A nulla sono valsi gli appelli alla sua liberazione. Alle prime ore dell’alba l’Iran ha giustiziato il dissidente iraniano-svedese Farajollah Habib Chaab, accusato di aver progettato e condotto operazioni terroristiche nella provincia del Khuzestan, tra cui un attentato dinamitardo nel 2018 durante una parata militare annuale ad Ahvaz, che costò la vita a 25 persone, tra soldati e civili. La presidenza di turno dell’Unione europea, rappresentata dalla Svezia, ha condannato l’esecuzione, sottolineando che la pena di morte è una “punizione inumana e irreversibile”. Stoccolma ha anche convocato l’ambasciatore iraniano. Drammatica e singolare l’odissea di Chaab, 50 anni, noto anche come Habib Asyud. Dopo avere vissuto per un decennio in esilio in Svezia il dissidente venne rapito da agenti iraniani durante una sua visita in Turchia nel 2020 ed introdotto clandestinamente nella Repubblica islamica. Un mese dopo la sua scomparsa, venne mostrato in un video sulla tv di stato, in cui ammetteva di essere responsabile di attacchi terroristici e di avere collaborato con i servizi di intelligence sauditi. Il 21 marzo scorso la Corte Suprema iraniana ha poi confermato la sua condanna a morte. Dopo il suo arresto la Svezia aveva provveduto a offrirgli assistenza consolare ma senza risultato, perché l’Iran non riconosce la doppia nazionalità.
Le relazioni diplomatiche fra questi due Paesi sono alquanto tese da tempo: a fare da sfondo c’è infatti il caso di Hamid Noury, un ex funzionario carcerario iraniano condannato all’ergastolo in primo grado in Svezia per il suo ruolo nelle esecuzioni di massa di prigionieri ordinate da Teheran nel 1988. Il suo processo aveva provocato l’ira di Teheran, che regolarmente denuncia procedimenti “politici” e “accuse infondate e inventate contro l’Iran”. Ma oltre alla Svezia sono molti i casi di cittadini con nazionalità straniera arrestati negli ultimi anni in Iran, principalmente con l’accusa di spionaggio, e anche giustiziati. A gennaio è stato condotto al patibolo il britannico-iraniano Alireza Akbari, di 61 anni, dopo essere stato condannato per spionaggio per conto del Regno Unito.
Una circostanza che Londra ha sempre negato. In un messaggio audio a Bbc Persian aveva affermato di essere stato torturato e costretto a confessare davanti alla telecamera crimini che però non aveva commesso. In quella occasione il primo ministro britannico Rishi Sunak aveva definito la sua esecuzione “un atto insensibile e codardo, compiuto da un regime barbaro”. Ad aprile invece la Corte Suprema dell’Iran ha confermato la condanna a morte per il tedesco-iraniano Jamshid Sharmahd, 67 anni, per presunto coinvolgimento in un attentato mortale alla moschea nel 2008, accuse che lui nega. Secondo Amnesty il suo processo è stato “gravemente iniquo” e l’uomo è stato torturato. Almeno 16 persone che posseggono un passaporto occidentale, tra cui sei francesi, sono attualmente detenuti in Iran, la maggior parte dei quali con doppia cittadinanza. L’Iran è il Paese con il maggior numero di esecuzioni dopo la Cina, secondo le organizzazioni per i diritti umani, che stimano il numero di impiccagioni a 582 nel solo 2022.