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Cronache

Lo Stato c’è a Napoli, sfrattate le ceneri del baby camorrista Sibillo dall’altare dedicato alla Madonna

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La più becera e volgare  delle manifestazioni profane: l’edicola votiva della Madonna che nel cuore di Napoli accoglieva anche i simboli del potere mafioso. I carabinieri del comando provinciale di Napoli, insieme con la Direzione Distrettuale Antimafia, all’alba di oggi, contestualmente all’arresto di 21 persone, “eredi” del defunto baby boss Emanuele Sibillo, hanno anche assestato un duro colpo all’iconografia criminale e restituito l’opera religiosa all’esclusivo culto mariano. Davanti a quell’altare eretto nella Napoli delle vestigia greche i commercianti dovevano inginocchiarsi, non per rendere omaggio alla madre di Gesu’ ma al baby boss, ucciso nel 2015, le cui ceneri riposavano li’ ai piedi della Madonna, in un’urna funeraria. Stamattina sotto gli occhi degli alunni dell’Istituto Comprensivo Statale Teresa Confalonieri che stavano facendo ingresso in classe, i militari dell’arma hanno “ripulito” l’altare e riconsegnato alla famiglia vetrate, tendaggi, fioriere, un busto raffigurante il baby boss, una serie di sue foto e anche l’urna con le sue ceneri mentre nei dedalo di stradine che caratterizzano i Decumani, le forze dell’ordine eseguivano gli arresti degli indagati a cui vengono contestati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, ricettazione, spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco con le aggravanti delle finalita’ mafiose. Una manifestazione non di forza ma di autorevolezza dello Stato. Che arriva con grande ritardo, ma che per fortuna arriva. Lo Stato è più forte della camorra. Lo  Stato esige rispetto perchè la su forza è il consenso dei cittadini perbene che vogliono essere liberati dalla camorra. Tra gli episodi emersi nell’ambito delle indagini figura anche quello di un negoziante che e’ stato letteralmente trascinato dai suoi aguzzini nel civico 26 di via Santissimi Filippo e Giacomo, il palazzo della “buonanima” (Emanuele Sibillo) dove risiede la famiglia malavitosa, per costringerlo a prostrarsi dinanzi ai resti e all’effige del baby boss, prima che gli venisse rivolta la richiesta estorsiva. Come ha spiegato il generale Giuseppe Canio La Gala, il blitz scattato all’alba di oggi ha un duplice merito: “avere liberato i commercianti dal racket” e “la citta’ dalla simbologia malavitosa”. Il comandante provinciale dei carabinieri di Napoli, nell’invitare i negozianti “a non abbassare la testa, a non girarsi dall’altra parte”, ha voluto anche ricordare le parole pronunciate giorni scorsi dall’arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia: “‘Quello che spaventa non e’ il rumore dei violenti, ma il silenzio degli onesti'”. “La camorra – ha detto ancora il generale La Gala – e’ forte perche’ puo’ contare sull’indifferenza e su coloro che, girandosi dall’altra parte, puntano il dito senza far nulla”. La capacita’ del micro-clan Sibillo (in passato componente della “paranza dei bambini” ancora legata ai Contini dell’Alleanza di Secondigliano) di intimorire le proprie vittime, come anche il consenso che in certi strati della societa’ e’ riuscito a guadagnarsi tra il 2013 e il 2015, e’ ancora visibile sulle mura dei vicoli attraverso gli slogan (“Sibillo Regna”) e la sigla “ES17”, il marchio di Emanuele, ucciso a soli 19 anni, nell’estate del 2015, in un agguato a colpi di arma da fuoco scattato durante la guerra con i rivali della famiglia Buonerba. Un giovane “intelligente” definito dal gip di Napoli nella sentenza emessa il 15 giugno 2016 un “eroe eterno dei vicoli… venerato quasi come San Gennaro…”. I Sibillo si erano anche appropriati di una residenza per anziani che gestivano a loro piacimento. Impressionanti le minacce subite il 26 febbraio 2018 da un negoziante, a cui alcuni il clan e’ arrivato a chiedere un pizzo di 50mila euro o, in alternativa, una casa: “‘o zi’, se pensate di andare dalle guardie, dopo di noi ci sono altre 10 persone che ti possono uccidere”. Un parcheggiatore abusivo, invece, veniva costretto a versare ben 400 euro alla settimana nelle casse della malavita. Ora la camorra sa che lo Stato vince quando vuole. E se arrivano altri dieci camorristi al posto di quelli arrestati, finiranno dietro le sbarre anche loro.

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Cronache

Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Cronache

Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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