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Cronache

Lo Stato a Pomigliano d’arco, i “politici contigui ai clan” e la bulimia di protagonismo chi vive sui social network

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Chi sono i criminali  che a Capodanno hanno bruciato le vetture in uso alla polizia locale di Pomigliano d’Arco? I carabinieri sono al lavoro per provare a capire matrice, mandanti e autori di un atto criminale vile che assomiglia tanto anche ad una sfida allo Stato. Bisogna però aspettare. E soprattutto lavorare, non chiacchierare. Per fortuna le indagini le fanno i carabinieri. Questi sono, per ora, i fatti che girano intorno al rogo delle vetture dei vigili urbani. Mentre i carabinieri indagano, a Pomigliano però c’è chi sembra abbia dei sospetti quantomeno su matrice e mandanti dell’atto criminale. E chi è c’avanza sospetti? Il comandante della polizia municipale, il colonnello Luigi Maiello. Lui sarebbe tra quelli che dovrebbe lavorare con i carabinieri (e forse lo sta facendo) per capire che cosa è successo. Nel frattempo però si abbandona a lunghi sproloqui sui social network. In quell’area del napoletano, l’area Nord, la famigerata Terra dei Fuochi, di vigili urbani social & chiacchiere ce ne sono tanti. Lo stile è chiacchiere e distintivi. Ma che cosa scrive (e dice) il colonnello Maiello? “Bisogna avere proprio una gran faccia di m… e tanta ipocrisia nel manifestare false attestazioni di solidarietà” scrive Maiello sui social. “Io preferisco gli attentatori, vittime inconsapevoli di quella cultura criminale diffusa anche dalle campagne d’odio scientificamente architettate e dirette dai nuovi strateghi del malaffare”. Con chi ce l’ha? È una cosa seria o frasi a casaccio per qualche “like” in più?

Il Capo dei vigili. Il colonnello Luigi Maiello

“I veri criminali – si sfoga ancora questo colonnello Maiello – sono quelli che rivestendo un ruolo istituzionale e politico si fanno voce e portavoce di loschi figuri, esercitando continue e poco velate pressioni ed ingerenze per favorire gruppi di potere criminale che vogliono arricchirsi sulle spalle dei cittadini, della gente perbene ed inerme. Sono questi i veri nemici del popolo e della città”. Si riferisce a qualcuno in particolare o sintetizza solo la storia e la letteratura criminale di un’area del Napoletano dove i rapporti incestuosi e malati tra camorra e politica è fatto di pagine vergognose? Siccome questo Luigi Maiello non è un quivis de populo ma comanda la polizia locale di Pomigliano d’Arco, crediamo che con queste parole abbia voluto dire qualcosa. E siccome chi indossa la divisa (anche quella dei vigili urbani) non deve produrre chiacchiere ma informative di reato da inoltrare alla magistratura, proviamo a fornire un consiglio a Maiello.  Se sa qualcosa sull’attentato alla polizia locale di Pomigliano, se ha qualche sospetto su mandanti e autori del rogo scriva una informativa di reato e la mandi alla Procura della Repubblica. Se cerca aiuto, ne parli con i magistrati e con i carabinieri che stanno lavorando all’inchiesta senza produrre chiacchiere e polemiche inutili. Insomma, i vigili urbani (baluardo di sicurezza locale) facciano come le altre forze di polizia: lavorare, non chiacchierare sui social network. Nel frattempo speriamo che i carabinieri o il magistrato chiamino Maiello e ascoltino tutto quello che ha da dire su questa vicenda e sui suoi sfoghi social. Giusto per capire se sono le solite scemenze senza senso per ottenere qualche like in più o se invece questo colonnello dei vigili urbani con solida reputazione sul web ha davvero qualcosa di serio da dire sul rogo delle auto dei vigili urbani. Un rogo che allo stato sembra essere una sfida allo Stato. Perchè i vigili urbani, come anche Maiello sa, sono lo Stato anche a Pomigliano d’arco. E siccome sono lo Stato, si comportano come altre simili articolazioni dello Stato: serietà, sobrietà, lavoro in silenzio e fatti da comunicare alla magistratura.

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Choc a Nola: marito violento, giovane ‘liberata’ dai carabinieri grazie all’intervento della suocera

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Dopo anni di soprusi e maltrattamenti, la storia di terrore vissuta da una giovane donna di Nola ha finalmente trovato un epilogo in tribunale. Un giovane di 21 anni, con un passato turbolento segnato da dipendenza da droga e violenze, è stato arrestato e accusato di sequestro di persona, maltrattamenti e lesioni personali aggravate. Le aggressioni brutali, compresa una tentata strangolazione e attacchi pericolosi anche ai passanti nel centro antico di Nola, finiranno con il suo arresto.

La Procura di Nola, con l’ausilio dei carabinieri, ha condotto un’indagine lampo che ha portato alla luce gli abusi subiti dalla donna per anni. La vittima, che aveva sopportato in silenzio gli attacchi del compagno, ha trovato la forza di parlare solo dopo l’intervento della madre dell’aggressore, che l’ha convinta a cercare aiuto e cure mediche.

Durante l’ultima aggressione, la donna ha subito gravi danni all’orecchio e all’occhio, oltre a numerose altre ferite. In ospedale, il personale ha allertato le autorità, innescando una serie di eventi che hanno portato all’arresto del giovane. Nonostante il profondo legame affettivo che la legava al suo aguzzino, il quale chiudeva la porta di casa a chiave per impedirle di scappare, la donna ha finalmente deciso di rompere il silenzio.

Il Gip del Tribunale di Nola, Teresa Valentino, ha accolto la richiesta di custodia cautelare in carcere presentata dalla Procura, segnando un decisivo punto di svolta nel caso. La giovane donna ha espresso il desiderio di vedere giustizia fatta: «Chiedo che venga punito per quello che mi ha fatto», ha dichiarato, evidenziando il lungo calvario e la paura che ha vissuto, temendo anche per la sicurezza della sua famiglia.

Questa vicenda sottolinea la tragica realtà della violenza domestica e l’importanza di supportare le vittime nel trovare la forza di parlare e denunciare i loro aggressori. L’arresto del giovane non solo mette fine a un ciclo di violenza, ma serve anche come monito sulle conseguenze legali che attendono coloro che sceglieranno di perpetrare tali crimini.

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Tony Colombo e Tina Rispoli restano in carcere, confermate in Cassazione le accuse di camorra

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La Corte di Cassazione ha recentemente respinto le richieste di scarcerazione per il cantante neomelodico Tony Colombo e sua moglie Tina Rispoli, implicati in un’inchiesta del pool antimafia. La coppia è accusata di avere legami con il clan Di Lauro, operante nella zona di Scampia-Secondigliano.

Le indagini, condotte dai pm Maurizio De Marco e Lucio Giugliano, puntano a dimostrare come Colombo e Rispoli, nonostante non appartengano direttamente a una famiglia mafiosa, siano profondamente inseriti nelle dinamiche criminali del clan. I giudici della quinta sezione della Suprema Corte hanno sottolineato la “totale condivisione di intenti” tra i coniugi e la loro “estrema pericolosità”, evidenziata dal loro “perdurante e costante inserimento nei contesti illeciti”.

L’accusa si concentra anche sulla gestione di un capannone industriale associato a Vincenzo Di Lauro, con arresti confermati anche per lui dalla Cassazione, e sulla condivisione di un marchio commerciale legato alla moda e all’abbigliamento. Le prove raccolte includono intercettazioni telefoniche e ricostruzioni finanziarie effettuate dalle forze dell’ordine.

Il deputato Francesco Emilio Borrelli di Alleanza Verdi Sinistra ha commentato il caso, sottolineando come lui e il suo partito abbiano per anni lottato contro il sistema di Colombo e Rispoli, denunciando i loro legami con la camorra che, a suo dire, molti hanno preferito ignorare.

Questa vicenda mette ancora una volta in luce le intricate connessioni tra il mondo dello spettacolo e le organizzazioni criminali in alcune aree di Napoli, rivelando come figure pubbliche possano a volte essere coinvolte in attività illecite che sfruttano la loro visibilità per operazioni economiche dubbie. La decisione della Corte di Cassazione rappresenta un passo significativo nel tentativo delle autorità di combattere il crimine organizzato, dimostrando che nessuno è al di sopra della legge, anche quando si tratta di figure note al grande pubblico.

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Processo per usura e racket ai clan di Napoli Ovest, l’assenza per paura dei commercianti

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Napoli ovest è ancora una volta teatro di un processo che mette in luce la profonda infiltrazione della camorra nelle attività quotidiane dei cittadini. Il processo, che ha avuto inizio ieri con la prima udienza preliminare, vede coinvolte venti persone, identificate dalla Procura come membri del clan Vigilia. Questo gruppo, a lungo dominante nel rione Traiano per il controllo delle piazze di spaccio, è ora accusato di estorsione e usura nei confronti di commercianti locali.

Il giudice per le udienze preliminari ha preso in esame il caso, che rivela come un commerciante di via Epomeo sia stato costretto a pagare fino a 15mila euro in diverse rate sotto minaccia. Queste pratiche estorsive non sono isolate, ma parte di una strategia di radicamento criminale che ha visto i cittadini, indicati come vittime dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Napoli, sottomessi a tassi usurari e pressioni continue.

La nota più triste di questa vicenda è l’assenza in aula delle presunte vittime, i “cittadini innocenti” che hanno subito intimidazioni e minacce. Questo silenzio è indicativo dell’atmosfera di paura che regna in alcune aree di Napoli, dove l’omertà sembra ancora prevalere. Nonostante la gravità delle accuse, nessuna delle vittime ha voluto presentarsi per rivendicare il proprio status di parte offesa.

Il processo vede anche la costituzione di parte civile da parte del Comune di Napoli e della Presidenza del Consiglio, oltre che dell’associazione Sos Impresa, rappresentata dall’avvocato Alessandro Motta. Questi soggetti cercano di sostenere il procedimento giudiziario e di offrire supporto alle vittime, spesso lasciate sole a fronteggiare la criminalità organizzata.

L’udienza è stata occasione per gli avvocati di delineare le strategie difensive, con alcuni imputati che hanno optato per il rito abbreviato, sperando in una riduzione della pena. Tuttavia, il clima di tensione non diminuisce, come dimostrano episodi recenti di violenza nella stessa area, tra cui un raid in un parco giochi che ha visto una madre ferita mentre si prendeva cura della figlia.

Il caso continuerà a giugno, con il ritorno in aula e l’attesa delle richieste di condanne per coloro che hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato. Intanto, il verdetto duro contro il clan Sorianiello, emesso nello stesso periodo, conferma l’esistenza di una rete criminale ben strutturata, capace di imporre il proprio dominio attraverso la violenza e l’intimidazione.

Questo processo non è solo un’esposizione delle dinamiche criminali di Napoli ovest, ma anche un esame della capacità della giustizia di proteggere i cittadini e di affermare l’autorità dello Stato in zone dove la legge sembra avere poco potere. Le conseguenze di questo processo saranno cruciali per la lotta alla camorra e potrebbero segnare un punto di svolta nella ripresa di controllo civile nelle aree più turbolente della città.

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