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Esteri

Libera la finta ereditiera che truffò New York

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Anna Sorkin esce dal carcere e riappare subito sui social: “La prigione e’ estenuante, non ve ne rendete conto”, scrive su Instagram rivolgendosi ai suoi 75.000 follower. La finta ereditiera tedesca conosciuta nella Manhattan bene come Anna Delvey era stata condannata nel 2019 al carcere per aver rubato 200.000 dollari a banche e amici, che la credevano una miliardaria. Per anni la Sorkin si era finta una ereditiera tedesca con un tesoro di 60 milioni di euro oltreoceano. Una fortuna che aveva sbandierato per farsi largo nella New York dei ricchi e ci era riuscita: per anni ha vissuto nel lusso sfrenato ingannando decine di persone. Nel 2019 pero’ la sua bolla era scoppiata e ‘Delvey’ era stata condannata al carcere. Il processo rivelo’ molti dettagli della sua vita reale: non era una ricca ereditiera tedesca, ma un’immigrata russa proveniente da una famiglia della classe media. “Sono profondamente colpita dai sotterfugi e dai raggiri perpetrati”, aveva detto il giudice Diane Kiesel condannandola. Sorkin si era scusata pubblicamente per i suoi “errori” di cui si “vergognava profondamente”. Una lunga lista di malefatte la sua che include anche una truffa per riuscire a ottenere un prestito da 22 milioni di dollari per aprire un club dedicato all’arte. Ora dopo aver scontato solo due anni di carcere Sorkin, a questo punto 30enne, e’ stata rilasciata per buona condotta ed e’ tornata nella sua New York. Le foto e i messaggi Instagram postati rivelano che si trova a Manhattan, probabilmente a casa di un amico dal quale, ha dichiarato alle autorita’, avrebbe inizialmente trovato riparo. Per la donna inizia cosi’ una nuova pagina, fatta almeno in queste battute iniziali da una rafforzata presenza sui social. Oltre a Instagram, ha aperto un account Twitter e ha aggiornato il suo blog dalla prigione ‘Anna Delvey Diaries’, che aveva lanciato lo scorso novembre. La sua storia e le sue vicissitudini hanno catturato e stregato l’attenzione pubblica tanto che Netflix le ha offerto un contratto da 320.000 dollari per realizzare una miniserie su di lei. Una cifra consistente dalla quale, comunque sono gia’ stati sottratti 200.000 dollari da restituire ai truffati. A Sorkin restano quindi 120.000 dollari per iniziare a scrivere il nuovo capitolo della sua vita.

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Esteri

Gli Stati Uniti autorizzano gli attacchi alle navi dei cartelli della droga: “Il fentanyl è una minaccia chimica”

Secondo un documento del Dipartimento di Giustizia, i cartelli della droga sono considerati obiettivi militari legittimi: il fentanyl è classificato come minaccia chimica e arma potenziale.

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Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha giustificato gli attacchi alle navi che trasportano droga nel Mar dei Caraibi, sostenendo che il fentanyl rappresenta una minaccia chimica per la sicurezza nazionale.
La notizia, riportata dal Wall Street Journal, si basa su un documento elaborato dall’ufficio di consulenza legale del Dipartimento e redatto nel corso dell’estate.

Secondo il testo, i cartelli della droga possono essere considerati asset militari legittimi a seguito della decisione dell’allora presidente Donald Trump di designarli come organizzazioni terroristiche straniere.


“Il fentanyl è stato usato come un’arma”

Nel documento si sottolinea che il fentanyl, al pari della cocaina, è stato utilizzato in passato come arma chimica.
Una classificazione che, secondo i giuristi del Dipartimento, permette di giustificare azioni militari preventive o difensive contro le imbarcazioni sospettate di trasportare la sostanza.

L’approccio rientra in una strategia più ampia di contrasto al traffico di fentanyl, un oppioide sintetico che negli ultimi anni ha causato decine di migliaia di morti per overdose negli Stati Uniti, configurandosi come una delle principali emergenze sanitarie e di sicurezza nazionale.


Una decisione che apre nuovi scenari

La posizione del Dipartimento di Giustizia segna una svolta senza precedenti: equiparare il traffico di droga a un atto di guerra significa autorizzare interventi armati fuori dal perimetro tradizionale delle operazioni antidroga.
Un passo che, secondo alcuni analisti, potrebbe ridefinire i confini del diritto internazionale in materia di sicurezza e uso della forza, soprattutto in aree extraterritoriali come il Mar dei Caraibi.

Gli Stati Uniti, secondo quanto riferito dal Wall Street Journal, avrebbero già condotto raid mirati contro alcune navi sospettate di trasportare carichi di fentanyl e cocaina.
L’obiettivo, scrive il quotidiano americano, è quello di interrompere alla fonte la catena di produzione e distribuzione della sostanza, considerata oggi la droga più letale del pianeta.

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Attacco ucraino con droni su Novorossijsk: colpito terminal petrolifero russo e feriti tre civili

Droni ucraini colpiscono la città portuale russa di Novorossijsk: danneggiato il terminal petrolifero Sheskharis della Transneft e ferita l’equipaggio di una nave civile.

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Un nuovo attacco con droni ucraini ha colpito nella notte la città portuale russa di Novorossijsk, sul Mar Nero, provocando un vasto incendio e danni significativi a un terminal petrolifero strategico per Mosca.

Secondo quanto riferiscono fonti locali citate dai media di Kiev, i droni avrebbero centrato il complesso di Sheskharis, uno dei principali hub della compagnia statale russa Transneft, utilizzato per l’esportazione di greggio verso i mercati internazionali.


Tre feriti nell’attacco: colpita anche una nave civile

Oltre al terminal, una nave civile attraccata nel porto sarebbe stata danneggiata durante l’attacco. Le prime informazioni parlano di tre membri dell’equipaggio feriti, trasportati d’urgenza in ospedale.

L’impatto delle esplosioni avrebbe causato un incendio di grandi proporzioni, visibile a chilometri di distanza, con le autorità locali impegnate per ore nelle operazioni di spegnimento.


Novorossijsk, nuovo fronte della guerra sul Mar Nero

Il porto di Novorossijsk rappresenta uno dei nodi strategici più importanti della logistica energetica russa sul Mar Nero. Da qui partono infatti le esportazioni di petrolio dirette verso l’Europa, l’Asia e il Medio Oriente.

L’attacco — se confermato ufficialmente — dimostra la capacità ucraina di colpire obiettivi profondi in territorio russo, anche lontani dalla linea del fronte, e si inserisce nella guerra energetica che Kiev conduce contro Mosca da mesi.

La Russia, al momento, non ha rilasciato commenti ufficiali, ma secondo i media statali le autorità stanno verificando l’entità dei danni e valutando le misure di sicurezza per le infrastrutture portuali ed energetiche della regione.

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Tokyo frena dopo le parole di Takaichi su Taiwan: “La nostra posizione resta immutata”

Il governo giapponese chiarisce la sua posizione su Taiwan dopo le parole della premier Sanae Takaichi che avevano irritato Pechino. Tokyo riafferma l’impegno per la pace nello Stretto e la fedeltà al principio di “una sola Cina”.

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Il governo giapponese ha ribadito che la sua posizione su Taiwan “resta immutata”, nel tentativo di stemperare le tensioni con la Cina esplose dopo le recenti dichiarazioni della premier conservatrice Sanae Takaichi.

La posizione su Taiwan è coerente con il Comunicato congiunto Giappone-Cina del 1972”, ha dichiarato il segretario di gabinetto Minoru Kihara, sottolineando “la necessità di garantire pace e stabilità nello Stretto di Taiwan”.


Le parole di Takaichi e la reazione furiosa di Pechino

La presa di posizione ufficiale arriva a una settimana dalle parole della premier Takaichi, che aveva lasciato intendere la possibilità di un intervento militare diretto o indiretto del Giappone in caso di un attacco cinese a Taiwan.

Un’ipotesi che ha scatenato la reazione durissima di Pechino, per la quale Taiwan è una “parte inalienabile” del proprio territorio.

Il Quotidiano del Popolo, organo del Partito Comunista Cinese, ha accusato Tokyo di voler “rilanciare il suo militarismo bellico” e di tentare di “ripetere gli errori della storia”.


La Cina accusa Tokyo di “militarismo mascherato”

In un editoriale pubblicato sotto lo pseudonimo Zhong Sheng — usato per gli articoli di linea ufficiale sulla politica estera — il quotidiano cinese ha affermato che le parole della premier “non sono un’invettiva isolata”, ma si inseriscono nella strategia di una destra giapponese decisa a liberarsi dai vincoli pacifisti imposti dalla Costituzione del dopoguerra.

Il giornale cita episodi che, a suo dire, dimostrerebbero la deriva militarista di Tokyo:

  • le visite dei politici al santuario Yasukuni, dove sono onorati anche 14 criminali di guerra di classe A,

  • la negazione del massacro di Nanchino,

  • e la “propaganda della teoria della minaccia cinese”.

“Ogni passo di Takaichi — scrive il Quotidiano del Popolo — segue le orme della colpa storica giapponese, tentando di insabbiare la storia di aggressione e far rivivere il militarismo.”


Takaichi: “Un attacco a Taiwan minaccerebbe la sopravvivenza del Giappone”

Durante un’audizione parlamentare, la premier Takaichi aveva definito un eventuale attacco militare cinese a Taiwancome una “situazione di minaccia alla sopravvivenza” per il Giappone, formula che consentirebbe a Tokyo di esercitare il diritto all’autodifesa collettiva.

Un’espressione che, secondo Pechino, riecheggia la retorica giapponese degli anni Trenta. Lo stesso Quotidiano del Popolo ha paragonato la posizione di Takaichi all’“Incidente di Mukden del 1931”, usato dal Giappone come pretesto per invadere la Manciuria:

“Ora che questa retorica sta rivivendo — scrive il giornale — il Giappone intende davvero ripetere gli errori della storia?”


Il difficile equilibrio di Tokyo tra alleati e Pechino

Il governo giapponese, pur mantenendo relazioni non ufficiali con Taipei, continua a riconoscere una sola Cina in base al comunicato bilaterale del 1972. Tuttavia, negli ultimi anni Tokyo si è progressivamente allineata alle preoccupazioni occidentali per l’espansionismo militare cinese nell’area dell’Asia-Pacifico, rafforzando la cooperazione strategica con gli Stati Uniti.

In questo delicato equilibrio tra diplomazia e sicurezza, le parole di Takaichi rischiano di mettere in crisi la tradizionale prudenza giapponese, spingendo Tokyo in un terreno sempre più scivoloso tra realpolitik e revisionismo storico.

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