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Linus offende Cecchetto: è un fesso. Ed è duello sulla scena radiofonica italiana

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Nel mondo della radio italiana, si è scatenato uno scontro epico tra due giganti della storia radiofonica del paese: Claudio Cecchetto e Linus. Cecchetto, il fondatore di Radio Deejay nel lontano 1982, e Linus, l’attuale direttore artistico dell’emittente, si sono scontrati in diretta durante la trasmissione “Deejay Chiama Italia”, condotta da Linus insieme a Nicola Savino. Il motivo dello scontro? Un docufilm sulla carriera di Claudio Cecchetto, intitolato “People from Cecchetto”, andato in onda il 20 dicembre su Rai1.

La critica di Linus e la difesa di Jody Cecchetto

La scintilla è scoccata quando Linus ha definito il docufilm “poco interessante” e ha aggiunto un pizzico di provocazione, chiamando Cecchetto “fesso”. La risposta non si è fatta attendere, e a difendere il padre è intervenuto Jody, figlio di Claudio Cecchetto, attraverso un video sui social. Jody ha sottolineato l’importante contributo del padre all’origine della radio, contraddicendo l’accusa di Linus.

La reazione di Claudio Cecchetto

Interrogato dal Corriere della Sera su come ha reagito alle parole di suo figlio, Cecchetto ha dichiarato di essere fiero e orgoglioso. Ha elogiato la sincerità di Jody, sottolineando che non si trattava di una difesa d’ufficio, ma di un vero e proprio credo del figlio nelle sue parole. Cecchetto ha esteso i meriti della buona crescita dei figli alla moglie, Mapi Danna.

Il passato di Radio Deejay e l’acquisizione da parte del Gruppo L’Espresso

Cecchetto ha ripercorso la storia di Radio Deejay, fondata con i suoi soldi nel 1982. Nel 1995, la radio è stata acquisita dal Gruppo L’Espresso, guidato da Carlo De Benedetti. Linus, che era stato assunto da Cecchetto nel 1984, è diventato dipendente del Gruppo L’Espresso. Cecchetto ha dichiarato che la sua missione era guidare la radio e scoprire nuovi talenti, mentre l’Espresso aveva una visione più incentrata sulla pubblicità e il fatturato.

La frecciata di Linus e la risposta di Cecchetto

Nonostante la separazione avvenuta nel 1995, Cecchetto ha evitato di alimentare un dualismo inesistente e ha riconosciuto L’Espresso e De Benedetti come i suoi antagonisti. Riguardo alle frecciate lanciate da Linus, Cecchetto ha dichiarato che non è nella sua natura attaccare nessuno e ha lasciato che la domanda fosse rivolta direttamente a Linus.

L’indifferenza di Cecchetto agli ascolti e la difesa del documentario

Cecchetto ha espresso indifferenza riguardo agli ascolti del documentario, ribadendo che per lui è stato come vincere un Oscar, essendo in prima serata su Rai1. Ha evidenziato che, quando è entrato in Rai, l’indice di gradimento era più rilevante dell’Auditel. Cecchetto ha sottolineato che il documentario non era solo su di lui, ma anche su personaggi come Jovanotti, Amadeus, Fiorello, Gerry Scotti, Fabio Volo, Leonardo Pieraccioni, e Carlo Conti, che aveva lanciato durante la sua carriera.

Conclusioni e Focus sul Futuro

Infine, Cecchetto ha respinto l’importanza dell’Auditel, citando un complimento particolarmente gradito sulla natura innovativa del documentario. Attualmente, l’ex fondatore di Radio Deejay si concentra su nuovi progetti, come il suo ruolo di direttore artistico per Visit Romagna, dimostrando che, nonostante gli scontri mediatici, la sua attenzione è rivolta al futuro e alle nuove sfide che lo attendono

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Economia

Vivendi inizia il disimpegno da Tim, riflettori su Poste

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Il disimpegno di Vivendi da Tim è iniziato e il mercato si interroga sulle possibili mosse di Poste, di recente entrata nel capitale col 9,8% al posto di Cdp. A Piazza Affari la cessione del 5%, che porta i francesi sotto la soglia del 20% (al 18,37%), è stato accolto con favore e a fine seduta il titolo ha guadagnato il 2,09% a 0,3 euro. Ma la spinta maggiore l’hanno ricevuta le risparmio, balzate a 0,34 euro (+4,4%) sulle attese che il progetto di conversione, avversato da Vivendi, possa tornare d’attualità.

“Non escludiamo, come ipotizzato anche in diversi articoli di stampa, che il grosso della partecipazione residua possa essere comprato da Poste, che potrebbe acquisire fino al 15% circa del capitale ordinario, salendo al limite della soglia d’opa del 25% (circa 700 milioni di esborso ai valori correnti)”, osserva Equita: il suo rafforzamento “fornirebbe poi al gruppo una governance più solida e flessibilità strategica”. Si “eliminerebbe un elemento di incertezza sui prossimi passi della storia di turnaround del gruppo, vista la posizione molto critica di Vivendi sull’esecuzione del piano industriale presentato al mercato da Labriola e il veto che era stato posto in passato da Vivendi sull’operazione di ottimizzazione della struttura del capitale”. “L’intenzione è di vendere la nostra quota, questo è il piano. Abbiamo sentito diverse speculazioni ma quando potremo vendere a buone condizioni lo faremo: il nostro è un approccio molto pragmatico”, aveva dichiarato il ceo Arnaud de Puyfontaine un paio di settimane fa.

Ci si aspettava però che vendesse la partecipazione a un acquirente industriale (Iliad o Poste) o finanziario (Cvc) piuttosto che sul mercato. Se le operazioni proseguiranno, segnala Barclays, ci potrebbe essere il rischio di overhang (un eccesso di azioni offerte che fa scendere il prezzo del titolo) ma per ora il mercato ha solo guardato alle opzioni che si aprono per Tim. Sul tema del consolidamento anche l’ad Labriola ha la sua da dire e ripete che uno dei vantaggi è la riduzione dei costi. e non deve far temere un aumento dei prezzi. “Il consolidamento, porterà le aziende a mettere insieme le reti e questo comporterà un’assunzione di costo minore” ha spiegato recentemente ribadendo che per Tim ci sono solo “due partner ideali: iliad e Poste, tutti gli incroci che portano a una quota di mercato sopra il 45% sono impraticabili”. Un deal con iliad avrebbe caratteristiche industriali di riduzione delle reti mentre “con Poste la partnership può accelerare la condivisione della ‘customer platform'”, la base clienti. Si guarda quindi al cda di Poste di giovedì prossimo (26 marzo) e a quello di Tim del 14 aprile.

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Esteri

Rispunta l’intesa sul grano, le rotte e gli scambi

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L’opzione più concreta sul tavolo dei colloqui a Riad è una possibile ripresa dell’accordo sul grano del Mar Nero, primo grande risultato diplomatico della guerra che prima di naufragare a luglio 2023 aveva consentito in un anno la spedizione di milioni di tonnellate di grano e altri prodotti alimentari dai porti ucraini.

L’ACCORDO SUL GRANO DEL MAR NERO – L’iniziativa sul grano del Mar Nero è stata negoziata nel luglio 2022 tra Turchia, Onu e Russia – nessuna sigla diretta tra Mosca e Kiev – per garantire che l’Ucraina, uno dei ‘granai del mondo’, potesse esportare il grano dai suoi porti meridionali attraverso il Bosforo. Il cereale non poteva essere infatti esportato nelle quantità richieste utilizzando i trasporti su gomma o su rotaia attraverso la Polonia, o via fiume attraverso la Romania. La Turchia è stata l’elemento chiave dell’intesa sia per lo stretto rapporto tra il suo presidente Recep Tayyip Erdoğan e Vladimir Putin e sia perché Ankara supervisiona il traffico marittimo nello stretto del Bosforo e dei Dardanelli.

UN’INIZIATIVA, DUE MEMORANDUM – L’iniziativa, uno dei pochi successi diplomatici dall’inizio della guerra, consentiva esportazioni commerciali di cibo e fertilizzanti (inclusa l’ammoniaca) da tre porti ucraini chiave nel Mar Nero: Odessa, Chornomorsk e Pivdennyi. I cargo venivano guidati dalle navi ucraine nelle acque internazionali del Mar Nero per evitare le aree minate, procedendo quindi verso Istanbul lungo un corridoio umanitario marittimo concordato. Le navi dirette verso e dai porti ucraini venivano ispezionate da team composti da ispettori russi, turchi, ucraini e delle Nazioni Unite. Per facilitare l’implementazione dell’iniziativa, le parti hanno concordato di istituire un Centro di coordinamento congiunto (Jcc) a Istanbul per “garantire il controllo e monitoraggio” dei trasporti. Con il memorandum, era stato firmato un accordo separato per ridurre al minimo l’impatto delle sanzioni sull’esportazione di cibo e fertilizzanti russi, basandosi sul principio secondo cui le misure imposte alla Federazione Russa non si applicavano a questi prodotti. Entrambe le intese sono state sottoposte a revisioni quadrimestrali e poi bimestrali.

UN ANNO DI ESPORTAZIONI – Nonostante le difficoltà della guerra e la fragilità con la quale l’intesa è andata avanti, 33 milioni di tonnellate di grano hanno lasciato i porti ucraini in un anno, fino a luglio 2023, con 1.100 viaggi dai porti ucraini. Il Programma alimentare mondiale ha acquistato circa 750.000 tonnellate di grano ucraino che sono state spedite immediatamente in luoghi come Afghanistan, Etiopia, Somalia e Sudan. Di conseguenza, il prezzo del grano si è stabilizzato a circa 800 dollari per tonnellata, in calo rispetto al massimo raggiunto di 1.360 dollari.

IL NAUFRAGIO DELL’INTESA – Già dopo i primi mesi dall’avvio dell’iniziativa, la Russia ha iniziato a rallentare le ispezioni delle navi del grano: nell’ottobre 2022 venivano completate 10 ispezioni al giorno per un totale di 4,2 milioni di tonnellate metriche spedite, scese a sette al giorno a novembre e due a maggio, quando hanno lasciato i porti solo 1,3 milioni di tonnellate metriche. La diminuzione è continuata fino a luglio 2023, quando la Russia si è sfilata dall’iniziativa affermando che la seconda parte dell’accordo, che doveva consentire maggiori esportazioni agricole russe, non era stata onorata dall’Occidente dato che le sanzioni sulle esportazioni di beni russi non erano state revocate in modo sufficiente, così come non erano state ritirate le misure contro la sua principale banca agricola.

LA RISPOSTA DI KIEV, UN ‘CORRIDOIO DEL GRANO’ – Un mese dopo la fine dell’intesa, ad agosto 2023, l’Ucraina ha lanciato un ‘corridoio umanitario’ nel Mar Nero per aggirare il blocco navale della Russia. Fino a marzo 2025, il corridoio marittimo ucraino ha facilitato il trasporto di 106 milioni di tonnellate di merci, di cui quasi 70 milioni di tonnellate di grano, secondo il governo di Zelensky. Numeri che potrebbero mettere in dubbio l’interesse di Kiev a tornare a un’intesa con la Russia.

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Esteri

Alta corte di Seul respinge l’impeachment del premier Han

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La Corte costituzionale della Corea del Sud ha respinto oggi l’impeachment del primo ministro Han Duck-soo, reintegrandolo come presidente ad interim. “L’impeachment di Han è stato respinto con un voto di 5-1 dagli otto giudici della corte, due dei quali hanno votato per respingere completamente la mozione”, riferisce l’agenzia di stampa Yonhap.

“Ringrazio la Corte costituzionale per la sua saggia decisione”, ha commentato Han, arrivando pochi minuti dopo la sentenza nel suo ufficio grazie al reintegro immediato come premier e presidente ad interim. La sua autorità era stata sospesa il 27 dicembre dal parlamento controllato dal Partito democratico, la principale forza d’opposizione. “Comincerò occupandomi prima delle questioni urgenti”, ha aggiunto Han, soddisfatto della conclusione della vicenda, mentre la nazione attende la sentenza nel processo di impeachment a carico del presidente Yoon Suk-yeol, in merito alla disastrosa dichiarazione di legge marziale del 3 dicembre scorso.

La Corte costituzionale ha annunciato in una nota che il collegio ha ritenuto le prove insufficienti per sostenere la messa in stato d’accusa di Han, con sette giudici che hanno votato per respingerla e uno per confermarla. L’impeachment, alla fine, è stato bocciato con un voto di 5 a 1 dagli otto giudici della corte, con due che hanno respinto completamente la mozione. La sentenza è arrivata tre mesi dopo che il parlamento di Seul ha messo sotto accusa il premier e poi il presidente in carica per il suo presunto ruolo nella dichiarazione di legge marziale, tra le altre ragioni.

Quattro dei cinque giudici che hanno votato per respingere l’impeachment di Han hanno riconosciuto che c’erano violazioni costituzionali e di legge per il suo rifiuto di nominare giudici alla corte malgrado i seggi vacanti prima del processo di impeachment di Yoon, ma hanno osservato che ciò non giustificava la sua rimozione dall’incarico. I sei giudici che hanno votato per respingere o confermare l’impeachment hanno affermato che non c’erano prove a sostegno delle accuse dell’Assemblea nazionale, il parlamento, secondo cui Han avrebbe preso misure proattive per dare legittimità alla richiesta di legge marziale di Yoon, come convocando una riunione del gabinetto prima della sua dichiarazione. Tutti tranne due giudici si sono schierati con l’Assemblea nazionale nel decidere che il quorum per mettere sotto accusa Han era di almeno 151 su 300 legislatori, che si applica a un primo ministro, non 200, come nel caso di un capo dello Stato.

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