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Economia

Los Angeles diventa capitale della moda e la creatività italiana trova un nuovo sbocco per i suoi mercati

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Los Angeles promuove l’eccellenza Made in Italy sulla West Coast. L’iniziativa nasce grazie alle sinergie tra Made Strategy, società di consulenza guidata dall’imprenditore emiliano Paolo Galli, e Iaccw-Italy America chamber of commerce west.  A ottobre c’è stata la sesta edizione di Apart Show, una sorta di contenitore per le Pmi italiane della moda.  Un appuntamento che rientra nel circuito della fashion week californiana, si rivolge a negozi privati di alta gamma, buyer, distributori, fashion blogger, influencer e stampa specializzata. Sede a West Hollywood, Apart nasce a Los Angeles non a caso ma perché da una ricerca di mercato è diventata un punto di riferimento mondiale della moda e se si chiede moda non può non esserci  il Made in Italy. Made Strategy può essere il punto di riferimento delle aziende italiani che vogliono una vetrina mondiale a Los Angeles o che dagli States vogliono rivolgersi al mercato europeo.  Il prossimo appuntamento con Apart è previsto a marzo, la sera del 13 dicembre la moda italiana è stata protagonista dell’Italian excellence gala & awards 2018 alla Greystone mansion di Beverly Hills. Organizzata dalla camera di commercio italo-americana a Los Angeles, la serata è stata l’ occasione per presentare nuove realtà della moda italiana, come Queen of noise e Naturans, ma anche per rendere omaggio a personalità come Eric Garcetti, sindaco di Los Angeles, Michela Secco, director of global sales di Waste Management, Stefan Siegel, ceo di Not Just a Label, Giorgio Tavecchio, giocatore NFL-National football league e Francesca Pasquinucci e Davide Giannoni dello studio creativo Imaginarium.

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Economia

La pizza napoletana: un simbolo di arte, economia e made in Italy

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Non è solo un’icona culturale e gastronomica, ma un motore economico di primaria importanza per Napoli, la Campania e l’intero Paese. La pizza napoletana, piatto simbolo per eccellenza, genera un fatturato che supera i 15 miliardi di euro in Italia, con ricadute significative sull’export agroalimentare e sulla promozione del made in Italy.

Numeri da record per la “rossa”

Secondo Coldiretti, la produzione annuale di 2,7 miliardi di pizze richiede:

  • 200 milioni di chili di farina;
  • 225 milioni di chili di mozzarella;
  • 30 milioni di chili di olio d’oliva;
  • 260 milioni di chili di salsa di pomodoro.

La pizza si conferma così ambasciatrice dei prodotti italiani, contribuendo a sostenere un export agroalimentare che nel 2024 ha raggiunto quota 70 miliardi di euro, con incrementi significativi per l’olio extravergine di oliva (+56%) e il pomodoro trasformato (+6%).

Riconoscimenti e impatto globale

Il riconoscimento nel 2017 dell’Arte dei Pizzaiuoli Napoletani come patrimonio immateriale dell’Unesco ha consolidato la fama internazionale della pizza napoletana, stimolando occupazione, turismo e formazione. Le accademie dedicate, molto frequentate da giovani di tutto il mondo, da Giappone a Brasile, attirano sempre più appassionati verso Napoli, oggi considerata l’hub mondiale della cultura alimentare.

Come sottolinea Alfonso Pecoraro Scanio, presidente di Univerde, questo riconoscimento ha dato una spinta decisiva alla diffusione del marchio napoletano, trasformando la pizza in un’attrazione globale. Non è un caso che Napoli sia stata incoronata da Taste Atlas come la città dove si mangia meglio al mondo.

Un mercato mondiale in crescita

A livello globale, il mercato della pizza vale quasi 160 miliardi di euro. Gli Stati Uniti guidano il consumo con una media di 13 chili pro capite l’anno, seguiti dall’Italia con 7,8 chili. La passione per la pizza è universale, ma è l’Italia, e in particolare Napoli, a detenere il primato nella qualità e autenticità.

Le sfide del made in Italy

Nonostante il successo, il settore deve affrontare la concorrenza sleale dei prodotti contraffatti. Il fenomeno dell’Italian sounding genera un giro d’affari di oltre 120 miliardi di euro, con il rischio di danneggiare la reputazione dei prodotti autentici. Nel 2023, l’Italia ha importato 85 milioni di chili di pomodoro cinese, un problema denunciato da Coldiretti e Anicav, che evidenziano i pericoli per il settore agroalimentare nazionale.

Un simbolo di cultura e tradizione

La pizza napoletana Stg (Specialità tradizionale garantita) è tutelata per legge, garantendo l’uso esclusivo di ingredienti italiani certificati come la mozzarella di bufala campana Dop, l’olio extravergine di oliva e il basilico fresco. Tuttavia, interpretazioni fantasiose all’estero, come le pizze all’ananas o alla carne di canguro, rischiano di danneggiare l’immagine di un prodotto che rappresenta la migliore tradizione italiana.

La pizza napoletana non è solo un cibo, ma un patrimonio culturale ed economico che incarna l’essenza del made in Italy. La sfida per il futuro è proteggere la sua autenticità, garantendo che ogni morso racconti la storia, la tradizione e la qualità inimitabile di Napoli e della Campania.

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Economia

Inter e Milan: il nuovo stadio di San Siro prende forma

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Entro fine febbraio, Inter e Milan presenteranno al Comune di Milano il nuovo piano economico-finanziario per l’area di San Siro, rispettando la scadenza fissata dal sindaco Giuseppe Sala. I due club lavorano a un progetto ambizioso, che prevede la costruzione di un nuovo stadio e il rilancio dell’intera area circostante.

Il progetto e il finanziamento

Il costo stimato dell’operazione oscilla tra 1 e 1,5 miliardi di euro. Per finanziare il progetto, Inter e Milan hanno avviato contatti con grandi istituti bancari italiani e internazionali, tra cui Jp Morgan, Bank of America e Banco Bpm, sponsor storico del Milan. L’idea è di coinvolgere anche altri partner finanziari nei prossimi mesi.

Lo schema del progetto prevede:

  • Acquisto dell’area di San Siro e delle zone limitrofe, valutate complessivamente 197 milioni di euro.
  • Parziale abbattimento del secondo anello del Meazza, che diventerebbe un museo dedicato alla storia delle due squadre.
  • Costruzione di un nuovo stadio nelle attuali aree di parcheggio, con servizi di lusso e spazi di hospitality che potrebbero garantire un significativo aumento degli introiti.

I ricavi da stadio, secondo le prime stime, passerebbero da 80 a oltre 130 milioni di euro a stagione per ciascun club, rendendo il progetto finanziariamente sostenibile e offrendo garanzie solide ai creditori.

Le sfide amministrative

Se il finanziamento sembra essere un nodo risolvibile, le maggiori incertezze riguardano le procedure burocratiche e il rischio di ricorsi da parte di comitati e associazioni locali. Il timore è che i tempi si allunghino ulteriormente, mettendo in difficoltà i piani dei club.

Il piano B del Milan

Nel caso in cui l’operazione San Siro si rivelasse troppo complicata, il Milan ha già un’alternativa: un terreno di 256 mila metri quadrati a San Donato, acquistato per 40 milioni di euro. Questa soluzione, tuttavia, non coinvolgerebbe l’Inter, che non sembra disposta a giocare fuori Milano.

Un progetto strategico per il futuro

Un nuovo stadio di proprietà rappresenta una priorità per entrambi i club, non solo per incrementare i ricavi ma anche per aumentare il valore delle società sul mercato. Per gli azionisti RedBird (Milan) e Oaktree (Inter), il successo di questa operazione sarebbe un passo decisivo verso un rafforzamento strategico.

Il sindaco Sala ha sottolineato l’intenzione del Comune di concludere la cessione dell’area entro l’estate. Le prossime settimane saranno decisive per determinare il futuro di San Siro e per capire se il progetto comune tra Inter e Milan potrà diventare realtà.

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Economia

Panetta, senza la pace l’economia non può prosperare

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Solo la pace può assicurare la “prosperità” e lo sviluppo duraturo “dell’economia” mentre la guerra, a parte i danni materiali e umani, porta “benefici transitori” e anche la tecnologia militare è utile solo se trova impiego nel campo civile, come nel caso dell’energia atomica o di internet. E’ un discorso fortemente incentrato sulla necessità di difendere gli aspetti positivi della globalizzazione di fronte a un mondo che si chiude, ma dandole una “coscienza” e riducendo “le diseguaglianze”, quello del governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta al Centro San Domenico a Bologna. L’occasione è l’incontro Economia e pace: un’alleanza possibile promosso dalla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice. Assieme a lui il Cardinale Matteo Maria Zuppi Arcivescovo metropolita di Bologna e Annamaria Tarantola, già Presidente Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice e con una lunga carriera in Banca d’Italia.

Da economista, il governatore sostiene la sua tesi con grafici e numeri alla mano. Il primo evidenzia proprio l’impennata dei conflitti del mondo, una situazione dove “la storia sembra ora fare un passo indietro” ed è ripresa la corsa agli armamenti anche dell’Europa a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. “Senza pace – scandisce Panetta – l’umanità non può prosperare; né può farlo l’economia”. Il governatore ha elencato i danni e i contraccolpi di ogni conflitto e ha sottolineato come “lo sforzo bellico sostiene la domanda aggregata e può stimolare l’innovazione, ma distorcendone gravemente le finalità. I benefici economici sono però transitori e non eliminano la necessità di riconvertire l’economia una volta concluso il conflitto”. Ed è sbagliato “attribuire alla spesa militare il merito del progresso tecnologico”, “L’investimento militare può generare innovazione se impiegato nella ricerca” ha detto ricordando come il progetto Manhattan, sviluppato negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, ha reso possibile lo sfruttamento dell’energia nucleare.

Analogamente il programma Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency), avviato negli anni cinquanta, è legato alla nascita di internet. In un mondo sempre più chiuso e lacerato e dove si riparla di protezionismo da parte della prossima amministrazione Trump, occorre salvare quindi il ‘buono’ della globalizzazione: la “libera circolazione di merci, capitali, persone e idee” ha fatto uscire milioni di persone dalla povertà estrema, ridotto i conflitti e le diseguaglianze fra gli stati. Ma quelle interne sono rimaste, non sono cresciute le libertà politiche, una gran parte dell’Africa è ancora al palo. Per questo la globalizzazione “è oggi percepita da molti, a torto o a ragione, come un progetto elitario”. Non è quindi una questione solo etica. Il contrasto e la riduzione delle diseguaglianze “è un prerequisito per lo sviluppo: se una parte significativa della popolazione è esclusa dalle opportunità economiche, l’intera economia ne risente” argomenta. “Ridurre i divari di reddito e di opportunità è fondamentale non solo per costruire una società più giusta ed equa, ma anche per garantire stabilità sociale”. La conslusione è affidata a una citazione di Papa Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio ‘… lo sviluppo è il nuovo nome della pace’.

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