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‘L’Iran attaccherà Israele nei prossimi giorni’

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L’Iran ha deciso: l’attacco israeliano del 26 ottobre sarà “sicuramente” vendicato e la risposta “sarà schiacciante”, ha giurato la Guida suprema Ali Khamenei. L’ayatollah non ha precisato i tempi né la portata dell’azione che Teheran intende condurre contro Israele ma, secondo una fonte israeliana al Washington Post, la rappresaglia sembra imminente e avverrà “nei prossimi giorni”, mentre si avvicina la data delle elezioni americane. Gli Stati Uniti hanno promesso di venire in soccorso a Israele e il Pentagono ha annunciato il dispiegamento di nuove forze Usa in Medio Oriente per affrontare la minaccia iraniana. In particolare, con nuovi cacciatorpedinieri, squadroni di caccia e aerei cisterna e bombardieri d’attacco a lungo raggio B-52, che però raggiungeranno la regione solo nei prossimi mesi.

Provato dagli effetti dell’attacco israeliano di una settimana fa, che ha colpito sistemi di difesa e siti di produzione di missili, è possibile che l’Iran si avvalga questa volta dei suoi affiliati nell’Asse delle Resistenza, la coalizione di milizie finanziate e armate dall’Iran nella regione, a partire da quelle irachene. La sedicente Resistenza islamica in Iraq ha rivendicato nelle ultime ore il lancio di droni contro la città israeliana di Eilat. “Tre droni lanciati da est sono stati intercettati sul Mar Rosso”, ha dichiarato l’Idf spiegando di averli distrutti “prima che entrassero in territorio israeliano”. I jet israeliani continuano intanto a martellare Gaza, in particolare il nord della Striscia, dove Hamas denuncia la morte di 84 persone, tra cui oltre 50 bambini in appena 24 ore, con decine di feriti e dispersi sotto le macerie di due edifici residenziali. Anche due soldati israeliani hanno perso la vita in combattimenti a nord di Gaza, mentre l’Oms ha riferito di almeno 6 feriti in un attacco non meglio precisato che ha “colpito” un centro di vaccinazioni antipolio dove genitori e bambini erano in fila, “in un’area in cui era stata decretata una pausa umanitaria”.

Anche sul fronte nord appaiono del tutto naufragati i tentativi di mediazione per una tregua con Hezbollah che solo nell’ultima giornata ha lanciato 130 razzi verso Israele, compresi quelli che nella notte hanno raggiunto località vicine a Tel Aviv ferendo 9 persone. L’aeronautica israeliana ha continuato a bombardare il Libano e la roccaforte del Partito di Dio nel sud di Beirut. Mentre per la prima volta dall’inizio della guerra la Marina militare ha condotto un blitz nel nord del Paese – con almeno 25 uomini, secondo alcuni media – per catturare “un’importante fonte” che potrebbe fornire informazioni sulle forze navali di Hezbollah: un commando della Shayetet 13 è arrivato nella notte via mare e ha fatto irruzione in un edificio sulla costa di Batroun, a sud di Tripoli, dove ha prelevato l’uomo, Imad Amhaz, prima di lasciare la zona a bordo di motoscafi.

Ora, riferiscono i media israeliani, l’uomo viene interrogato dall’Unità 504 della Direzione dell’intelligence militare. In rete circola il video di una telecamera di sorveglianza che mostra il momento dell’operazione. Secondo il ministro dei Trasporti libanese Ali Hamiye, Amhaz è un comandante di navi civili, ma per Israele sarebbe responsabile delle attività marittime di Hezbollah. Fonti libanesi avevano fatto trapelare che il blitz notturno era stato “concordato” con la Marina tedesca in forza all’Unifil: circostanza smentita dalla missione Onu, che ha condannato come “irresponsabili” le informazioni “fuorvianti e infondate” che mettono a rischio i caschi blu.

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Raid di Israele, distrutti principali siti militari siriani anche vicino Damasco

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Forti esplosioni sono state udite a Damasco, riporta un giornalista dell’agenzia di stampa Afp. Le esplosioni a Damasco sono state udite poco dopo che la ong Osservatorio siriano per i diritti umani aveva riferito di circa 250 raid israeliani in Siria dalla caduta del presidente Bashar al-Assad, domenica. Secondo la ong, da domenica Israele ha preso di mira le principali installazioni militari siriane in tutto il Paese con l’obiettivo di distruggerle. Israele “ha distrutto i principali siti militari in Siria” lanciando circa 250 attacchi dalla caduta del presidente Bashar al-Assad: lo riporta la ong Osservatorio siriano per i diritti umani. Secondo la ong – che ha sede nel Regno Unito e si avvale di una vasta rete di fonti in tutta la Siria – Israele ha bombardato aeroporti, radar, depositi di armi e munizioni e centri di ricerca militare, e ha danneggiato le navi della Marina siriana attaccando un’unità di difesa aerea vicino al grande porto di Latakia, nel nord-ovest del Paese.

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Putin non vede Assad e tratta per salvare le basi

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La bandiera del deposto regime è stata sostituita da quella degli ex oppositori anche sull’ambasciata siriana a Mosca, e la sede diplomatica ha detto di essere ora in attesa di “istruzioni” da parte del nuovo governo. Non ci poteva essere segnale più chiaro di come il vento sia cambiato ma anche dell’incertezza che regna sul futuro, mentre il Cremlino cammina sul filo del rasoio cercando di non voltare completamente le spalle all’ex presidente ma anche di salvare il salvabile, a partire dalle sue basi sul Mediterraneo. E’ stato Vladimir Putin a prendere personalmente la decisione di concedere asilo “per motivi umanitari” ad Assad e alla sua famiglia, ha detto il portavoce Dmitry Peskov.

Una decisione fatta filtrare nella serata di domenica da “una fonte” all’agenzia Tass. Nessun annuncio ufficiale, insomma, e nessun incontro previsto, almeno pubblico, tra Putin e il suo ex protetto. “Non c’è alcun colloquio del genere nell’agenda ufficiale del presidente”, ha sottolineato Peskov, rifiutando anche di precisare quando sia stato l’ultimo incontro tra i due, anche se i media siriani avevano parlato di una visita segreta di Assad a Mosca alla fine di novembre. Il copione rispecchia la necessità della leadership russa di cercare di creare o mantenere contatti con i nuovi padroni a Damasco, con l’obiettivo primario di salvare la base navale di Tartus – l’unica di Mosca sul Mediterraneo – e quella aerea di Hmeimim, nella vicina Latakia. “E’ troppo presto per parlarne, in ogni caso questo sarà argomento di discussione con coloro che saranno al potere in Siria”, ha osservato il portavoce.

Ma per capire chi saranno costoro anche Mosca dovrà aspettare la formazione del governo, soppesare il ruolo e l’importanza delle varie figure e le influenze esercitate da potenze regionali e mondiali. Per questo, ha affermato Peskov, mentre la Siria si avvia ad attraversare “un periodo molto difficile a causa dell’instabilità”, è “molto importante mantenere il dialogo con tutti i Paesi della regione”. Compresa la Turchia, il principale sostenitore dei ribelli e jihadisti che hanno rovesciato Assad. La Russia cerca dunque di riprendersi dallo shock per lo smacco subito. “Quello che è successo probabilmente ha sorpreso il mondo intero, e noi non facciamo eccezione”, ha ammesso Peskov.

Mentre il segretario generale della Nato, Mark Rutte, non ha resistito alla tentazione di punzecchiare Mosca, insieme con Teheran, accusandole di essersi dimostrate “partner inaffidabili” di Assad. I media e i blogger militari russi si sono mostrati quasi altrettanto impietosi nell’analisi di quanto successo, e dei costi che Mosca potrebbe essere chiamata a pagare. Emblematico il titolo dell’autorevole giornale del mondo imprenditoriale Kommersant: ‘La Russia ha perso il principale alleato in Medio Oriente’. Mentre il canale Telegram Rybar, che vanta legami con il ministero della Difesa, mette in guardia dalle conseguenze di una possibile perdita delle due basi. Sia quella di Tartus sia quella di Hmeimim “hanno svolto un ruolo logistico importante per le operazioni della Russia in Libia e nel Sahel”, sottolinea il blog. Un rimedio efficace potrebbe essere l’apertura di una nuova base a Port Sudan, sul Mar Rosso. “Ma la guerra civile in Sudan non è ancora finita, il che complica i negoziati in corso”, valuta Rybar. Mentre un porto sulla costa libica della Cirenaica, di cui si parla da tempo, sarebbe troppo lontano per garantire i rifornimenti regolari con aerei da trasporto a pieno carico.

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Tv, Jolani sceglie premier di Hts per governo transitorio

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Sarà Muhammad Bashir, e non l’esiliato ex premier siriano Riad Hijab o l’attuale primo ministro Muhammad Jalali, il capo del governo di transizione a Damasco. Lo riferisce la tv al Jazira nella capitale siriana secondo cui Muhammad Bashir è il premier del “governo di salvezza”, che da anni amministra nel nord-ovest siriano le aree sotto controllo di Hayat Tahrir ash Sham (Hts), guidata da Abu Muhammad Jolani (Ahmad Sharaa). La scelta di Muhammad Bashir sarebbe stata imposta, afferma la tv, dallo stesso Jolani.

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