A Luxembourg Ville, capitale del minuscolo granducato omonimo incastonato tra Francia, Belgio e Germania, c’è un quartiere suggestivo e bohémien che si chiama Grund, raccolto come un villaggio d’altri tempi lungo le rive del fiume Alzette. In Rue Saint-Ulrich, nel cuore di quest’area animata, piena di giovani e di locali simpatici, si scopre un pezzo di cultura italiana. Basta spingere una porta a vetri per ritrovarsi tra Elena Ferrante da un lato e Dante Alighieri dall’altro.
Si tratta della Libreria Italiana Lussemburgo, un piccolo gioiello per chi ama i libri, a cominciare dal suo logo: le tre iniziali “LIL” con sopra, al posto del puntino della i, due pagine o ali stilizzate rosse. Giusto così: i libri permettono di volare verso luoghi, conoscenze e fantasie che senza di loro non scopriremmo mai.
Varcata la soglia, si scorge immediatamente una lavagna d’ardesia dove i tre gestori del luogo scrivono ogni tanto un pensiero con il gesso bianco. Quello di questa settimana dice: «Più cultura e meno paura». Bastano queste cinque parole per capire l’aria che tira tra le pareti gialle del locale: la passione per la carta stampata e la convinzione che un buon libro possa sempre cambiare il mondo. In meglio.
Libreria Italiana Lussemburgo. Da sinistra verso destra i tre proprietari e animatori di questo delizioso presidio di cultura italiana Antonella Ciconte, Luigi Di Razza e Silvia Del Medico
Subito dopo la lavagna, che è la prima a calamitare lo sguardo, si vedono tre volti giovani e sorridenti: quelli di Antonella Ciconte da Roma, Silvia Del Medico da Alessandria e Luigi Di Razza da Pozzuoli. Sono tre amici che si sono trasferiti in Lussemburgo per ragioni professionali o personali e si sentono, ci dice Luigi, “fieri di rappresentare tutta la penisola, da nord a sud passando per il centro”. Poco più di un anno fa hanno rilevato la libreria, che era in difficoltà economiche, investendo i loro risparmi per mantenerla viva e rilanciarla. Quando si chiede a Luigi che cosa li abbia spinti a farlo, lui risponde senza esitare: “È perché siamo pazzi”.
Non ha torto: vendere libri, così come scriverli e stamparli, può sembrare un’impresa folle nell’epoca del sapere effimero e del pensiero breve, dove il tempo medio di concentrazione nella lettura dura tanto quanto un post. I lettori sono pochi e ancora meno coloro che acquistano lo strano oggetto con una copertina fuori e molte pagine bianche fitte d’inchiostro dentro.
Eppure Antonella, Silvia e Luigi sono convinti che niente possa sostituire “quel profumo di carta e magia che inspiegabilmente a nessuno è ancora venuto in mente d’imbottigliare”, per dirla con Carlos Ruiz Zafon. Così lavorano come matti (appunto) per riuscire nella loro impresa. La nuova libreria italiana di Lux, come la chiamano i suoi abitanti, è stata inaugurata il 1° gennaio 2019. “Il primo anno è stato bellissimo” ci ha detto Luigi, “ma ora cominciamo a sentire il peso della fatica e delle difficoltà”. Ciò non toglie che vadano avanti e abbiano un sacco d’idee.
Per favorire l’afflusso alla libreria e le sue vendite, i tre amici ne hanno fatto non solo un negozio, ma un punto di riferimento per i 20.000 italiani che vivono nel granducato. Ogni giorno in Rue Saint-Ulrich succede qualcosa: ci sono le letture del ciclo “Ad alta voce”, i momenti dedicati al “Club del libro” e al “Salotto poetico”, le recensioni pubblicate sul bel sito della libreria (http://www.libreriaitaliana.lu), la collaborazione con la Scuola Europea di Lussemburgo a cui la LIL fornisce i libri e, il sabato, le letture per i bambini che si chiamano “Ascoltare, fantasticare, raccontare”. La letteratura infantile è ampiamente presente alla libreria. “Si tratta – spiega Luigi – di una scelta voluta. Abbiamo pensato ai figli dei molti italiani che vivono in Lussemburgo e che parlano italiano solo a casa, perché a scuola usano altre lingue. I genitori quindi cercano di far loro leggere libri in italiano per perfezionare la loro lingua-madre”.
Infine i tre giovani soci, che non si fermano proprio mai, organizzano gli “Incontri con gli autori”. Sabato 8 febbraio, per esempio, è stato invitato il manager e scrittore Francescomaria Tuccillo, che ha presentato il suo libro “Afrika. Chiavi d’accesso”, appena pubblicato da Ebone Edizioni di Napoli. La libreria era piena in ogni ordine di posti, compresi quelli in piedi accanto alla porta. La libreria, per finire, è bella: non grande ma colorata, accogliente, luminosa. E, al termine degli «Incontri con gli autori», offre pure un calice di bollicine italiane. Il che contribuisce a scaldare ancora di più l’atmosfera e le conversazioni.
La copertina del libro Afrika edito da Ebone
Antonella Ciconte ha chiuso la serata dedicata al libro di Tuccillo leggendo ad alta voce un proverbio africano citato nel testo ed emozionando un po’ tutti i presenti: “Se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia”. È questo il nostro augurio per lei, per Silvia e per Luigi: che il loro sogno diventi quello di molti, di gruppi sempre più numerosi di lettori. La Libreria Italiana Lussemburgo lo merita.
“Siamo diventati una civiltà di gente che vuol vedere, non sente più, sente male, per mancanza di conoscenza, per ignoranza”. Polemico, anche se “felice di essere qui con i miei giovani musicisti dell’Orchestra Cherubini”, Riccardo Muti ieri sera al Teatro Pergolesi di Jesi, in provincia di Ancona, ha inaugurato le celebrazioni per i 250 anni dalla nascita (avvenuta nella vicina Maiolati) di Gaspare Spontini, con un concerto al termine del quale ha attaccato l’oblio in cui è caduta tanta parte del patrimonio musicale italiano. Un discorso molto politico, “anche se la politica dal podio non si fa”, diretto soprattutto “a chi ha in mano le sorti del nostro Paese” per chiedere più attenzione per la musica, lungo oltre 20 minuti, punteggiato dagli applausi del pubblico.
La musica italiana “ha dominato il mondo con Spontini a Berlino, Mercadante a Madrid, Cherubini a Parigi, Salieri e, ancora prima, Porpora e a Vienna, Cimarosa e Paisiello a San Pietroburgo. I nostri compositori hanno fatto l’Europa, prima dei nostri politici ed economisti”. Muti ha elogiato le Marche, una regione che “ha dato i natali a tantissimi artisti, non solo nel campo dell’architettura e della pittura, ma anche della musica. Voi avete a distanza di pochi chilometri Giovan Battista Pergolesi (nato proprio a Jesi, ndr) e Spontini”. E ha elogiato le due città che “si stanno prodigando per sottolineare l’importanza di questi due giganti della musica”, ma “molte persone non sanno chi sono e questa è una vergogna per noi”. Perché “la musica italiana non è semplicemente l’espressione sguaiata di note acute tenute all’infinito, ma la nostra storia è una storia di nobili e grandi compositori”. Compositori che “hanno fatto l’Europa prima dei nostri politici ed economisti”.
“Pensate che Spontini era un re prima a Parigi e poi a Berlino – ha detto ancora Muti -, e nelle memorie di Wagner si legge che quando Spontini arrivò a Dresda per dirigere La Vestale scese da una carrozza principesca venendo da un’umile casa di Maiolati. Wagner s’inginocchia addirittura davanti a lui”. Due colossi della musica “dimenticati”: “Pergolesi era ammiratissimo da Bach, all’età di 26 anni muore lasciandoci dei capolavori incredibili”. Capolavori raramente eseguiti e lo stesso accade per La Vestale o l’Agnese di Hohenstaufen di Spontini o altre opere. “Va bene il ‘Vincerò’ che dura mezz’ora ed è anche piacevole – ha ironizzato il maestro – ma non rappresenta tutta la nostra musica”. E “se andate a vedere la partitura di Puccini, non esprime ‘ad libitum’ fino a quando tutti quanti, presi da frenetici orgasmi, urlano uau”. “Cosa è successo al nostro Paese? – si è chiesto Muti -. E’ successo che nelle grandi occasioni ci si veste bene, si compare nei palchi e poi si scompare? O dobbiamo metterci in testa che la musica e la storia della musica insegnata bene e portata alle nuove generazioni possa migliorare il futuro del nostro Paese?”.
Tutto queste però “non succede” e per questo il pubblico non sa più ascoltare. “Noi abbiamo in debito verso il nostro passato – si è accalorato -, abbiamo una storia infinita di bellezza e arte che molti ragazzi oggi non conoscono e che sta diventando solamente un’occasione di ascolto per alcuni privilegiati. Non sono un politico, ma con grande malinconia mi avvicino alla fine della vita perché noi non siamo più degni delle radici su cui abbiamo fatto spuntare fiori, o alberi o foglie”. “Verdi rimane il Michelangelo del musica e ha coperto tutto l’Ottocento”. E anche Puccini è rappresentativo di un certo periodo. Ma “quando Spontini scrive la Vestale, dentro c’è tutto quello che poi Wagner prenderà. Questo siamo e questo dovrebbero sapere quelli che guidano l’Italia e questo dovrebbero insegnare a scuola”.
La parola d’ordine è trasparenza. Quella chiesta a gran voce dall’industria culturale e creativa davanti allo sviluppo vertiginoso dell’intelligenza artificiale generativa (IA). L’appello è stato raccolto dall’Ue, che con l’AI Act, appena vidimato dal Parlamento europeo, sta provando a creare uno scudo a tutela di giornalisti, scrittori, musicisti, registi, chi vive insomma della propria creatività. Si parla di professioni che rischiano di essere travolte dalla nuova tecnologia alimentata dal petrolio dell’economia digitale: i dati. Le loro opere – canzoni, libri, reportage, film – sono impiegate sia per addestrare i cosiddetti modelli linguistici di grandi dimensioni, su cui si basano sistemi come ChatGPT, sia per creare opere derivate. Si può ritenere questo processo come una violazione del diritto d’autore? Secondo il New York Times la risposta è affermativa.
In un caso destinato a fare scuola, la Vecchia Signora in Grigio ha portato in tribunale Microsoft e OpenAI, la società nota per aver creato ChatGPT, accusandole di aver copiato e utilizzato illegalmente i suoi articoli per addestrare i modelli di IA. I due colossi tech non hanno rivelato pubblicamente la composizione dei dataset su cui viene istruita la nuova tecnologia. Ed è su questo che interviene l’AI Act. I sistemi come ChatGPT e i modelli su cui si basano dovranno, infatti, soddisfare determinati requisiti di trasparenza e rispettare le norme europee sul diritto d’autore durante le fasi di addestramento dei vari modelli.
“Un passaggio importante” per Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Associazione Italiana Editori (Aie) e di Confindustria Cultura Italia (Cci), secondo cui le richieste del mondo delle industrie culturali e creative “hanno trovato orecchie attente nel governo italiano e in modo trasversale tra gli europarlamentari che hanno votato a favore dell’AI Act”. “La trasparenza – ha evidenziato – è il requisito per poter analizzare criticamente gli output dell’IA e, per chi detiene i diritti, sapere quali opere sono utilizzate nello sviluppo di questi strumenti, se provengono da fonti legali e se l’uso è stato autorizzato”.
Ma la strada è ancora lunga. La legge europea è solo “un primo passo per far valere i propri diritti”, ha commentato un’ampia coalizione di organizzazioni dei settori creativi e culturali europei, esortando a mettere in pratica “queste importanti norme in modo significativo ed efficace”. A fare la differenza sarà l’attuazione della normativa, la definizione degli standard, ma anche la previsione di una policy a tutela del diritto d’autore che affronti ad esempio la questione della remunerazione dei detentori dei diritti per l’uso di opere coperte da copyright.
Dopo Pesaro per il 2024 e Agrigento per il 2025 è l’Aquila la città scelta come capitale italiana della cultura 2026. A proclamarla è stato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano nel corso della cerimonia che si è svolta a Roma, nella Sala Spadolini del ministero, alla presenza della giuria presieduta da Davide Maria Desario e composta da Virginia Lozito, Luisa Piacentini, Andrea Prencipe, Andrea Rebaglio, Daniela Tisi, Isabella Valente, e dei rappresentanti di tutte e dieci le città finaliste: oltre all’Aquila, Agnone (Isernia), Alba (Cuneo), Gaeta (Latina), Latina, Lucera (Foggia), Maratea (Potenza), Rimini, Treviso, Unione dei Comuni Valdichiana Senese (Siena). “L’Aquila è una città ricca di storia e di identità e merita certamente di essere capitale della cultura” dice parlando con i giornalisti Sangiuliano, che ricorda anche come la commissione sia “assolutamente autonoma e indipendente dalla mia persona”. Il ministro avrebbe voluto dare “questo riconoscimento a tutte le città che erano candidate, questo purtroppo non era possibile. Adesso studieremo un modo per coinvolgerle in questo momento”.
L’Aquila “si avvia a celebrare i 15 anni del terremoto – commenta il sindaco della città Pierluigi Biondi -. Essere capitale italiana della cultura non è un risarcimento, ma rappresenta un elemento attorno a cui ricostruire il tessuto sociale della nostra comunità”. La cultura “è un elemento fondante, è recupero dell’identità e proiezione nel futuro – aggiunge – . Le altre città finaliste saranno parte di questo percorso. Vi garantiamo che saremo all’altezza del compito che ci assegnate… viva l’Italia”. Il progetto presentato dal capoluogo abruzzese è intitolato ‘L’Aquila Città multiverso’ ed è “un ambizioso programma di sperimentazione artistica per la creazione di un modello di rilancio socio-economico territoriale a base culturale, capace di proiettarla verso il futuro seguendo i quattro assi della Nuova Agenda Europea della Cultura: coesione sociale, salute pubblica benessere. creatività e innovazione, sostenibilità socio-ambientale”, si legge nelle linee guida. “Siamo molto felici, è un altro segno di rinascita dell’Abruzzo – commenta Marco Marsilio, appena confermato alla presidenza della Regione -. Sapevamo di essere molto competitivi e che il dossier presentato era eccellente. La giuria lo ha riconosciuto”. Il progetto dell’Aquila “ci ha convinto per la sua qualità, ma anche per aspetti come il budget, la capacità di includere per tutto l’anno i territori e per il coinvolgimento dei giovani” spiega Davide Maria Desario, presidente della giuria. Ognuno dei progetti delle città finaliste “rappresenta l’emblema dell’Italia come vorremmo che fosse, l’Italia del fare”. Per questo Desario torna a lanciare la proposta (poi accolta dal ministro, ndr) “che oltre oltre al premio alla città vincitrice si integri il bando con un riconoscimento anche alle altre finaliste”. Fra le reazioni alla vittoria, prevalgono le congratulazioni da parte delle altre città finaliste ma si solleva anche qualche polemica.
“A pensar male si fa peccato ma, come dice l’adagio, spesso si indovina. O forse è solo un caso che, a pochi giorni, dalle elezioni regionali in Abruzzo il titolo sia stato conferito proprio a La città de L’Aquila?” si chiede in una nota il deputato del Pd Andrea Gnassi, ex sindaco di Rimini. Critico anche l’attuale sindaco della città romagnola Jamil Sadegholvaad che fa i complimenti a L’Aquila ma parla di “invasioni di campo preventive scomposte anche da parte di chi dovrebbe essere super partes” nella competizione. Il nostro auspicio “è che Rimini e la Romagna alluvionata possano essere Capitale italiana della cultura l’anno successivo – commenta il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini -, a partire proprio dall’alluvione senza precedenti del maggio 2023 da cui hanno saputo subito risollevarsi e ripartire”. Invece il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle del Molise Andrea Greco oltre a esprimere il rammarico per la sconfitta di Agnone (Isernia) che era tra le dieci finaliste, critica Bruno Vespa, che avrebbe dimostrato “una meno che sufficiente caratura giornalistica” per l’endorsement a L’Aquila che avrebbe fatto sulla tv pubblica alla vigilia della designazione: “E’ stato per lo meno spiacevole per non utilizzare altri termini”.