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Salute

L’Intelligenza Artificiale decodifica tumori in sala operatoria

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L’Intelligenza Artificiale è ora in grado di decodificare il Dna dei tumori al cervello in tempo reale, direttamente in sala operatoria: in questo modo può guidare il lavoro dei chirurghi suggerendo quanto tessuto asportare e quali trattamenti somministrare ai pazienti, avvicinando così la medicina personalizzata su misura in base alle caratteristiche di ciascun tumore. L’innovativo strumento, chiamato Charm, è stato messo a punto da un gruppo guidato dalla Scuola di Medicina di Harvard, che ha pubblicato il risultato raggiunto sulla rivista Med. È stato messo liberamente a disposizione di altri ricercatori, ma deve ancora essere testato in situazioni reali e sottoporsi alle dovute approvazioni.

Al momento, l’approccio standard prevede il prelievo di tessuto cerebrale in fase operatoria e il suo congelamento, per l’esame al microscopio. I principali svantaggi, oltre al tempo necessario per questa procedura, sono che il congelamento del tessuto tende ad alterare l’aspetto delle cellule e che anche i microscopi più potenti fanno fatica a individuare tutte le sottili variazioni che avvengono nel Dna delle cellule tumorali.

I ricercatori coordinati da Kun-Hsing Yu hanno quindi utilizzato l’IA per superare queste sfide. Gli autori dello studio hanno addestrato Charm usando 2.334 campioni di tumori cerebrali prelevati da 1.524 persone. Il dispositivo, una volta messo alla prova con campioni mai visti prima, è riuscito a distinguere i tumori con specifiche mutazioni con una precisione del 93%, ma non è tutto. È anche stato in grado di individuare le caratteristiche del tessuto che circonda le cellule maligne, che possono segnalare la presenza di tumori più o meno aggressivi. Charm dovrà essere periodicamente riaddestrato, per tenersi al passo con le nuove conoscenze: “Proprio come i medici – commenta Yu – che devono impegnarsi in una formazione continua”.

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Dopo immunoterapia pre-chirurgia stop cure a 50% malati melanoma

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Con l’immunoterapia pre-intervento chirurgico, il 50% dei pazienti colpiti da melanoma non ha bisogno di cure post-intervento. Gli avanzamenti dell’immunoterapia anche nella fase pre-chirurgica sono al centro della nona edizione dell’Immunotherapy e Melanoma Bridge in corso a Napoli.

“I tempi sono ormai maturi – sottolinea Paolo Ascierto, presidente del convegno e direttore del dipartimento di oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto Nazionale dei Tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli -. L’immunoterapia neoadiuvante ha tutte le carte in regola per diventare lo standard di trattamento per molti tipi di tumori. Per questo, insieme alla principali società scientifiche, chiediamo all’Aifa di procedere con l’estensione dell’indicazione del farmaco immunoterapico pembrolizumab, attraverso la Legge 648, anche in fase neoadiuvante. Tale cambiamento non avrebbe neanche un costo aggiuntivo: i cicli di terapia che vengono somministrati prima dell’intervento chirurgico, infatti, andrebbero a sostituire quelli che attualmente si fanno dopo”.

“Oggi il melanoma è una delle aree di ricerca più attive nell’immunoterapia neoadiuvante – spiega Ascierto -. Attualmente le linee guida nazionali Aiom indicano come standard terapeutico la somministrazione di terapia adiuvante post-chirurgia a partire dallo stadio II della malattia. La terapia neoadiuvante, cioè quella che viene somministrata prima della chirurgia nella malattia clinicamente o radiologicamente evidente, può essere somministrata solo all’interno degli studi clinici. All’istituto Pascale abbiamo da poco concluso lo studio NEO-TIM sulla terapia neoadiuvante nel melanoma, i cui risultati preliminari sono molto promettenti”. Nei casi di melanoma metastatico, rileva, “l’immunoterapia pre-intervento presenta un vantaggio significativo per i pazienti in termini di riduzione delle cellule tumorali nel tessuto coinvolto e, nel 50% dei casi può rendere addirittura superflua il ricorso al trattamento adiuvante, quello che viene somministrato dopo l’intervento. Sulla base delle sempre più numerose evidenze sull’efficacia dell’immunoterapia neoadiuvante, auspichiamo un rapido aggiornamento degli standard di trattamento”. I benefici dell’immunoterapia neoadiuvante, inoltre, si estenderebbero anche alla prevenzione delle recidive.

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Aids, diagnosi risalgono ma siamo sotto livelli pre-Covid

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Le diagnosi di Hiv in Italia riprendono a salire: lo scorso anno sono state 1.888, pari al 2% in più rispetto al 2021 e al 34% in più rispetto al 2020. È il secondo aumento consecutivo dopo oltre un decennio di discesa. Il trend risente però dell’esperienza della pandemia e del crollo delle diagnosi registrato nel 2020 (-44% su base annua). Nel complesso, il dato del 2022 risulta del 25% più basso rispetto al 2019 e, rispetto a 10 anni fa, i casi sono più che dimezzati. È questo il quadro che viene fuori dall’aggiornamento della sorveglianza nazionale delle nuove diagnosi di infezione da Hiv e dei casi di Aids, curato dall’Istituto Superiore di Sanità e pubblicato in vista della Giornata Mondiale dell’1 dicembre. Secondo il rapporto, lo scorso anno in Italia si è osservata un’incidenza media dell’Hiv pari a 3,2 nuovi casi per 100 mila abitanti, inferiore rispetto a quella osservata tra i Paesi dell’Europa occidentale e dell’Unione Europea (5,1 per 100 mila). Tra le Regioni, nel 2022 i tassi più alti di nuove diagnosi di Hiv sono state registrate in Lazio (4,8 per 100 mila abitanti), Toscana (4,0), Abruzzo (3,9), Campania (3,9). Quasi il 79% delle nuove diagnosi di Hiv ha riguardato i maschi, mentre la principale modalità di contagio sono i rapporti sessuali (43% eterosessuali, 41% MSM). I contagi attribuibili a persone che usano sostanze stupefacenti sono il 4,3%. Cresce il numero di persone che vive con l’Hiv, passato tra il 2012 e il 2021 da 127 mila a 142 mila (+12%).

Tra i trend identificati dal rapporto, l’aumento della quota di nuove diagnosi in persone con più di 50 anni, passata dal 20% del 2015 al 31% del 2022. Si conferma un forte ritardo nella diagnosi: oltre la metà (58%) delle persone che hanno scoperto di essere Hiv positive nel 2022 erano in fase avanzata di malattia, cioè con una situazione immunitaria seriamente compromessa o addirittura già in Aids. Ciò ha ricadute sull’efficacia della terapia antiretrovirale e sulla probabilità di trasmettere involontariamente l’Hiv non usando le protezioni adeguate. Nel 2022 sono state notificate 403 nuove diagnosi di Aids pari a un’incidenza di 0,7 casi per 100 mila abitanti. Anche nel caso dell’Aids il rapporto conferma un ritardo nella diagnosi: “la maggior parte delle persone (83,7%) che ricevono una diagnosi di Aids ha scoperto da poco la propria sieropositività”, si legge nel documento: è cioè trascorso meno di 6 mesi tra il primo test positivo la diagnosi di Aids. Non sono invece disponibili i dati sui decessi per Aids relativi al 2022. Gli ultimi risalgono al 2020, quando si sono contati 528 decessi, un numero stabile dal 2014.

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Salute

Salvata da epatite fulminante con trapianto fegato urgente

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Una donna con epatite fulminante è stata salvata all’ospedale Molinette della Città della salute di Torino con un trapianto di fegato in super-urgenza nazionale, eseguito a 48 ore dall’ingresso nella struttura sanitaria. Si tratta di una donna di 42 anni, di origine albanese, da molti anni residente in Italia. Dopo alcuni giorni di malessere, febbre e disordini gastrointestinali, si era rivolta al pronto soccorso dell’ospedale Maria Vittoria di Torino, all’inizio della scorsa settimana. Fin dai primi accertamenti, era risultato evidente un gravissimo danno epatico legato a un’infezione primaria da virus dell’Epatite B, cioè un’epatite fulminante. Il fegato della donna, sanissimo fino a pochi giorni prima, stava soffrendo di una necrosi massiva delle sue cellule. Pienamente cosciente, la paziente è stata trasferita nella serata di mercoledì della scorsa settimana alle Molinette, nella Terapia intensiva epatologica, diretta da Antonio Ottobrelli.

Confermata la diagnosi, è stata posta in strettissima sorveglianza e sottoposta alle terapie convenzionali contro l’epatite acuta B. Già giovedì mattina, la situazione funzionale epatica però peggiorava e c’erano i primi segni di sofferenza cerebrale. Da qui la decisione del trapianto e la corsa contro il tempo, mentre la paziente, ancora peggiorata, era stata trasferita nella Rianimazione centrale dell’ospedale, diretta da Roberto Balagna. La mattina del venerdì la donna era entrata in coma, con la necessità di intubarla. Nel primo pomeriggio dello stesso giorno però dal Centro nazionale trapianti, allertato da quello regionale già il giorno precedente, si era reso disponibile un donatore e l’equipe del Centro trapianto fegato, diretto da Renato Romagnoli, l’aveva raggiunto.

Nel frattempo la paziente si era ulteriormente aggravata, con un importante sanguinamento digestivo acuto a partenza gastrica. L’intervento in urgenza degli endoscopisti dell’Endoscopia digestiva, diretta da Dario Reggio, aveva consentito di arrestare l’emorragia, di stabilizzare la paziente e di trasferirla nelle sale operatorie del Centro trapianto fegato. Erano passate 48 ore dal suo ingresso e il trapianto è stato eseguito con successo.

La corsa contro il tempo per operare la donna è stata caratterizzata da un evento insolito, ovvero che la notte tra giovedì e venerdì sia trascorsa senza che al Cnt operativo di Roma venisse segnalata alcuna possibile donazione di organi, evenienza rarissima in Italia, viene spiegato dalle Molinette, “dato che ogni giorno sono circa cinque i potenziali donatori che vengono proposti ai pazienti più urgenti in lista”. Come ormai accade in più della metà dei trapianti poi, il fegato appena prelevato e trasportato a Torino è stato preparato e collegato alla macchina da perfusione ipotermica ossigenata, allo scopo di massimizzarne le capacità di resistere al danno ischemia-riperfusione al momento del suo impianto in una paziente in così gravi condizioni cliniche.

Dopo circa due ore di perfusione extra-corporea, l’organo è stato scollegato dalla macchina e quindi trapiantato dall’équipe di Romagnoli. Il fegato rimosso dalla paziente era totalmente necrotico, mentre il fegato donato ha ripreso immediatamente una funzione soddisfacente, già in sala operatoria. Le condizioni generali della paziente sono poi nettamente migliorate ed è stata estubata. Si trova ora sveglia e cosciente e ricoverata nell’area semintensiva chirurgica del Centro trapianto fegato di Torino. “L’ennesimo miracolo compiuto dai professionisti della Città della salute e grazie alla collaborazione tra ospedali torinesi che hanno fatto rete. La storia del Centro trapianti di fegato e del recente traguardo raggiunto dei 4.000 trapianti ne sono la dimostrazione. Un’eccellenza italiana ed europea. Un ringraziamento a loro, ma soprattutto alla famiglia del donatore che ha permesso di salvare una vita” sottolinea il direttore generale della Città della salute. Giovanni La Valle.

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