Lucia Riina, la figlia pittrice del capomafia sanguinario morto in carcere che vive vendendo quadri e servendo pasti al ristorante “Corleone” di Parigi
C’è uno studio legale francese, il “Cabinet Pierrat”, esperto in tutela di marchi e proprietà intellettuale, dietro l’apertura e la gestione del nuovo ristorante “Corleone”, aperto a Parigi da Lucia Riina, figlia del padrino stragista di Cosa Nostra Totò Riina, morto in una cella del carcere di Parma al 41 bis il 17 novembre 2017.
Il padre di Lucia Riina, Totò u curtu, fu arrestato il 15 gennaio del 1993 dopo 24 anni di latitanza. Era il capo indiscusso di Cosa nostra, doveva scontare 26 condanne all’ergastolo per decine di omicidi e stragi tra le quali quella di viale Lazio, gli attentati del ’92 in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e quelli del 1993 a Milano, Roma e Firenze. A Totò Riina, tra le condanne che nessuno potrà mai infliggergli, c’è quella di aver trasformato Corleone in un marchio d’infamia mafiosa e di aver ridotto il termine corleonese da cittadino di Corleone a sinonimo di mafioso.
Il marchio “Corleone by Lucia Riina” oggi ha invece una accezione commerciale. È il marchio depositato il 13 febbraio del 2018 e registrato l’8 giugno dello stesso anno a Parigi, città dell’amore e di tanto altro. Se la figlia di Totò Riina risulta la titolare del marchio, nelle vesti di rappresentante troviamo l’avvocato Sophie Viaris de Lesegno, socia e co-fondatrice dello studio legale ‘Cabinet Pierrat’ ed esperta di diritto d’autore e proprietà intellettuale. Parliamo di uno degli studi legali più accorsati e in vista di Francia. Tanti i vip francesi del mondo dell’arte tra i clienti dello studio ‘Pierrat’, a cominciare da Miss Tic, una delle regine della street art transalpina, famosa per le sue ‘pinup’, e Sophie Calle, artista che ha esposto anche alla Biennale di Venezia. Ma non solo: gallerie d’arte e fondazioni come Le Corbusier e Cartier Bresson hanno scelto ‘Cabinet Pierrat’ per tutelare i propri interessi.
Lucia Riina. La figlia del capomafia morto in carcere sepolto da decine di ergastoli
Lucia Riina con ogni probabilità è venuta in contatto con lo studio legale ‘Cabinet Pierrat’ grazie alla sua vita di artista. Perchè Lucia è una pittrice. Dipinge quadri. Portano la sua firma molti dipinti su tela esposti sul web, acquistabili previo contatto via mail con l’ufficio commerciale dell’artista. Non c’è un prezzo indicato pubblicamente per le opere d’arte di Lucia Riina. Al momento la signora Riina offre in vendita quattordici tele. Quattro di questi dipinti raffigurano il leone dello stemma del comune di Corleone, un felino stilizzato che nella sua accezione istituzionale ghermisce con la zampa anteriore destra un cuore rosso con una fiamma che lo sovrasta. La Riina, invece, inserisce una piccola variante sul tema, e raffigura esattamente lo stesso leone all’interno però di un cuore invece dentro lo scudo fregiato dalla corona . I titoli di questi dipinti sono “Cuor di Leone” e “Fuoco d’Amore”. In basso, lato destro di ogni dipinto, c’è la firma per esteso di Lucia Riina, che poi, senza voler offendere le velleità artistiche della signora Riina, che probabilmente non siamo manco capaci di apprezzare, è quello il prezzo vero da pagare se un collezionista intende possedere un quadro della figlia del defunto capo della mafia italiana.
Il ristorante di Parigi. Il comune di Corleone ha diffidato Lucia Riina dall’usare il nome del comune
L’uso del nome Corleone dato al ristorante parigino ha innescato un contenzioso giudiziario che rischia di diventare anche incidente diplomatico (l’ennesimo in questi mesi) tra Italia e Francia. Il sindaco di Corleone, Nicolò Nicolosi, ha diffidato la signora Lucia Riina a usare lo stemma della Animosa Civitas, titolo conferito il 12 gennaio 1556 da Carlo V al comune del Palermitano.
Il neo primo cittadino, eletto dopo due anni di commissariamento del comune per mafia, sostiene che “associare il nome di Corleone alla famiglia del capo dei capi è devastante”. Non solo, il sindaco Nicolosi ha chiesto ufficialmente al premier Giuseppe Conte e al ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi di chiedere alle autorità francesi di impedire che nell’insegna del ristorante parigino di Lucia Riina “possa esserci la commistione tra il nome di Corleone e la famiglia Riina”.
Il Governo ha subito girato la richiesta del sindaco Nicolosi, tramite la Farnesina, all’ambasciatrice italiana a Parigi, la napoletana Teresa Castaldo, che peraltro oltre a essersi laureata con lode in Scienze Politiche presso l’Istituto Universitario “L’Orientale” di Napoli nel 1979, prima della carriera diplomatica ha lavorato presso la Cattedra di Diritto dell’Unione Europea con un contratto di ricerca avente ad oggetto la tutela dei marchi e dei brevetti industriali nell’ambito della legislazione europea sulla proprietà intellettuale. Dunque è molto preparata in questo campo. Sembra però evidente che il sindaco di Corleone, Nicolò Nicolosi, che protesta e diffida la signora Lucia Riina ad usare il nome Corleone per il ristorante, sappia poco o nulla dei quadri della ultimogenita del padrino di mafia. Quadri in cui si usa il nome di Corleone, e lo stemma di Corleone, quello riconosciuto e protetto con D.P.C.M. del 30 ottobre 1929.
L’artista. Lucia Riina dipinge e vende quadri oltre a fare la ristoratrice a Parigi assieme al marito e ad un socio
I dipinti della signora Riina in vendita sul web, oltre a usare lo stemma di Corleone, raffigurano anche altri soggetti. La stessa cifra artistica, però, non cambia. L’artista Lucia Riina raffigura in un caso una sirena su uno scoglio, in un altro dipinto vediamo una sorta di Dafne formato sirena con il mare sullo sfondo e poi teste e volti di donne, con particolare attenzione agli occhi. Lucia Riina è una bella donna che ha degli occhi molto belli. Anche se, a guardare nel fondo di quegli occhi verdi, ci scorgi molta tristezza. Ma questa è una opinione che non ha nulla di giornalistico. Non si sa quanto costa un quadro, ma acquistare direttamente sul web i soggetti disegnati su tavolozza in legno, i dipinti eseguiti a mano, quindi unici, della signora Riina, consentono al compratore anche di sentirsi parte di un progetto di beneficenza. Eh sì, la signora Riina sostiene che per ogni quadro venduto, una parte del ricavato viene devoluto in beneficenza ad associazioni che di volta in volta vengono indicate pubblicando i bollettini dei versamenti effettuati. E siccome la signora Riina è donna d’onore, sia detto senza alcuna ironia, avendo venduto qualche quadro, ha effettuato le donazioni promesse. E mostra le prove. Ci sono i bollettini di versamento di somme di denaro a Save the Children Italia. E c’è anche copia della letterina di ringraziamento del direttore per l’Italia di Save The Children, Valerio Neri, per le donazioni ricevute dalla signora Riina e per aver deciso di “stare dalla parte due bambini”. Chissà che cosa pensò Lucia Riina dell’attenzione riservata da cosa nostra ad un bambino palermitano, Giuseppe Di Matteo, rapito da mafiosi travestiti da poliziotti il pomeriggio del 23 novembre 1993, quando aveva quasi 13 anni, in un maneggio di Piana degli albanesi. Un bambino strangolato e sciolto nell’acido l’11 gennaio 1996, poco prima di compiere 15 anni, dopo 25 mesi di prigionia, 779 giorni di sequestro. Di quel brutale assassinio fu condannato all’ergastolo assieme a tanti altri mafiosi anche suo zio Leoluca Bagarella. Perché Lucia Riina da Corleone è l’ultimogenita di Salvatore Riina ed Antonina Bagarella, sorella più piccola di Maria Concetta, Giovanni e Giuseppe Salvatore, quindi anche nipote di Leoluca Bagarella.
Ma torniamo allo studio francese, il “Cabinet Pierrat”, che si occupa anche dei contratti di vendita delle opere d’arte della signora Riina, delle mostre allestite in giro per il mondo e in Italia. A questo studio Lucia Riina ha deciso di affidare la tutela del proprio marchio. Lucia Riina come artista eclettica e poliedrica, ha anche altri interessi, come quello in campo musicale. E quello che ascoltate è un brano, Tru Factz, che parla di lei e della sua famiglia, della sua Sicilia, della sua Palermo, della sua vena artistica.
Sull’uso del nome Corleone, va detto, che l’ultimogenita di Salvatore Riina non è stata certo l’unica a servirsene come marchio. Dagli Stati Uniti alla Russia al Brasile, passando per la stessa Francia, non sono poche le aziende che hanno utilizzato il nome del paesino siciliano tristemente legato a fatti di mafia per le proprie attività commerciali. Come il ‘Corleone coffee’ made in Turchia o il ‘Corleone barber shop’ peruviano. Spuntano pizzerie e ristoranti col marchio ‘Corleone’ anche in Cile, nella Federazione Russa, Brasile e Repubblica Ceca. Senza contare che anche la Paramount Pictures, casa cinematografica che ha prodotto la trilogia de ‘Il Padrino’ di Francis Ford Coppola, ha pensato bene di registrare il marchio della città che ha dato i natali a Totò Riina, Leoluca Bagarella e Luciano Liggio.
Un mistero intriso di sangue e dolore ha scosso la città questa notte. Due donne sono state colpite da colpi d’arma da fuoco a poca distanza l’una dall’altra. Una è morta, l’altra lotta per la vita. I carabinieri della compagnia di Torre del Greco sono ora al lavoro per chiarire la dinamica dei fatti e verificare se si tratti di tentato omicidio-suicidio.
A perdere la vita è stata Ilaria Capezzuto, 34 anni, trovata in via Pinocchio, riversa sull’asfalto già senza vita, colpita da almeno un proiettile.
Gravemente ferita e ricoverata in pericolo di vita all’Ospedale del Mare, invece, Daniela Strazzullo, 30 anni, trovata all’interno di un’auto in via Don Luigi Sturzo, con una ferita d’arma da fuoco.
Le due zone – via Pinocchio e via Sturzo – sono distanti poche centinaia di metri, ma già in due diversi quartieri del capoluogo. Gli investigatori non escludono che le due donne si conoscessero e che dietro la tragedia ci sia una vicenda personale o sentimentale sfociata nel sangue.
L’arma non è stata ancora ritrovata, mentre le forze dell’ordine stanno passando al vaglio immagini di videosorveglianza e testimonianze per ricostruire i momenti precedenti alla sparatoria.
Solo una valanga poteva fermarli. Giorgia Rota, 29 anni, e Alessandro Aresi, 30, condividevano l’amore per la montagna e l’orizzonte aperto dell’avventura. Sabato mattina, armati di entusiasmo e di zaini colmi di passione, avevano lasciato il rifugio di Täsch con l’obiettivo di raggiungere la vetta dell’Alphubel, a 4.206 metri, una delle cime più iconiche delle Alpi svizzere. A 4.165 metri, nella zona dell’Eisnase, una valanga ha spezzato i loro sogni e le loro giovani vite.
I soccorsi elvetici, intervenuti con elicotteri e unità cinofile del soccorso alpino del Canton Vallese, non hanno potuto fare nulla. Le salme sono state recuperate poco dopo. La procura svizzera ha aperto un’inchiesta per chiarire le dinamiche della tragedia.
Due giovani sorrisi spezzati dalla passione più forte
Giorgia, originaria di Cesano Maderno, era una chimica naturopata e una viaggiatrice instancabile. Amava raccontare i suoi spostamenti nel mondo attraverso il profilo Instagram “giorgiafacose”, seguito da migliaia di persone. Africa, India, Centroamerica, le Alpi: i suoi post raccontavano una vita piena, vissuta alla ricerca di qualcosa che andasse oltre. «Lassù trovo tutto ciò che la società moderna si dimentica di darmi», scriveva in uno dei suoi post. Amava il crossfit, che praticava da dieci anni, ma soprattutto la libertà.
Alessandro, di Lacchiarella, era un esperto di comunicazione e marketing, tra i primi in Italia a trasformare l’agricoltura in un fenomeno digitale. Era conosciuto come uno degli agriyoutuber pionieri, realizzando video professionali per raccontare il mondo rurale con competenza e creatività. Ex calciatore della squadra di Giussago, dove viene ricordato come «un ragazzo esemplare in campo e fuori», era apprezzato per la sua determinazione e gentilezza. «Sempre sorridente, sempre disponibile», scrivono i compagni di scuola sui social.
Il dolore delle comunità
Sgomento a Cesano Maderno, dove il sindaco Gianpiero Bocca ha espresso cordoglio e vicinanza alla famiglia Rota: «Una tragedia che colpisce tutta la nostra comunità, in una settimana già segnata da un altro grave lutto».
Commozione anche a Lacchiarella, dove Alessandro era molto conosciuto. «Lascia un grande vuoto in tutta la comunità», dicono gli amici.
Due giovani vite piene di luce e sogni, spente in alta quota, proprio lì dove volevano arrivare. Per raccontare, per vivere, per scoprire. La montagna li ha accolti per l’ultima volta, nel silenzio e nella bellezza crudele delle sue vette.
È una notte di sangue e mistero quella che ha sconvolto l’area orientale di Napoli. Due donne, di 31 e 34 anni, sono state trovate con ferite da arma da fuoco a poca distanza l’una dall’altra. Una delle due è deceduta, l’altra lotta per la vita all’Ospedale del Mare, dove è ricoverata in condizioni gravissime.
I fatti
Il primo allarme è scattato in via Don Luigi Sturzo, dove i carabinieri della compagnia di Torre del Greco hanno trovato una 31enne all’interno di un’auto con una ferita da arma da fuoco. È stata soccorsa e trasportata d’urgenza in ospedale, ma le sue condizioni restano critiche.
Poco dopo, a breve distanza, in via Pinocchio – già all’interno del territorio cittadino di Napoli – è stato ritrovato il corpo senza vita di un’altra donna, 34 anni, anche lei colpita da un proiettile. Era riversa sull’asfalto, priva di sensi, e per lei non c’è stato nulla da fare.
Le indagini: ipotesi tentato omicidio-suicidio
Sul caso indagano i carabinieri, coordinati dalla Procura. Gli investigatori non escludono che i due episodi siano collegati e prendono in considerazione l’ipotesi di un tentato omicidio-suicidio. Le due donne potrebbero conoscersi, ma al momento nessuna pista è esclusa: movente passionale, personale o familiare.
La zona è stata delimitata e setacciata in cerca di testimoni e immagini di videosorveglianza, mentre i rilievi sono ancora in corso. Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire con precisione tempi, movimenti e rapporti tra le due donne.