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Economia

L’oro vola oltre i 4.000 dollari l’oncia: record storico tra crisi politiche e incertezza globale

L’oro supera per la prima volta i 4.000 dollari l’oncia, toccando quota 4.001,11 nelle contrattazioni asiatiche. Il metallo prezioso beneficia delle tensioni politiche e dell’incertezza economica globale.

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L’oro ha infranto un nuovo record storico, superando per la prima volta la soglia dei 4.000 dollari l’oncia. Nelle prime contrattazioni asiatiche il metallo giallo ha toccato quota 4.001,11, confermandosi come bene rifugio per eccellenza in un periodo di forte instabilità sui mercati globali.

Il balzo segue quello dei futures sull’oro di dicembre quotati al Comex di New York, che martedì avevano già superato i 4.000 dollari l’oncia, arrivando fino a 4.006 dollari.


Le cause del rialzo: tra crisi politiche e timori economici

A spingere il prezzo del metallo prezioso sono diversi fattori:

  • La paralisi di bilancio negli Stati Uniti, con il rischio di uno shutdown che agita i mercati;

  • La crisi politica in Francia, che aumenta l’incertezza nell’Eurozona;

  • E un generale ritorno degli investitori verso i beni rifugio, in un contesto di tassi elevati e timori di recessione.

Gli analisti sottolineano che l’oro, già protagonista di un rally costante negli ultimi mesi, continua a rappresentare la principale assicurazione contro l’instabilità finanziaria e geopolitica.


Gli scenari futuri

Secondo gli esperti, il superamento della soglia dei 4.000 dollari potrebbe aprire una nuova fase di volatilità nei mercati delle materie prime.
Se le tensioni internazionali dovessero proseguire, il prezzo dell’oro potrebbe spingersi ulteriormente in alto, attirando nuovi investitori istituzionali e privati in cerca di sicurezza.

Per ora, il metallo giallo si conferma il simbolo della sfiducia nei mercati tradizionali e della crescente incertezza economica mondiale.

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Economia

Mutui, tassi ancora in rialzo: Taeg al 3,71% e famiglie sempre più orientate al fisso

Nuovo aumento dei tassi sui mutui: a settembre il Taeg sale al 3,71%. Le famiglie scelgono il tasso fisso nonostante condizioni più alte. Cresce la domanda di finanziamenti per casa e imprese.

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Il costo dei nuovi mutui torna a salire. Secondo i dati della Banca d’Italia, il Taeg sui finanziamenti immobiliari è aumentato al 3,71% a settembre, rispetto al 3,67% di agosto e al 3,61% di luglio.

Il rialzo è legato sia alla crescita dell’Irs, l’indice che regola i mutui a tasso fisso, sia alla scelta delle famiglie italiane di orientarsi in oltre il 90% dei casi verso formule a tasso fisso, nonostante sul mercato i finanziamenti a tasso variabile offrano condizioni più basse, tra il 2,6 e il 2,8%.


Il peso degli Irs e la prudenza della Bce

I tassi fissi restano comunque inferiori ai picchi del 2023, quando si era superata la soglia del 4,5%. Tuttavia, la discesa attesa nei mesi scorsi non si è concretizzata a causa della prudenza della Bce e delle tensioni internazionali, che hanno spinto al rialzo gli indici a lungo termine.

Secondo il Codacons, dall’inizio dell’anno i tassi sui mutui sono aumentati dello 0,21%, pari a un aggravio annuo di circa 216 euro su un mutuo da 150.000 euro a 30 anni.


Domanda di mutui ancora in crescita

Nonostante il contesto sfavorevole, la domanda resta sostenuta. Bankitalia rileva che i finanziamenti alle famiglie per l’acquisto della casa sono cresciuti del 2,2% a settembre, confermando la tenuta del mercato immobiliare.

Dopo mesi in cui i mutui hanno rappresentato il principale motore del credito, durante l’estate è tornata a crescere anche la domanda delle imprese. I finanziamenti aziendali sono saliti dell’1,2%, lo stesso incremento già registrato ad agosto.


Crif: domanda in ripresa e rischiosità stabile

Il Crif conferma che, dopo il rallentamento tra il 2023 e il 2024, la domanda di credito ha ripreso a crescere mentre la rischiosità del sistema produttivo resta stabile: a giugno il tasso medio di default è al 3%, in linea con la fine del 2024.

Allo stesso tempo, l’incertezza continua a spingere verso il risparmio: i depositi del settore privato sono aumentati del 3%, in crescita rispetto al 2,7% di agosto.


La dinamica dei mutui conferma quindi un quadro in cui la domanda resta solida, ma la traiettoria dei tassi continua a essere influenzata dalle tensioni internazionali e dalla cautela della politica monetaria europea.

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Economia

Disoccupazione di lunga durata: Campania, Calabria e Sicilia tra le peggiori d’Europa secondo Eurostat

Secondo Eurostat, Campania, Calabria e Sicilia registrano tassi di disoccupazione di lunga durata tra i più alti d’Europa. Nel 2024, un disoccupato su tre nell’Ue è senza lavoro da oltre un anno.

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Le regioni del Sud Italia continuano a guidare la triste classifica europea della disoccupazione di lunga durata. Secondo i dati diffusi da Eurostat, nel 2024 Campania (9,9%), Calabria (8,3%) e Sicilia (8,0%) rientrano tra le aree dell’Unione europea con le quote più alte di cittadini senza lavoro da oltre un anno.


Un disoccupato su tre in Europa è senza lavoro da oltre dodici mesi

In tutta l’Unione europea, almeno 4,2 milioni di persone tra i 15 e i 74 anni risultavano disoccupate da più di dodici mesi, pari all’1,9% della popolazione complessiva.
Il dato evidenzia che circa un disoccupato su tre nell’Ue si trova in condizioni di inattività prolungata, con forti disparità tra Nord e Sud del continente.


Il divario italiano: il Sud in sofferenza

Oltre a Campania, Calabria e Sicilia, Eurostat segnala anche Puglia e Molise (5,2%), Sardegna (4,3%), Abruzzo (3,7%) e Basilicata (3,6%) tra le regioni italiane più colpite dal fenomeno.
Decisamente migliori le performance del Centro-Nord: Lazio (3,1%), Piemonte (2,4%), Liguria (2,2%), Emilia-Romagna (1,4%), Toscana e Lombardia (1,3%), fino al Veneto (0,9%) e alla provincia autonoma di Trento (0,7%), che si attestano tra i territori più virtuosi.


Peggio solo alcune regioni extraeuropee

A superare i livelli italiani di disoccupazione di lunga durata sono soltanto le enclave spagnole di Ceuta (15,8%) e Melilla (16,3%), oltre ai territori d’oltremare francesi di Guadalupa (11,4%) e La Réunion (8,2%).
Questi numeri collocano ancora una volta il Mezzogiorno tra le aree più fragili del mercato del lavoro europeo, dove la difficoltà nel reinserimento occupazionale resta una delle emergenze economiche e sociali più gravi.

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Economia

Unicredit ricorre al Consiglio di Stato sul golden power: “Chiarezza giuridica, non un atto di ostilità verso il governo”

Unicredit si rivolge al Consiglio di Stato per chiarire la sentenza del Tar sul golden power esercitato dal governo nell’ops su Banco Bpm. Il gruppo ribadisce: “Non siamo un rischio per la sicurezza nazionale”.

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Unicredit ha presentato ricorso al Consiglio di Stato per ottenere chiarezza definitiva sul golden power esercitato dal governo in occasione dell’operazione pubblica di scambio (ops) su Banco Bpm.
L’iniziativa arriva dopo che, lo scorso luglio, il Tar del Lazio aveva accolto solo in parte il ricorso dell’istituto di Piazza Gae Aulenti contro il decreto che limitava alcune attività strategiche della banca.

Secondo fonti vicine al dossier, il ricorso depositato lunedì mira a garantire “piena chiarezza giuridica su tutti gli elementi della sentenza” e a valutare con trasparenza i passi successivi.


“Non un gesto di ostilità verso il governo”

Da Unicredit non arrivano commenti ufficiali, ma l’iniziativa — spiegano le stesse fonti — non è un atto di sfida nei confronti dell’esecutivo.
L’obiettivo del board guidato da Andrea Orcel è ribadire che la banca non rappresenta alcun rischio per la sicurezza nazionale, in particolare in relazione ai dossier legati alla Russia.
Il ricorso, che dovrebbe essere deciso nel merito con una sentenza definitiva, serve anche a tutelare gli stakeholder e gli investitori da potenziali contenziosi futuri.


I punti contestati e la sentenza del Tar

Dei quattro punti contestati da Unicredit, il Tar ne ha annullati due:

  • Il primo riguardava la durata del divieto di ridurre il rapporto tra finanziamenti e depositi tra Banco Bpm e Unicredit in Italia.

  • Il secondo annullava l’obbligo di mantenere invariato il portafoglio di project finance.

Sono invece rimasti in vigore:

  • L’obbligo di uscita dalla Russia, previsto dal Dpcm.

  • La necessità di mantenere gli investimenti italiani in Anima Holding, società di risparmio gestito del Banco Bpm.


Orcel: “L’uscita dalla Russia resta chiara, ma i tempi si allungano”

Sul fronte russo, Andrea Orcel ha confermato al Financial Times che il processo di uscita dal Paese prosegue, pur con lentezze dovute ai vincoli imposti da Mosca.
“La volontà di lasciare la Russia è assolutamente chiara”, ha dichiarato il ceo, sottolineando che gli ostacoli legali e regolamentari introdotti dal Cremlino stanno rallentando il percorso.
Secondo Orcel, la filiale russa sarà eliminata dal perimetro del gruppo entro il prossimo anno.


Il dibattito sul golden power a Bruxelles

Il tema dei poteri speciali statali è tornato anche nel dibattito europeo.
“A livello teorico — ha spiegato un alto funzionario dell’Ue — le fusioni transfrontaliere sono considerate positive, ma nella pratica le questioni politiche interferiscono”, in vista dell’Eurogruppo di mercoledì.
La presenza di vincoli nazionali, ha aggiunto, “non è in linea con l’obiettivo di un settore bancario europeo unificato e consolidato”.


Verso una nuova fase di chiarezza normativa

Con il ricorso a Palazzo Spada, Unicredit intende chiudere definitivamente la fase di incertezza giuridica e riaffermare la propria solidità istituzionale.
L’esito della decisione del Consiglio di Stato sarà determinante per il futuro assetto delle relazioni tra banche e poteri governativi, in un quadro europeo che punta sempre più alla integrazione e trasparenza del settore bancario.

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