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Cronache

L’orrore per Adolf Hitler, Mein Kampf e i nazisti tra i vicoli di Napoli mentre le “opere” del Führer si vendono in librerie e sul web

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Da 5 giorni non si parla d’altro. La statuetta di Hitler a San Gregorio Armeno. Sembra una questione capitale per il destino del Belpaese. Sembra che la statuetta di Hitler abbia certificato senz’ombra di dubbio l’esistenza di una cellula nazista\fascista\razzista\jihadista e qualunque altra schifezza che finisca in “ista” tra di decumani di Napoli.  Cioè, per capirci, uno realizza una statuetta di Hitler (ovvero di un personaggio della storia che ha rappresentato l’abisso dell’aberrazione umana) e solo per questo errore (perché è un errore realizzare quest’orrore genetico di nome Hitler) bisogna distruggere prima l’artigiano e poi l’intero comparto del presepio a San Gregorio Armeno. Un comparto della economia cittadina che muove un bel giro d’affari, produce ricchezza, fa arrivare turisti e altre cose che non sto a tirarvi pippe accadono senza che alcuno investa un centesimo di euro pubblico, anzi lasciando quella zona in uno stato di abbandono pietoso.

A Napoli c’è una sorta di generico indistinto masochismo che alimenta una specie di furia iconoclasta tipicamente nazista (o fascista o jihadista o “ista”) che ci porta a dover distruggere tutto quello che c’è solo perchè è stato commesso un errore. Hamsik sbaglia una partita? Dobbiamo cacciarlo! De Laurentiis non compra o vende un giocatore? È un cappone, se ne deve andare? Il sindaco difende i centri sociali? È un terrorista, se ne deve andare. Sbagliamo una statua? Chiudiamo San Gregorio Armeno. La questione non è migliorare le statuette, no, bisogna azzerare tutta l’area artigianale.

Dopo la statuetta di Hitler ne ho lette di ogni. C’è persino  chi ha chiesto (e cosa grave ottenuto) l’intervento dello Stato. Cioè lo Stato deve andare (ed è andato) dal pastoraio? A fare che cosa? A provare a capire chi ha commissionato la statuetta? O a provare a capire con quali soldi è stata pagata la statuetta? O forse a capire se l’artigiano è un nazista, magari a capo di una organizzazione eversiva di stampo nazista? È follia quello che accade. E quando accade a Napoli, sembra sempre di essere su un ottovolante che ci deve far ballare per giorni e giorni, anche se non c’è nulla dobbiamo ballare. Perchè sul palcoscenico del teatro di Napoli un rutto è un terremoto, una scorreggia un’eruzione, uno sputo una tempesta, una statuetta di Hitler un affare di Stato. E dunque prima mandiamo la Digos dal pastoraio. Poi i servizi segreti interni che monitorano la bottega. I carabinieri che chiedono informazioni ai vicini di bottega. Pippo Pelo che vuole capirci di più. Vespa che manda l’inviato per comprendere se c’è materiale per fare uno speciale Porta a Porta.  Tutto questo per una statuetta di Hitler venduta a Napoli. La statuetta di Hitler, ovvero il pupazziello di Hitler, a parte lo schifo nel vedere del fattezze del personaggio orrido con quei baffetti, non suscita particolari passioni politiche eversive. C’è una cosa però che nessuno vede, questa sì assai pericolosa e perniciosa.

In Italia ci sono edicole e librerie che vendono il libro di Adolf Hitler “Mein Kampf” ovvero il suo manifesto politico. È da quel libro che è scaturito il pensiero nazista che ha portato anche all’Olocausto. Qualcuno ha mai pensato di ritirare questi libri che incitano all’odio di razza ed al genocidio del popolo ebreo? Qualcuno ha mai provato ad andare sui siti web delle più importanti catene di distribuzione e commercializzazione on line di libri come Amazon, Ibs o Feltrinelli?

Bene, ve lo dico io. Su Amazon potete acquistare il libro di Hilter, il suo manifesto ideologico, Mein Kampf, in tutte le salse e a tutti i prezzi. Anche in formato ebook con sconti eccezionali per l’acquisto anche di un Kindle. Così comodamente da casa potete leggervi le idee (si fa per dire) di Hitler.

Sul sito della Feltrinelli viene pubblicizzato a prezzi stracciati dalle “Edizioni Clandestine”, un nome un programma.

Su Ibs, invece, c’è qualcosa in più che invoglia ad acquistare il manifesto della razza ariana ovvero quel sordido libro dal titolo evocativo “Mein Kampf”, “La mia (la sua) battaglia”. Se compri quel libro, come altri libri italiani, la società di distribuzione ti fa sconti al 40 per cento  sull’acquisto della pasta Rummo. Misteri.

 

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Pino Daniele e Amanda Bonini: un amore semplice, “all’antica”

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Pino Daniele, uno dei cantautori più amati della musica italiana, viveva il suo ultimo capitolo sentimentale con Amanda Bonini (foto tratta dal profilo Fb della signora Bonini), maestra elementare, in una relazione che definiva “all’antica”. «Dopo due famiglie, non smetto di credere nell’amore, perché se smetti di crederci, non vivi più», raccontava il cantautore in una delle sue ultime interviste. Con Amanda condivideva una visione della vita fatta di cose semplici, lontane dalle sovrastrutture del successo.

Amanda rappresentava per Pino un ritorno alle sue radici, al valore delle piccole cose. Una relazione che univa due mondi apparentemente lontanissimi: lui, superstar della musica, e lei, una donna normale, immersa nel mondo dell’educazione e della vita quotidiana.

La tragica notte del 4 gennaio 2015

A breve ricorreranno dieci anni dalla scomparsa di Pino Daniele, avvenuta il 4 gennaio 2015, in circostanze che Amanda Bonini ripercorre con emozione nel libro di Pietro Perone, Pino Daniele. Napoli e l’anima della musica. In quella notte drammatica, la coppia era a Magliano, in Toscana, dove avevano scelto di vivere per allontanarsi dal caos della città. Quando Pino accusò un grave malore, insistette per essere portato a Roma, al Sant’Eugenio, convinto che solo il suo cardiologo di fiducia potesse salvarlo.

«Durante il viaggio — racconta Amanda — Pino mi ha tenuto la mano, fino a quell’ultima doppia stretta, il suo ciao». La decisione di non aspettare un’ambulanza è stata oggetto di critiche, ma Amanda spiega: «Avrei provocato la sua ira e peggiorato la situazione. Piuttosto, non mi spiego perché dal Sant’Eugenio non sia partito un mezzo di soccorso cardio-assistito che ci venisse incontro».

Un ritorno alla normalità

Amanda e Pino avevano costruito una vita serena e semplice, fatta di routine e momenti quotidiani. Dopo un periodo a Roma, avevano scelto di trasferirsi a Magliano, un luogo tranquillo e vicino al lavoro di Amanda. «Alle sei e trenta uscivo di casa per andare a scuola, tornavo nel primo pomeriggio», ricorda Amanda. Questa normalità era per Pino un tuffo nelle sue origini, un ritorno al sale della vita di strada.

Pino si interessava al lavoro di Amanda, alle metodologie educative, e in particolare alle difficoltà vissute dalle famiglie con bambini disabili. Questi momenti, fatti di domande e riflessioni, lo riportavano a contatto con una realtà autentica, lontana dai riflettori e dal successo.

La serenità di Magliano e il ricordo di Pino

A Magliano, Pino Daniele aveva trovato un rifugio. Il piccolo paese sulle colline toscane rappresentava per lui un luogo di pace, dove poter vivere lontano dal caos delle metropoli e riscoprire una dimensione più autentica. Oggi, le sue ceneri riposano nel punto più alto del cimitero del paese, un luogo speciale per un artista che aveva scelto di vivere “felice e all’antica” con la sua compagna.

Dieci anni dopo: il ricordo di un grande artista

A dieci anni dalla scomparsa di Pino Daniele, il ricordo del cantautore vive non solo nella sua musica, ma anche nei racconti di chi gli è stato accanto. Amanda Bonini rappresenta un pezzo importante di quel ricordo, un amore che ha saputo riportare Pino alle sue origini e alla bellezza della vita semplice.

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Omicidio di Emanuele Tufano: il 15enne indagato ammette di aver sparato ma nega di essere l’assassino

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«Non sono stato io ad uccidere Emanuele». Così si è difeso F.A., il 15enne indagato per il coinvolgimento nell’omicidio di Emanuele Tufano, avvenuto lo scorso 24 ottobre in una traversa di corso Umberto, nei pressi di piazza Mercato a Napoli (nella foto il lugo del delitto). Durante l’interrogatorio condotto dal pm dei minori Claudia De Luca e dai pm della Procura di Napoli, F.A. ha ammesso di aver fatto fuoco con una pistola ma ha escluso categoricamente di essere l’autore del colpo fatale.

Difeso dall’avvocata Immacolata Spina, il ragazzo ha raccontato che il suo gesto sarebbe stato una reazione al fuoco aperto dal gruppo di cui faceva parte la vittima: «Hanno cominciato a sparare loro».

Il caos della notte del 24 ottobre

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la notte dell’omicidio ha visto contrapporsi due gruppi: uno proveniente dal rione Sanità, guidato da Emanuele Tufano e composto da circa 15 scooter, e l’altro del rione Mercato, con almeno quattro ragazzi a bordo di due moto. Il gruppo di Tufano avrebbe cercato di presidiare la zona di piazza Mercato in una chiara provocazione.

Quando sono partiti i colpi, il caos è stato totale. I ragazzi del rione Mercato hanno abbandonato le moto, cercando riparo dietro bidoni della spazzatura e auto parcheggiate. In quel momento, F.A. avrebbe impugnato una pistola e sparato. Tuttavia, le indagini hanno rivelato che nella sparatoria sono state utilizzate almeno quattro armi, e che in totale sono stati esplosi una ventina di colpi. È possibile che Emanuele sia stato colpito da un proiettile proveniente dal fuoco incrociato.

Le indagini e i punti oscuri

La Squadra Mobile, sotto la guida del primo dirigente Giovanni Leuci, sta lavorando per chiudere il cerchio attorno ai responsabili del conflitto a fuoco. Oltre a F.A., è stato interrogato un altro giovane indagato, un 17enne assistito dall’avvocato Mauro Zollo. Entrambi hanno fornito versioni parziali, contraddistinte da omertà e amnesie: nessuno dei due ha fatto nomi o riconosciuto complici nelle foto mostrate dagli investigatori.

Le indagini si concentrano ora sull’analisi delle immagini delle telecamere di sorveglianza presenti nella zona e sui rilievi balistici per determinare l’arma che ha ucciso Emanuele Tufano.

Un giovane indagato senza prospettive

F.A., al centro dell’inchiesta, ha dichiarato di trascorrere il tempo chiuso in casa, lontano dalle strade del suo quartiere. Non va a scuola, non lavora, e attende gli sviluppi di un’inchiesta che lo ha coinvolto in uno degli episodi di violenza giovanile più gravi degli ultimi mesi a Napoli.

Una città ferita tra silenzi e violenza

L’omicidio di Emanuele Tufano rappresenta l’ennesimo caso di violenza tra giovani nella città partenopea, aggravato da un muro di omertà che complica il lavoro degli inquirenti. Tra video su TikTok, pistole facili e quartieri in tensione, Napoli continua a fare i conti con un problema sociale e criminale che coinvolge adolescenti sempre più giovani, privi di opportunità e abbandonati a una vita senza regole né prospettive.

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Le mafie del nuovo millennio secondo Gratteri: meno visibili, più potenti

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Le mafie sparano meno, uccidono meno e si mostrano meno, ma mai come oggi hanno avuto tanto potere. Questo è il quadro tracciato dal procuratore di Napoli Nicola Gratteri (foto Imagoeconomica in evidenza) e dall’analista Antonio Nicaso nel libro “Una cosa sola”, pubblicato da Mondadori. Il testo esplora come le organizzazioni criminali si siano integrate nell’economia globale, sfruttando lacune normative, connivenze politiche e tecnologie avanzate.

«Le mafie sono una macchina perfetta di riciclaggio», spiegano gli autori, mettendo in evidenza la loro capacità di mimetizzarsi e infiltrarsi nei settori chiave dell’economia, dalla finanza alle energie rinnovabili, passando per il mercato immobiliare.

Il modello mimetico: mafie e finanza

Uno degli aspetti più preoccupanti emersi dal libro è l’uso sofisticato di strumenti finanziari per riciclare denaro sporco. Tra questi spiccano i “non performing loans” (NPL), ovvero crediti deteriorati acquistati per essere rivitalizzati e utilizzati per legittimare capitali di origine illecita. È il caso di Raffaele Imperiale, ex broker del narcotraffico, che ha svelato come la camorra utilizzi l’ingegneria finanziaria per nascondere proventi illeciti.

Imperiale, famoso per aver custodito due quadri di Van Gogh rubati ad Amsterdam, ha collaborato con la giustizia rivelando dettagli sul riciclaggio tramite debiti deteriorati e l’utilizzo di criptovalute, strumenti sempre più presenti nei circuiti criminali.

Nuove frontiere: dark web e petrolmafie

Le mafie si espandono rapidamente, adattandosi a nuovi strumenti tecnologici e settori economici. Dal dark web alle criptovalute, fino alla commercializzazione fraudolenta di prodotti petroliferi, il loro raggio d’azione si amplia continuamente.

Il caso delle petrolmafie, indagato nel 2021 da quattro Procure italiane, ha evidenziato la capacità delle cosche di collaborare per gestire un business miliardario nella distribuzione di prodotti petroliferi. Clan come i Moccia, i Mancuso e i Piromalli hanno costruito un sistema complesso e integrato, dimostrando quanto le organizzazioni criminali siano ormai un attore economico rilevante.

Una risposta legislativa insufficiente

Secondo gli autori, l’attuale normativa antimafia, basata sul 416bis del codice penale, appare sempre più inadeguata per affrontare le mafie del nuovo millennio. Come sottolinea il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, il radicamento territoriale, elemento cardine della legislazione attuale, non basta più a descrivere organizzazioni che operano a livello globale e si integrano perfettamente nell’economia legale.

Le nuove tecnologie, come i criptofonini e i droni, offrono alle mafie strumenti per mantenere contatti tra boss detenuti e affiliati liberi, complicando ulteriormente il contrasto alle attività criminali.

Una sfida politica e legislativa

Le mafie si evolvono e si adattano più rapidamente delle risposte politiche e legislative. Gratteri e Nicaso lanciano un monito: per contrastare efficacemente il crimine organizzato serve un ripensamento radicale delle strategie di lotta, che tenga conto della crescente integrazione delle mafie nell’economia globale e del loro uso avanzato delle tecnologie.

«Non si può più ignorare il carattere sistemico del fenomeno», concludono gli autori, sottolineando che il contrasto alle mafie richiede non solo un aggiornamento delle leggi, ma anche una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica.

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