Collegati con noi

Economia

L’ira dei sindacati, all’ex Ilva sciopero il 20 ottobre

Pubblicato

del

Ventiquattro ore di sciopero, 8 ore per turno, venerdì 20 ottobre in tutti gli stabilimenti ex Ilva e manifestazione nazionale a Roma “davanti a palazzo Chigi”: i sindacati dei metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm proclamano una nuova giornata di protesta denunciando la “situazione grave” in cui versano gli impianti e i lavoratori. La decisione arriva dall’assemblea dei delegati del gruppo Acciaierie d’Italia, con i segretari generali Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella, organizzata – con sedie e palco – davanti alla sede del ministero delle Imprese e made in Italy.

A Taranto – sottolineano i sindacati – la produzione di acciaio viaggia sotto quota 3 milioni di tonnellate, la metà della sua capacità; nel complesso 3 mila lavoratori sono in cassa integrazione, l’indotto “è in stato comatoso”. Chiedono di risolvere una volta per tutte la vertenza, garantendo produzione, occupazione e sicurezza. Rilanciando così la siderurgia italiana, considerata strategica, e rimettendo al centro l’intera questione industriale. “Se si vuole dare un futuro all’ex Ilva, salvare migliaia di posti di lavoro e l’ambiente, la scelta obbligata è quella di un immediato cambio di governance e di gestione dell’intero gruppo”, con il passaggio della maggioranza in mano pubblica, ribadiscono Fim, Fiom e Uilm.

Acciaierie d’Italia holding è attualmente detenuta al 38% da Invitalia e al 62% da ArcelorMittal. I sindacati dei metalmeccanici chiedono anche un’audizione alle commissioni parlamentari e l’istituzione di una commissione d’inchiesta che “verifichi eventuali responsabilità” nella gestione dell’azienda. Davanti allo stabilimento di Taranto protestano intanto gli imprenditori dell’indotto che dicono “no all’ipotesi di amministrazione straordinaria” e chiedono il rilancio di una produzione ecocompatibile autorizzata a sei milioni di tonnellate l’anno e la garanzia dei crediti maturati dalle imprese e dai fornitori. Il tempo “purtroppo non è un fattore neutrale”, sottolinea Benaglia, e “noi fermi non stiamo finché il governo non ci riconvoca”.

“La responsabilità è di tutti fuorché dei lavoratori. Se non si apre una trattativa, si apre una stagione di scontro”, afferma De Palma. “Non bastano soluzioni tampone, lo Stato deve dare un segnale inequivocabile ed essere al fianco dei lavoratori”, rimarca Palombella. Al via, dunque, le assemblee negli stabilimenti, iniziative il 16 ottobre davanti alle prefetture delle province interessate dai siti produttivi (Taranto, Genova, Novi Ligure, Racconigi i principali) prima dello sciopero del 20 ottobre.

Advertisement

Economia

Spotify licenzia ancora, taglia altre 1.500 persone

Pubblicato

del

Tempi duri per Spotify. La società di streaming musicale ricorre ancora una volta ad un piano di licenziamenti. Questa volta a fare le valigie sono in 1.500, dopo averne già messe alla porta nel corso dell’anno 800. “Per allinearci ai nostri obiettivi futuri e assicurarci la dimensione giusta per le sfide che abbiamo davanti, ho preso la difficile decisione di ridurre di circa il 17% le persone della società”, si legge in un messaggio del ceo, Daniel Ek, pubblicato sul sito web del colosso svedese . Si tratta di una decisione “difficile” ma un passo cruciale per creare una più forte ed efficiente Spotify nel futuro”. E’ la terza riduzione del personale annunciata dal colosso dello streaming musicale nel 2023, dopo quella del 6% di gennaio e del 2% di giugno della piattaforma destinata all’unità podcast. “Mi rendo conto che per molti una riduzione di questa portata sembrerà sorprendentemente ampia, data la nostra recente trimestrale e la nostra performance”, sottolinea ancora Ek.

“Abbiamo discusso di eventuali riduzioni minori nel corso del 2024 e del 2025. Tuttavia, considerando il divario tra il nostro obiettivo finanziario e i nostri attuali costi operativi, ho deciso – spiega l’ad nell’illustrare i motivi dei nuovi tagli – che un’azione sostanziale per ridimensionare i nostri costi era l’opzione migliore per raggiungere i nostri obiettivi” anche se si tratta di un taglio incredibilmente doloroso per il nostro team”. La scelta arriva dopo un terzo trimestre ben accolto dal mercato, grazie a una crescita dei ricavi e dei sottoscrittori premium superiore alle attese e alla generazione di un utile operativo di 32 milioni di euro. Secondo il ceo di Spotify “oggi abbiamo ancora troppe persone dedite a sostenere il lavoro e persino a lavorare attorno al lavoro piuttosto che a contribuire a opportunità con un impatto reale” mentre sarebbe “necessario che più persone si concentrino sui risultati per i nostri principali stakeholder: creatori e consumatori”.

Per cui l’adozione di una “struttura più snella ci consentirà anche di reinvestire i nostri profitti in modo più strategico nel business” ora che “la crescita economica ha rallentato drasticamente e il capitale è diventato più costoso”. “Questo – ha concluso Ek – non è un passo indietro, è un riorientamento strategico. Siamo ancora impegnati a investire e fare scommesse coraggiose, ma ora, con un approccio più mirato, garantendo la continua redditività e la capacità di innovazione di Spotify”.

Continua a leggere

Economia

Economia del terrore: Hamas ha speculato in borsa prima dell’attacco

Pubblicato

del

Un boom di vendite allo scoperto prima del 7 ottobre su fondi d’investimento e società israeliane, che hanno portato a guadagni milionari. Come a indicare che qualche trader bene informato abbia voluto sfruttare la conoscenza anticipata delle azioni terroristiche per lucrare sui massacri di Hamas a sud di Israele. A sostenerlo è uno studio pubblicato sulla rivista Ssrn da Robert J. Jackson Jr. della New York University School of Law e Joshua Mitts della Columbia Law School, secondo cui i miliziani palestinesi potrebbero aver tentato di trarre profitto in borsa dall’assalto di due mesi fa.

“Abbiamo documentato un picco significativo nelle vendite allo scoperto nel principale Etf (fondo scambiato in borsa) di società israeliane giorni prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre”, afferma lo studio. “Le vendite allo scoperto quel giorno hanno superato di gran lunga quelle avvenute durante numerosi altri periodi di crisi, tra cui la recessione seguita alla crisi finanziaria, la guerra Israele-Gaza del 2014 e la pandemia di Covid-19. Allo stesso modo, abbiamo identificato aumenti delle vendite allo scoperto prima dell’attacco in decine di società israeliane quotate a Tel Aviv”, continua il documento.

La vendita allo scoperto avviene quando un trader prende azioni di una società specifica e poi le vende sperando che il prezzo scenda in seguito in modo da poterle riacquistare a un prezzo inferiore. “Per quanto riguarda una sola società israeliana, 4,43 milioni di nuove azioni vendute allo scoperto nel periodo dal 14 settembre al 5 ottobre hanno prodotto profitti (o perdite evitate) di 3,2 miliardi di shekel (740 milioni di dollari) su tale ulteriore vendita allo scoperto”, evidenzia lo studio. “Anche se non abbiamo registrato alcun aumento complessivo delle vendite allo scoperto delle società israeliane, sulle borse statunitensi abbiamo identificato un forte e insolito incremento, subito prima degli attacchi, nella negoziazione di rischiose opzioni a breve termine su queste società con scadenza subito dopo gli attacchi”, ha aggiunto, “e abbiamo identificato pattern simili “nell’Etf israeliano nei momenti in cui è stato riferito che Hamas stava pianificando di eseguire un attacco simile a quello di ottobre”. I risultati dello studio “suggeriscono che i trader informati sugli attacchi imminenti hanno tratto profitto da questi tragici eventi e, in linea con la letteratura precedente, dimostriamo che scambi di questo tipo si verificano per via di lacune nell’applicazione statunitense e internazionale dei divieti legali sul trading informato”, è la conclusione alla quale giungono i due accademici statunitensi.

Continua a leggere

Economia

Vespa, un brand da un miliardo di euro, icona del lifestyle

Pubblicato

del

La Vespa è conosciuta in tutto il mondo ed è un’icona lifestyle, un brand il cui valore continua a crescere ed è stato valutato da Interbarand oltre un miliardo di euro (+19%). “Il termine “iconico” è spesso abusato ma non c’è davvero altro modo per definire questo brand” commenta Manfredi Ricca, Global Chief Strategy Officer di Interbrand. “Vespa è un brand storico ma in continua evoluzione; è profondamente italiano e amato a livello globale; è premium e allo stesso tempo inclusivo”. La due ruote del gruppo Piaggio è un marchio “desiderato e richiesto, ma mostra anche che può conquistare nuove arene oltre i confini della mobilità”.

Nel determinare il valore economico del brand(1.079 milioni contro la precedente valutazione di 906 milioni di euro nel 2021), Interbrand ha condotto ricercehe nei 10 mercati di riferimento di Vespa (Italia, Francia, Germania, Spagna, USA, Vietnam, Thailandia, Indonesia, Cina e India).

Il brand Vespa “conferma la propria leadership nei mercati europei e ha incrementato la sua rilevanza negli Stati Uniti e in Asia, mostrando una crescita soprattutto in Indonesia” spiega una nota, dove Piaggio ha recentemente inaugurato un nuovo stabilimento per il mercalo locale. Dallo studio emerge che Vespa “trascende i confini funzionali della mobilità su due ruote, e rappresenta, nella percezione dei consumatori a livello globale, sia un’opportunità per esprimersi all’interno della propria comunità sia un oggetto di svago e divertimento. Infine, le recenti partnership con Dior, il film Disney Pixar Luca, Justin Bieber, Lego e in ultimo Mickey Mouse hanno contribuito a rafforzare ulteriormente il DNA unico del brand”.

La forza competitiva è data secondo Interbrand soprattutto dal fattore ‘affinity’, la capacità di creare un legame con il consumatore e ‘distinctiveness’, la capacità di distinguersi dai competitor.

La forza del brand Vespa va bene a tutto il gruppo Piaggio, conclude la ricerca perchè “svolge la duplice funzione di mitigatore del rischio e di autentico acceleratore del business” e viceversa “un altro elemento chiave da considerare è anche il momento particolarmente positivo che sta vivendo il gruppo Piaggio che nel 2022 ha raggiunto 2 miliardi di euro di fatturato, con una crescita del 25% rispetto all’anno precedente”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto