L’Italia, sin dalla sua unificazione, ha vissuto una frammentazione politica interna che ha spesso reso difficile la costruzione di una politica coesa ed efficace. Questa debolezza strutturale si è aggravata nel corso del tempo, trasformandosi in un vero e proprio “teatrino politico”, in cui l’obiettivo primario dei partiti non sembra essere il benessere della Nazione, ma piuttosto la delegittimazione dell’avversario politico di turno.
Uno degli effetti più evidenti di questa fazione esasperata è l’incapacità dell’Italia di mantenere una posizione solida e coerente sulla scena internazionale. Ogni governo, indipendentemente dal suo colore politico, si trova ostacolato da un’opposizione che, invece di contribuire al consolidamento dell’interesse nazionale, cerca di sfruttare qualunque situazione per minare la stabilità dell’esecutivo in carica.
Un esempio lampante di questa cronica incapacità di fare sistema riguarda la politica estera. A parole, tutti i governi italiani si dichiarano atlantisti, occidentalisti e sostenitori della cooperazione internazionale, ma nei fatti questa coerenza viene spesso sacrificata sull’altare della lotta politica interna.
- Caso Ocalan (1998-1999): durante il governo di centrosinistra di Massimo D’Alema, la permanenza del leader curdo in Italia provocò uno scontro diplomatico con la Turchia e creò un duro confronto interno tra le forze politiche, esponendo il Paese a tensioni internazionali.
- Caso Almasri (2024): il governo di centrodestra ha espulso un cittadino libico senza tener conto del rischio di gravi ripercussioni diplomatiche per un mandato di arresto della CPI. L’opposizione, invece di lavorare per una soluzione condivisa, ha colto l’occasione per attaccare il governo, aggravando le tensioni con il mondo arabo e delegittimando l’Italia sulla scena internazionale.
Questi episodi dimostrano come la politica estera italiana sia ostaggio di interessi di parte, incapace di trovare una strategia univoca che vada oltre il mandato di un singolo governo.
Uno dei dossier più critici per l’Italia è senza dubbio quello dell’immigrazione. Un fenomeno complesso, che necessita di soluzioni strutturali e condivise, ma che invece è diventato il terreno di scontro per eccellenza.
- Quando governa il centrosinistra, il centrodestra accusa l’esecutivo di essere troppo permissivo e incapace di gestire i flussi migratori.
- Quando governa il centrodestra, il centrosinistra accusa il governo di essere disumano e di violare i diritti fondamentali dei migranti.
Nel frattempo, l’Italia resta senza una politica migratoria efficace, priva di accordi stabili con i paesi di origine e di transito, esposta alla pressione dell’Unione Europea e incapace di tutelare i propri confini in modo equilibrato e sostenibile.
Oltre alla faziosità politica e all’assenza di una linea unitaria, l’Italia soffre di una cronica instabilità di governo. Negli ultimi 30 anni, il nostro Paese ha visto un’alternanza così rapida tra governi di diverso orientamento da rendere impossibile qualunque strategia di lungo periodo.
- I governi italiani durano in media 1-2 anni, mentre in altri paesi europei come Germania o Francia, gli esecutivi hanno un ciclo di vita molto più lungo, permettendo loro di attuare riforme di ampio respiro.
- Le continue crisi di governo impediscono all’Italia di costruire relazioni internazionali solide, poiché ogni nuovo esecutivo spesso ribalta le decisioni del precedente, lasciando gli alleati internazionali nel dubbio su quale sia la reale posizione del Paese.
Questa incapacità di fare sistema ha ripercussioni pesanti sull’immagine e sulla credibilità dell’Italia a livello internazionale.
- Affidabilità compromessa: gli alleati della NATO e dell’UE percepiscono l’Italia come un partner inaffidabile, incline a cambi repentini di posizione.
- Marginalizzazione nelle decisioni globali: l’Italia raramente riesce a incidere sui grandi tavoli della geopolitica internazionale, rimanendo spesso relegata a un ruolo di secondo piano.
- Danni economici: la mancanza di stabilità politica e diplomatica disincentiva gli investimenti esteri e ostacola le grandi strategie di sviluppo economico.
L’Italia non può permettersi di essere un Paese perennemente bloccato dalle divisioni interne, soprattutto in un mondo sempre più complesso e competitivo. È necessaria una riforma della cultura politica, basata su alcuni principi fondamentali:
- Separare il dibattito interno dalla politica estera: le questioni di rilevanza internazionale non possono essere utilizzate come arma politica per screditare il governo in carica.
- Creare un consenso bipartisan su dossier strategici: immigrazione, difesa, politica industriale e rapporti con le grandi potenze devono essere affrontati con una visione condivisa, indipendentemente dal colore politico del governo.
- Stabilizzare il sistema istituzionale: una riforma che garantisca maggiore stabilità ai governi permetterebbe all’Italia di avere un ruolo più influente nello scenario internazionale.
- Superare il benaltrismo: smettere di delegittimare le azioni di governo senza proporre alternative concrete e realizzabili.
Se l’Italia vuole essere un protagonista credibile sulla scena internazionale, deve uscire dalla logica della lotta continua tra fazioni e costruire una strategia unitaria che metta l’interesse nazionale al primo posto.