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L’inchiesta di Venezia,magnate Singapore vende palazzi

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong ha venduto Palazzo Donà e punta alla cessione anche di Palazzo Poerio Papadopoli, i due edifici da lui acquistati e al centro dell’indagine sulla corruzione che lo vede coinvolto, assieme al sindaco Luigi Brugnaro. All’origine della svolta ci sarebbe “l’amarezza per le polemiche” sugli investimenti dell’imprenditore asiatico in città. “Il nostro assistito – ha dichiarato lo studio legale Simonetti, che difende anche il suo rappresentante italiano Luis Lotti – ha deciso da tempo di dismettere le attività a Venezia, non a causa delle indagini ma per l’impossibilità di gestire gli investimenti in questa città, nei termini in cui è abituato a fare nelle altre realtà del mondo in cui si trova ad operare come investitore istituzionale”.

Palazzo Donà, che ora è sede di un albergo di lusso, sarebbe stato venduto a marzo da parte di Grandeur Oxley, società costituita da Ching per l’operazione, a Blue Sgr di Milano, specializzata nella strutturazione e nell’amministrazione di fondi comuni d’investimento immobiliare e di crediti. Non è da confondere con il quasi omonimo Palazzo Donà delle Rose, abitato dall’omonima famiglia veneziana e sede di iniziative culturali. Palazzo Papadopoli, invece, è ancora sul mercato. Posto in vendita dal Comune nel 2017, era stato acquistato nel 2019 dalla società Fortune Oxley di Ching per 10,8 milioni: e secondo la Procura su esso sarebbe stata pagata all’allora assessore comunale al Patrimonio Renato Boraso una presunta tangente da 70.000 euro.

Una vendita “scontata” rispetto alla prima valutazione di 14 milioni, in ipotesi, per invitare il magnate di Singapore a interessarsi anche del possibile affare per i 41 ettari dell’area dei Pili. Sul versante dell’inchiesta, si attende l’interrogatorio di Boraso da parte dei sostituti procuratori Roberto Terzo e Federica Baccaglini. E’ stato il suo legale, Umberto Pauro, a presentare l’istanza di audizione, sottolineando che l’ex assessore veneziano sarebbe pronto a “rispondere punto su punto” a tutte le accuse. Ieri Boraso è stato incontrato alla Casa circondariale di Padova da una delegazione di consiglieri regionali del Veneto. Il consigliere Arturo Lorenzoni ha detto di aver trovato “una persona umanamente molto provata. Mi auguro che al più presto riesca a dialogare con i pm e soprattutto a sentire la famiglia. Ho capito che per lui è più pesante questa separazione”. (ANSA). 2024-08-17T15:55:00+02:00 BUO ANSA per CAMERA26

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Incidenti e cadute, quattro alpinisti morti sulle Alpi

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Quattro persone hanno perso la vita in montagna: è tragico il bilancio di questo fine settimana sulle Alpi. I quattro escursionisti – tre uomini ed una donna – sono morti precipitando dalle vette in Veneto, Trentino e Piemonte. Due alpinisti hanno perso la vita in due incidenti avvenuti a distanza di un’ora l’uno dall’altro nelle montagne bellunesi. A Val di Zoldo è deceduto un uomo poco dopo le 13, e stessa sorte ha subito una donna sulla Croda dei Toni, nel Comune di Auronzo. Nel primo caso la centrale del 118 è stata attivata da un gruppo di persone che, dalla cima principale degli Sfornioi dove si trovavano, ha sentito delle grida e un rumore di massi. L’elicottero del Suem ha effettuato una rotazione senza esito. Ricevute indicazioni più precise, l’eliambulanza è tornata in ricognizione e ha individuato un corpo esanime all’interno di un camino, un centinaio di metri sotto la cima.

Ad Auronzo si Cadore (Bl), invece, l’allarme è stato fattto scattare dal compagno di parete di una alpinista. I due stavano calandosi dalla via Drasch quando lui, che si trovava più in basso, l’ha vista passargli accanto e cadere nel canale sottostante. É invece un escursionista di 26 anni, residente a Nogara, in provincia di Verona, la terza vittima. L’uomo è morto lungo la ferrata Val del Rì, sopra l’abitato di Mezzolombardo, in Trentino. Il giovane era da solo e stava percorrendo la prima parte della ferrata ma, subito dopo il secondo ponte tibetano, ha perso l’equilibrio ed è precipitato nella forra per una trentina di metri, finendo nell’alveo del torrente. Un altro escursionista, Edi Zavatti, 52 anni, è morto precipitando dalla vetta del Rocciamelone, a circa 3500 metri di altitudine, in Valle di Susa (To). Era un profondo conoscitore della montagna. La chiamata è giunta al Soccorso Alpino da altri escursionisti che hanno assistito all’incidente.

I soccorritori hanno avuto difficoltà ad individuare il corpo, trovato poi circa 400 metri a valle del sentiero, in un punto impervio. E’ andata decisamente meglio invece, ad una coppia di alpinisti in difficoltà dal rientro dalla cima del Cridola, sulle Alpi orientali. I due, una 35enne di Cavalese e un 51enne di Padova, erano saliti ieri dalla parte conosciuta come ‘Via del triestini’. Al momento di scendere hanno preso un altro sentiero e quando hanno trovato sul percorso una corda fissa che risaliva – e che era la via giusta da seguire – hanno cercato prcorsi alternativi, senza però trovarli, finché è arrivato il buio che li ha bloccati. Scattato l’allarme, una squadra ha intuito la loro posizione e li ha raggiunti.

L’intervento si è concluso intorno alla mezzanotte. Anche nove giovanissimi escursionisti leccesi, che la notte scorsa si erano persi nel Parco Nazionale del Pollino, sono stati individuati e messi in salvo dai volontari del soccorso alpino e speleologico. Messi in salvo anche due escursionisti 37enni della provincia di Napoli che ieri risultavano dispersi tra Campitello Matese e Roccamandolfi in Molise: i due, che si erano smarriti, sono stati poi raggiunti e riaccompagnati a Campitello Matese dal Soccorso Alpino.

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Sposi scomparsi Cesa tornano a casa a Frattamaggiore: abbiamo fatto un breve viaggio

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Sono tornati a casa come se niente fosse, dopo aver lasciato per quattro giorni i due figli piccoli dai nonni. E ai carabinieri che sono venuti a cercarli a casa per sincerarsi delle loro condizioni, hanno risposto seraficamente: “Siamo partiti per un breve viaggio, e ora siamo stanchi”. Maria Zaccaria e Pietro Montanino, la coppia residente a Cesa (Caserta) che si era sposata una settimana fa, venerdì 25 ottobre, per poi sparire nel nulla quattro giorni dopo, martedì 29 ottobre, è ricomparsa stamattina a Frattamaggiore (Napoli) a casa dei nonni paterni, proprio dove la coppia aveva lasciato quattro giorni fa i figli di sette mesi e sette anni, per poi allontanarsi a piedi alla ricerca, pare, di una casa in cui trasferirsi.

Forse un veloce viaggio di nozze, o qualche altra cosa di più serio, comunque Maria e Pietro dovranno dar conto delle proprie azioni; è difficile che rimedino una denuncia per abbandono di minore, anche se la Procura di Napoli Nord sta effettuando valutazioni. E intanto il sindaco di Cesa Enzo Guida ha attivato i servizi sociali del Comune per verificare se ci siano responsabilità da parte della coppia nella custodia dei figli piccoli.

Stamani Maria e Pietro sono riapparsi dai genitori di quest’ultimo, hanno preso il figlio neonato e se ne sono tornati con la macchina a casa a Cesa; qui li ha raggiunti il figlio più grande, che intanto era andato a casa del papà (è nato da un precedente matrimonio di Maria). A quel punto si sono recati a casa della coppia i carabinieri della locale stazione (facenti parte della Compagnia di Aversa), avvisati della ricomparsa di Maria e Pietro. E ai militari la coppia si è limitata a dire del viaggio fatto. Nel pomeriggio poi Maria e Pietro sono andati dai carabinieri di Frattamaggiore per dare spiegazioni, visto che la loro scomparsa era stata denunciata, mettendo in moto la macchina delle ricerche.

Gli elementi raccolti raccontano che la coppia dopo aver lasciato i bimbi dai nonni paterni, si è allontanata a piedi, per raggiungere probabilmente la stazione ferroviaria di Napoli; qui Maria e Pietro sono saliti su un treno per una destinazione che al momento non è stata resa nota da Procura e carabinieri. Sembra inoltre che la coppia si sia fatta sentire l’ultima volta martedì pomeriggio verso le 17, quando Maria ha chiamato con il cellulare del marito la cognata (sorella di Pietro) per ricordarle di andare a prendere il figlio di sette anni a calcetto, anche se poi la cognata ha smentito di essere stata contattata. Dai primi accertamenti non sembrerebbe che i due – lui fa il vigilante, lei lavora per una ditta di pulizie – abbiano problemi economici o abbiano ricevuto minacce o si siano messi in una brutta situazione, anche se solo la coppia può conoscere i reali motivi dell’allontanamento.

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Rapina da film alla Dhl, banditi armati e auto in fiamme

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Un colpo studiato a tavolino, nei minimi dettagli, e probabilmente preparato da settimane. È il piano che è andato a segno nel corso della notte in un magazzino della logistica della multinazionale Dhl a Monticelli d’Ongina, in provincia di Piacenza, dove una banda di ladri professionisti – si stima vi abbiano preso parte in tutto una decina di persone – ha fatto un furto ingente di materiale elettronico e hi-tech, per un valore non ancora stimato ma che potrebbe raggiungere il milione di euro. Le modalità con cui è stato portato a segno il colpo evidenziano spessore criminale e preparazione dei banditi che, per guadagnare tempo e rallentare l’intervento dei carabinieri, hanno bloccato tutte le vie di accesso al polo logistico piazzando auto e furgoni in fiamme, e gettando anche chiodi a tre punte sull’asfalto per forare gli pneumatici delle pattuglie.

Le indagini le stanno svolgendo i carabinieri della Compagnia di Fiorenzuola d’Arda e i colleghi del nucleo investigativo di Piacenza, che da ieri notte sono al lavoro per raccogliere le tracce che possano condurre ai ladri, i quali al momento sono spariti nel nulla con il bottino. Gli accertamenti si concentrano anche sulla ricerca di un possibile basista che abbia dato indicazioni alla banda che poi è entrata in azione. L’ora X è scattata nel cuore della notte, quando i banditi hanno bloccato almeno tre strade della Bassa piacentina nei dintorni del magazzino logistico Dhl di Monticelli d’Ongina, tra Piacenza e Cremona. Per farlo hanno disseminato l’asfalto di chiodi, dopodiché hanno dato alle fiamme diverse auto e furgoni che avevano rubato nelle ore precedenti, posteggiandoli in simultanea di traverso in mezzo alla strada, in modo da creare una barriera di ferro e fiamme.

A quel punto un’altra squadra ha puntato dritta verso l’ingresso del comparto logistico, sfondando le sbarre poste all’ingresso e tenendo sotto il tiro delle armi le guardie giurate poste a vigilanza notturna della struttura. Dalle prime informazioni a disposizione, pare che una volta all’interno, i ladri siano andati a colpo sicuro verso i mezzi e gli scaffali con la merce più preziosa: telefonini nuovi di ultima generazione, tablet e computer. Tutta roba che probabilmente era già destinata a rifornire i grossi centri commerciali del Nord in vista del Natale. Mentre i ladri caricavano la merce sui loro mezzi pronti alla fuga, i vigili del fuoco intervenivano insieme ai carabinieri per spegnere i mezzi in fiamme sulle strade: quello che la banda aveva previsto. La banda, che aveva studiato una via di fuga sicura probabilmente attraverso piccole strade di campagna nella zona, pare sia scappata verso il confine con la Lombardia e il Cremonese, dileguandosi probabilmente dopo aver imboccato la vicina autostrada A21.

Si ipotizza che abbiano raggiunto un posto sicuro, forse nemmeno troppo distante, dove tenere stoccata tutta la refurtiva in attesa di trasportarla poi con calma altrove. I carabinieri, una volta arrivati alla Dhl, hanno subito ascoltato le testimonianze del personale minacciato e hanno sequestrato i filmati del sistema di videosorveglianza. Inoltre hanno effettuato una lunga serie di rilievi tecnici a caccia di tracce che i ladri potrebbero aver incautamente lasciato.

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