

Sulla possibilità di querelare il programma ha risposto: «Ci penserò». E ha concluso difendendo il principio della nomina parlamentare come garanzia d’imparzialità: «Da costituzionalista, non esiste mandato più imparziale di quello che proviene dal Parlamento».

Infine, ha ribadito che non intende lasciare l’incarico: «Non è all’ordine del giorno».

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