L’Isis torna a far parlare di sè in Libia, all’indomani dell’attacco contro la sede del ministero degli Esteri a Tripoli, rivendicato dal suo braccio armato nel Paese nordafricano. E’ “un’ulteriore minaccia alla già fragile situazione di sicurezza” nella capitale e “un attacco inaccettabile”, ha stigmatizzato l’Unione europea.
La stretta di mano tra Haftar e Serraj sotto gli occhi di Conte alla Conferenza di pace Palermo
Martedi’ mattina, tre attentatori suicidi hanno preso d’assalto l’edificio, aprendosi la strada con l’esplosione di un’autobomba. Entrati nel palazzo, un kamikaze si è fatto esplodere al secondo piano, mentre un secondo è rimasto ucciso dalla deflagrazione – a quanto pare involontaria – di una valigetta bomba che portava con sè. Un terzo è stato ucciso dalle forze di sicurezza. Altre fonti parlano di cinque attentatori, tre uccisi dalle forze di sicurezza. I morti sono un alto funzionario del ministero, Hibraim Shibani, diplomatico e direttore generale del Dipartimento relazioni islamiche, un dipendente e una terza persona, che secondo alcuni fonti sarebbe stato Abdul-Rahman Mazoughi, portavoce della Brigata rivoluzionaria, una delle milizie al potere nella capitale libica. Una dozzina i feriti. Da tempo l’Isis e’ tornata in azione in Libia, dove secondo alcuni esperti dell’antiterrorismo vorrebbe avvantaggiarsi del caos politico interno per creare un nuovo ‘Califfato’, sulle ceneri di quello spazzato via in Iraq e Siria. “Siamo stati consumati dalle nostre stesse rivalita’ interne”, ha ammonito il ministro dell’Interno, Fathi Bashagha, dopo l’attacco: “Ecco perche’ non abbiamo forze speciali equipaggiate e addestrate per prevenire quanto accaduto”. Il ministro degli Esteri, Mohamed Sayalah, ha fatto appello alla comunita’ internazionale perche’ metta fine all’embargo sulle armi in Libia, introdotto nel 2011 dopo l’inizio della rivolta contro Muammar Gheddafi. “Non potremo garantire la sicurezza in Libia fino a quando il Consiglio di sicurezza dell’Onu non ci dara’ la possibilita’ almeno su alcune armi (necessarie, ndr) per combattere il terrorismo”. Ma nel caos libico in queste ore tiene banco anche un’altra notizia: il sostegno russo a un “ruolo politico” di Saif al Islam Gheddafi, il ‘delfino’ del defunto rais. “Nessuno deve rimanere escluso. Saif al Islam ha il sostegno di alcune tribu’, e tutto cio’ dovrebbe far parte del processo politico”, ha detto l’altro ieri il viceministro degli Esteri di Mosca, Mikhail Bogdanov. Secondo alcuni osservatori, potrebbe trattarsi della prima mossa russa verso un maggior ruolo in Libia, dove apertamente sostiene il maresciallo Khalifa Haftar, ma non ha mancato di far sentire il proprio sostegno anche al ‘rivale’ Fayez al Sarraj, anch’egli ricevuto in pompa magna al Cremlino nei mesi scorsi.
Le nazioni musulmane hanno un “nemico comune” e devono “cingere una cintura di difesa” dall’Afghanistan allo Yemen e dall’Iran a Gaza e al Libano. Lo afferma il leader supremo iraniano Ali Khamenei mentre presiede le preghiere del venerdì in Iran per la prima volta in cinque anni. Lo riporta Sky News. La Guida Suprema ha aggiunto che l’attacco del 7 ottobre di Hamas contro Israele, “è stato un atto legittimo, così come l’attacco dell’Iran al Paese questa settimana”. Il raid missilistico è la “punizione minima” per i crimini di Israele, ha affermato Khamenei.
“Il brillante attacco dell’Iran – ha affermato la Guida Suprema citato dalla TV di Stato – è stata la minima punizione per i crimini senza precedenti del regime lupesco e assetato di sangue che è il cane rabbioso degli Stati Uniti nella regione. L’Iran continuerà ad adempiere al suo dovere né con fretta né con ritardo. I nostri responsabili politici e militari agiranno con logica e saggezza”.
Salvatore Mancuso, l’ex leader delle Autodifese unite della Colombia (Auc), il più sanguinario gruppo paramilitare mai esistito nel Paese sudamericano nominato ‘gestore della pace’ da Gustavo Petro, ha chiesto oggi “perdono” alle sue vittime in un atto pubblico a Montería, la capitale del dipartimento di Cordoba, a cui ha partecipato il presidente colombiano.
“Non sapevo allora quello che so adesso: che in guerra non ci sono vincitori, siamo tutti perdenti e siamo qui nonostante le differenze ideologiche e politiche”, ha dichiarato Mancuso. Davanti a centinaia di contadini e vittime, l’ex leader paramilitare ha aggiunto di assumersi “la responsabilità di tanto dolore, sofferenza e lacrime; dell’esproprio di terre, dell’umiliazione a cui siete stati sottoposti a causa degli ordini che ho dato agli uomini e alle donne che erano sotto il mio comando nelle Auc”. Mancuso ha chiuso l’atto pubblico, in cui sono stati consegnati 11.700 ettari di terre alle sue vittime, dichiarando: “Dal profondo del mio cuore vi chiedo perdono”.
La Corea del Nord utilizzerà le armi atomiche “senza esitazione” in caso di attacco da parte della Corea del Sud o dei suoi alleati americani. E’ l’avvertimento lanciato da Kim Jong Un, come riferito dall’agenzia ufficiale Kcna. Pyongyang “utilizza senza esitazione tutti i mezzi offensivi a sua disposizione, comprese le armi nucleari” se “il nemico” ci attacca, ha sottolineato durante un’ispezione ad una base delle forze speciali. All’inizio della settimana Seul ha organizzato una parata militare ed il presidente Yoon Suk Yeol ha minacciato “la fine del regime nordcoreano” se Pyongyang avesse usato armi nucleari.
Alcune settimane fa il Nord aveva divulgato per la prima volta le immagini di un impianto di arricchimento dell’uranio, che mostravano il leader Kim in visita al sito mentre chiedeva più centrifughe per potenziare l’arsenale nucleare del paese. La Corea del Nord, che ha condotto il suo primo test nucleare nel 2006 ed è sotto una serie di sanzioni Onu per i suoi programmi di armi vietate, non aveva mai divulgato pubblicamente i dettagli del suo impianto di arricchimento dell’uranio prima.
Le relazioni con il Sud sono ai livelli punti più bassi da anni, con il Nord che ha recentemente annunciato lo spiegamento di 250 lanciamissili balistici al suo confine meridionale. Pyongyang ha designato Seul come suo “principale nemico” e si è dichiarata una potenza nucleare “irreversibile”. Kim, replicando alle affermazioni del presidente Yoon, lo ha definito un “burattino”. Le dichiarazioni di Kim hanno anche fatto riferimento all’alleanza del Sud con gli Stati Uniti, che sono il suo principale partner militare, con decine di migliaia di soldati statunitensi di stanza nel Paese.