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Economia

Londra si aggrappa allo sconto sui dazi ma è allarme

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Colpito nella misura minima del 10% dai dazi proclamati a raffica contro l’intero globo terracqueo da Donald Trump, il Regno Unito – tradizionale junior partner numero uno di Washington – prova a fare buon viso a cattivo gioco sullo sfondo dell’incubo d’una guerra commerciale planetaria. Ma l’entrata in vigore senza esenzioni delle misure tariffarie fa comunque salire l’allarme anche a Londra, tra le fibrillazioni in Borsa e le inquietudini della City, spingendo il governo laburista di Keir Starmer ad alzare un pochino la voce: sebbene senza per ora seguire l’Ue sulla strada dell’annuncio di ritorsioni ravvicinate e insistendo in prima battuta sulla scommessa di riuscire ad arrivare a un accordo a più vasto raggio col presidente Usa in grado di riassorbire la minaccia. Possibilmente presto.

“Il nostro Paese”, si è consolato in mattinata il ministro delle Attività Produttive, Jonathan Reynolds, si trova in posizione “relativamente migliore” di altri sull’ammontare dei dazi americani, limitati da The Donald alla soglia base da lui fissata al 10% rispetto all’impatto di peso doppio scaricato su Bruxelles o al 34% annunciato contro la Cina.

Poi, riferendo in Parlamento sulle prospettive della burrasca, ha aggiunto che in ogni caso l’esecutivo britannico “è deluso” per una mossa destinata inevitabilmente ad avere contraccolpi sui commerci mondiali e a creare ostacoli all’interscambio fra il Regno e l’alleato americano, suo singolo partner principale nell’import/export. Di qui la comunicazione dell’avvio di “consultazioni” preliminari con il mondo del business come “passaggio formale necessario al fine di tenere tutte le opzioni” aperte e poter pianificare ipotetici contro-dazi futuri.

Rappresaglia che il ministro ha evitato di evocare esplicitamente, ribadendo di considerare “preferibile e vantaggiosa” la soluzione di un’intesa bilaterale post Brexit di libero scambio con Washington, rispetto alla quale Downing Street continua ad alimentare la speranza di “un negoziato rapido” sulla base dei “progressi” accreditati ai contatti recenti fra Starmer e Trump. Obiettivo rispolverato del resto dal premier in persona, di fronte a un gruppo d’industriali convocati in fretta e furia a number 10 per fare il punto su un’emergenza che minaccia di peggiorare il già problematico scenario economico dell’isola e colpire non solo settori già esposti quali acciaio o automotive.

Uomini d’azienda a cui Starmer ha confermato di voler privilegiare la ricerca di “un accordo” con Trump; non senza rilanciare tuttavia l’avvertimento che “nulla è fuori dal tavolo” e che la Gran Bretagna “è preparata” a reagire “con calma e sangue freddo” con tutte le leve disponibili laddove l’auspicata intesa – per strappare la quale la compagine laburista appare disposta stando ai media pure a chinare il capo sulla cosiddetta Digital Tax, a favore dei colossi tecnologici americani – dovesse slittare. Sir Keir rimarca d’altronde, a margine di un comizio d’apertura della campagna elettorale per le elezioni amministrative britanniche di maggio, come lo spettro della “guerra commerciale sia un male per i lavoratori e le aziende”. Mentre prende atto dei segnali di “una nuova era” carica d’incognite nelle relazioni economiche internazionali, alla luce di un terremoto che non è frutto di “un’iniziativa a breve termine” trumpiana. Contesto a cui – ammonisce – il Regno dovrà “adattarsi”, accelerando nella sfida per affrontare la crisi e rilanciare l’economia nazionale: costi quel che costi.

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Economia

Criptovalute, la maggioranza vuole bloccare l’aumento della tassa dal 2026

La maggioranza spinge per fermare l’aumento della tassazione sulle cripto-attività previsto dal 2026. Giorgetti e Panetta richiamano sulla legalità economica e sui rischi legati all’uso illecito delle crypto.

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Centrodestra in pressing per bloccare l’aumento dell’aliquota sulle cripto-attività dal 26% al 33% previsto dal 2026. Con una serie di emendamenti alla manovra, le forze di governo puntano a scongiurare l’incremento, dopo che già lo scorso anno il tema aveva acceso il dibattito parlamentare e portato a un aumento molto ridotto rispetto al 42% inizialmente proposto.

Giorgetti: “Crimini economici minaccia per i sistemi democratici”

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, intervenuto alla Scuola di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza insieme al governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, ha richiamato l’attenzione sui rischi legati ai reati economici: “Sono una minaccia per la stabilità dei sistemi democratici”.
Il ministro ha sottolineato l’importanza della legalità fiscale: “Quando le tasse vengono pagate da tutti in modo equo e le imprese operano senza concorrenza sleale, il sistema funziona”.

Panetta: serve vigilanza sulle cripto-attività

Il governatore Panetta ha ricordato che l’evasione è diminuita dal 2011, ma l’economia irregolare resta pari al 10% del Pil. Ha evidenziato il ruolo positivo dei pagamenti elettronici sulla tracciabilità, ma ha anche avvertito sui rischi legati all’uso delle criptovalute per fini illeciti: “Servono regole e controlli”.

La battaglia sugli emendamenti alla manovra

L’intesa nella maggioranza sul tema crypto aumenta le probabilità che la proposta entri nella lista dei 414 emendamenti prioritari che i partiti dovranno selezionare tra quasi 6mila.
La ripartizione è complessa: Forza Italia potrà salvarne solo 39 su 677, FdI 123 su 500, la Lega 57 su 399 e Noi Moderati 19.

Tra le altre misure in valutazione:

  • tassa da 2 euro sui piccoli pacchi extra Ue come possibile copertura

  • tassazione agevolata sull’oro proposta da Lega e Forza Italia

  • ampliamento della rottamazione quinquies

  • stop all’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi

  • eliminazione del divieto di compensazione dei crediti fiscali

Meloni prepara un nuovo vertice di maggioranza

La premier Giorgia Meloni riunirà nuovamente i leader della coalizione per definire la linea in vista del voto in commissione. Nel frattempo FdI ha lanciato una campagna di comunicazione sulla manovra intitolata “Dalla parte degli italiani”, per sostenere le scelte del governo.


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Economia

Euro digitale vs stablecoin Usa: la sfida tra Bce, Apple e Big Tech per il futuro dei pagamenti

L’Europa accelera sull’euro digitale mentre gli Usa puntano sulle stablecoin: la sfida tra Bce, Big Tech e amministrazione Trump ridisegna il futuro dei pagamenti digitali.

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L’amministrazione Trump ha concentrato la sua strategia sulle stablecoin ancorate al dollaro, con il timore europeo che Amazon, Facebook o altre piattaforme Usa possano diventare la porta d’ingresso per una diffusione massiccia degli asset crypto in Europa.
Secondo una fonte finanziaria, il negoziato transatlantico appare fragile: «è come costruire una casa sulle sabbie mobili», viene spiegato, viste le posizioni volubili della controparte americana.

La risposta europea: l’euro digitale entro il 2029

La Bce corre contro il tempo per lanciare entro il 2029 l’euro digitale, uno strumento pensato per:

  • mantenere una moneta pubblica contro l’offensiva delle stablecoin;

  • ridurre la dipendenza dalle carte di credito statunitensi;

  • frenare l’espansione di PayPal, Apple Pay e Big Tech nei pagamenti europei.

L’euro digitale avrà due modalità d’uso:

  1. App su smartphone

  2. Card fisica, simile a una carta di credito

Sarà denaro vero, un “contante dematerializzato” con due tasche: una online e una offline, la seconda costruita su token conservati fisicamente nel telefono, trasferibili avvicinando due dispositivi e garantendo anonimato totale.

Apple nel mirino: la battaglia sull’antenna NFC

Per i pagamenti offline la Bce punta tutto sull’antenna NFC del telefono, ma su iPhone l’accesso al secure element è sempre stato chiuso.
La bozza legislativa europea prevede che tutti i produttori, quindi anche Apple, debbano aprire l’hardware necessario all’euro digitale.

Il Digital Markets Act ha definito Apple un gatekeeper, permettendo alla Commissione europea di imporre l’apertura dell’NFC. In caso contrario, Cupertino rischierebbe persino l’accesso al mercato europeo, che vale il 35% della sua presenza globale.

Le tensioni strategiche

La partita è delicata su entrambi i fronti:

  • Per gli Usa, le stablecoin sono un vettore geopolitico del dollaro.

  • Per l’Europa, l’euro digitale è un argine alla penetrazione americana nei pagamenti.

  • Per Apple, aprire l’ecosistema significa cedere un vantaggio competitivo, ma l’App Store potrebbe guadagnare dai servizi collegati all’euro digitale.

Il confronto si annuncia lungo e complesso, con la Bce determinata a non farsi superare dai colossi tech e dalle mosse di Washington.

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Economia

Eurozona, previsioni d’autunno migliori del previsto: Bruxelles vede crescita oltre l’1% nel 2025

La Commissione europea si prepara a rivedere al rialzo le previsioni d’autunno: la crescita dell’eurozona nel 2025 potrebbe tornare sopra l’1%. Restano incognite geopolitiche, da Trump alla guerra in Ucraina.

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Nonostante un contesto geopolitico fragile, l’eurozona potrebbe crescere più del previsto. La Commissione europea presenterà lunedì le nuove previsioni economiche d’autunno, e rispetto a maggio il quadro appare più luminoso.

Le anticipazioni di Bruxelles

Il commissario all’Economia Valdis Dombrovskis ha anticipato il filo conduttore delle nuove stime: nel 2025 l’economia dell’area euro “sta registrando risultati migliori delle aspettative e continua a generare crescita”, pur tra ostacoli significativi.

Dalle stime al ribasso al ritorno dell’ottimismo

A maggio la Commissione aveva rivisto al ribasso le previsioni: +0,9% per l’eurozona nel 2025 e +1,4% nel 2026. A pesare era stata la guerra dei dazi con gli Stati Uniti.
L’accordo raggiunto in luglio in Scozia tra Ursula von der Leyen e Donald Trump su una tariffa standard del 15% ha però riportato stabilità. È possibile — in attesa dell’annuncio ufficiale — che le nuove stime riportino la crescita dell’eurozona oltre l’1%.

Le indicazioni di Bce, Ocse ed Eurostat

A settembre la Bce era già stata più ottimista, assegnando un +1,2% all’eurozona nel 2025. Stesse percentuali indicate dall’Ocse per il prossimo anno.
Eurostat, il 14 novembre, ha certificato un +0,2% nel terzo trimestre 2025 per l’eurozona e +0,3% per l’Ue.

Cosa Bruxelles chiederà agli Stati

La Commissione punterà a esortare i Paesi membri a fare di più:

  • semplificazione burocratica,

  • progressi sull’unione bancaria,

  • accelerazione dell’Unione dei risparmi e degli investimenti.

Il contributo dei privati sarà cruciale, come indicato dal rapporto Draghi sulla competitività, tema centrale nel summit Ue del 12 febbraio convocato da Antonio Costa.

I punti critici: Italia, Germania e variabile Trump

Restano ombre significative: Eurostat segnala crescita zero per Italia e Germania nel terzo trimestre. Berlino fatica ancora a uscire dalla crisi industriale.
Sul fronte esterno pesa il fattore Trump: secondo il negoziatore statunitense Jamieson Greer, le tariffe Ue sull’export americano restano “troppo elevate”. Greer sarà a Bruxelles la prossima settimana per un nuovo round di trattative.

Lunedì il verdetto

Le previsioni d’autunno diranno se l’eurozona potrà davvero riprendere slancio, superando il muro dell’1% e lasciandosi alle spalle un anno di incertezza economica.

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