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Lezioni di calcio del Napoli, Osimhen zittisce i cori razzisti con due gol: Verona in ginocchio al Bentegodi

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Verona – Napoli finisce 2-1 per gli azzurri che strappano al Bentegodi tre punti importanti (ora a 60 punti) per restare nella scia del Milan che comanda la classifica del campionato tre punti più avanti. Era una partita da dentro fuori per gli azzurri, serviva la vittoria e così è stato. Un Napoli determinato, ‘sporco’ all’occorrenza, dunque fisico e sportivamente aggressivo, utile per portare a casa il risultato. Ci hanno pensato già ultras scaligeri a ‘sporcare’ il prepartita in tutt’altro modo esponendo uno striscione con le bandiere di Russia e Ucraina sopra e le coordinate di Napoli sotto e il messaggio sottinteso che incita a bombardare Napoli.


Dopo il KO con il Milan, Spalletti cambia modulo e qualche elemento in formazione: il Napoli scende in campo con il 4-3-3. Confermata la difesa con Ospina tra i pali e la solita linea a quattro: Di Lorenzo, l’ex Verona Rrahmani, Koulibaly e Mario Rui. Il centrocampo a tre ospita Anguissa per una maggiore personalità, di fianco a Lobotka e Fabian. In avanti Insigne cede il posto a Lozano dal 1′, confermato a destra Politano con Osimhen al centro dell’attacco.
Inizia la partita e già le due squadre si distinguono con un’azione per parte. Al 3’ prima conclusione con Tameze a valle un’azione gialloblù, ma il suo sinistro viene deviato in angolo.


All’ 8’ uno scambio tra Di Lorenzo e Politano con cross al centro: sul secondo palo Lozano pasticcia travolgendo Sutalo.
Un minuto dopo ci prova Simeone ma il suo tiro finisce alto. Al 14′ riesce il Napoli a sbloccarla. Rimessa laterale azzurra, la palla arriva a Politano che dalla destra mette al centro un cross perfetto per Osimhen che, con la sua maschera, vola più in alto di tutti e di testa sul primo palo insacca per lo 0-1. Napoli resta prevalentemente in area avversaria, sale in cattedra Fabian Ruiz che al 20’ lascia partire un fendente dal limite e viene murato in angolo mentre al 22’ il suo sinistro a giro chirurgico trova Montipò pronto alla respinta. Sul fronte opposto al 23’ Koulibaly chiude agevolmente una incursione di Simeone. Nel frattempo piove sulla pista di atletica qualche fumogeno. Al 30’ di nuovo Osimhen indiavolato si invola sulla destra e da posizione defilata tenta un tiro impossibile, da apprezzare la sua grande voglia.


Cambio forzato nel Verona al 38’ esce De Paoli per infortunio, entra Bessa. Al 40’ una bella ripartenza di Fabian che finta il tiro di sinistro e tiro a giro di destro, sfera fuori di poco. Ospina per adesso non ha corso pericoli particolari. Gestisce bene la gara il Napoli fino alla fine del primo tempo: l’arbitro Doveri manda tutti negli spogliatoi al 47’, Napoli in vantaggio 1-0.
Nessun cambio, squadre in campo e al 46’ Koulibaly blocca due volte con energia Faraoni. Il Verona è pronto ad innervosire il gioco. Al 50′ mischia nell’area di rigore del Napoli, scontro Ospina-Ceccherini. Il portiere colombiano lamenta un dolore alla mano, entra in campo lo staff medico azzurro. Stringe i denti Ospina, rientra in partita e sulla rimessa duello Osimhen-Gunter, con il nigeriano che ha la peggio e resta a terra. Problemi alla spalla per l’attaccante. Sembra non farcela, si sveste Petagna ma contrordine… Osimhen continua a giocare.
Continui capovolgimenti di fronte, si gioca soprattutto a centrocampo, intensità e qualche errore di troppo da ambo le parti. Al 62′ doppio cambio per il Napoli: fuori Lozano e Politano e dentro Elmas e Insigne.


Al 68′ ammonito Gunter per una trattenuta su Osimhen e al 69’ punito Ceccherini per un calcione su Elmas. Al 71’ si disunisce il Verona su un’altra rimessa laterale per il Napoli che coglie l’occasione per raddoppiare. Ceccherini perde completamente Di Lorenzo che entra in area e appoggia per Osimhen che da due passi supera Montipò per la sua doppietta (0-2).
Riesce il Verona ad accorciare al 77’: Caprari serve Tameze. Il centrocampista fa partire un cross per Faraoni che di testa batte Ospina per l’1-2.
Prende fiducia il Verona che ambisce a raddrizzare la partita. Colpo di scena all’83’. Secondo giallo per Ceccherini ammonito per la seconda volta dopo un tocco di mano. I gialloblù restano in dieci.


Ammonito anche Ilic per un brutto fallo su Di Lorenzo all’85’. All’87’ ottima occasione per Elmas e poi Di Lorenzo sulla respinta ma nulla di fatto. All’ 89′ Elmas scarica sulla sinistra per Mario Ru che fa partire una grande conclusione ma trova la traversa. Al 90′ doppia sostituzione per il Napoli: escono Osimhen e Fabian ed entrano Petagna e Zielinski.
Sono 6 i minuti di recupero. Al 93’ entrato da pochi minuti Petagna lamenta problemi flessore, costretto ad uscire al posto di Ghoulam. Al 97′ ammonito Faraoni per un tocco evidente col braccio. Finisce la partita, Faraoni protesta e viene espulso. Finale rovente. Il Napoli torna a casa con i tre punti.

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Osimhen: io non mi arrendo mai, mi impegno sempre al massimo

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“Io mi definisco determinato, penso di essere quel tipo di persona che non si arrende mai, in qualsiasi circostanza mi trovo. Cerco sempre di impegnarmi al massimo per raggiungere quello che mi sono prefissato”. Lo ha detto Victor Osimhen in un’intervista con la piattaforma digitale sullo sport Betsson Sport pubblicata su Youtube dal club azzurro. Osimhen parla di se stesso in un’intervista alla fine di una stagione amara per il Napoli, che sarà la sua ultima in maglia azzurra. I tifosi del Napoli “sono straordinari – spiega – quando devo cercare una parola per descriverli resto senza parole perché sono assolutamente travolgenti. E’ elettrizzante, una città così grande che prende il calcio così seriamente e il modo in cui i tifosi supportano la squadra è veramente da non credere. Per me è una sensazione fantastica, a Napoli sono i tifosi che rendono la quadra ciò che è. Il modo in cui tifano la squadra e ogni giocatore è davvero incredibile”.

Osimhen, autore quest’anno di 15 gol in 28 partite in una stagione che lo ha visto assente per due periodi, prima per l’infortunio e poi per la Coppa d’Africa, spiega il suo rituale prepartita: “Prima di tutto dico le mie preghiere – ha detto – visto che sono molto credente, e ascolto alcune canzoni che mi motivano. Poi, ripenso alla partita precedente, a tutti gli errori che ho fatto così da poterli correggere. Se non segno comunque provo ad aiutare la squadra, provo a difendere, provo a vincere e a combattere per loro sul campo”. Alla domanda sul momento importante che ha avuto nella sua carriera, Osimhen ricorda che “il momento chiave – ha detto – è quando ho firmato per lo Charleroi in Belgio.

Prima, quando mi sono trasferito al Wolfsburg, volevo tanto cominciare a giocare, ma anche imparare perchè mi sono trasferito come un giovane attaccante e avevo bisogno di tempo per trasformarmi nel giocatore e nell’uomo che volevo diventare. A quel tempo ho potuto giocare con grandi giocatori come Draxler, Schurrle, Guilavogui, venne anche Mario Gomez, per me è stata un’opportunità per imparare una o due cose da alcuni dei più grandi attaccanti di quel periodo. Poi mi sono trasferito in Belgio ma sono stato rifiutato da due club lì, prima che finalmente lo Charleroi mi offrisse un contratto. Quello è stato davvero il momento che mi ha fatto diventare il Victor Osimhen che vedete ora”.

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Scudetto Inter, pagelle: sorpresa Thuram, Dimarco al top

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Le pagelle dello scudetto nerazzurro – INZAGHI 10: gli avevano dato quasi l’obbligo di vincere lo scudetto e non sbaglia un colpo per centrare l’obiettivo, a volte anche sacrificando qualcosa in Champions.

La sua Inter non solo vince, come tante altre prima della sua, ma gioca pure un bel calcio: due cose che non sempre vanno di pari passo.

– SOMMER 7.5: sostituire Onana non era facile. Lo svizzero tuttavia ci è riuscito dando serenità all’intero reparto, senza quasi mai strafare ma garantendo sicurezze ai compagni.

– AUDERO 6.5: dalla retrocessione con la Sampdoria allo scudetto con l’Inter. Chiamato in causa due volte nelle sfide con Lecce ed Empoli, ne è uscito senza aver subito reti.

– DARMIAN 7.5: il soldatino quando c’è da vincere uno scudetto risponde presente anche in zona offensiva. Come nell’anno del tricolore con Conte, infatti, ha messo lo zampino in occasioni importanti contro Atalanta e Napoli.

– ACERBI 7.5: il caso Juan Jesus ha segnato l’ultima parte di stagione, in una annata in cui ha garantito comunque un rendimento alto segnando pure tre gol, con quello nel derby che vale lo scudetto.

– DE VRIJ 7: a tratti si è rivisto il difensore al top degli anni di Conte, senza far rimpiangere Acerbi (come l’anno scorso) quando è stato chiamato in causa.

– DIMARCO 8.5: ormai è tra i top mondiali del ruolo. Corse, chiusure, ma soprattutto rendimento elevatissimo quando c’è da attaccare tra assist e reti. Con la perla del gol da metà campo contro il Frosinone, così come quello da tre punti a Empoli. – DUMFRIES 7: meno devastante del solito, tanto da perdere (complice anche qualche infortunio) il posto da titolare a favore di Darmian sulla fascia destra.

– PAVARD 7.5: ci ha messo un po’ a entrare nei meccanismi di Inzaghi, quando però ci è riuscito non è più uscito dal campo, con impatto in ogni lato del campo. Non una sorpresa, considerando il livello del giocatore.

– BASTONI 8.5: limitarlo al ruolo di difensore è ormai quasi offensivo. Play “nascosto” nel sistema dell’Inter, si veste sempre più spesso pure da rifinitore anche con assist pesanti.

– CARLOS AUGUSTO 6.5: l’esterno capace di bruciare la fascia visto a Monza non si è ripetuto in nerazzurro, complice soprattutto il minutaggio ridotto. Ma, alla Darmian, ha sempre risposto presente.

– BISSECK 7: arrivato in estate in sordina e tra qualche dubbio, fin dalle prime uscite ha fatto vedere di avere le doti per poter vestire la maglia nerazzurra. Togliendosi pure lo sfizio di un paio di gol pesanti contro Lecce e Bologna.

– MKHITARYAN 8: il simbolo della sua stagione non è la doppietta nel derby di andata o uno dei tanti assist serviti ai compagni, ma la corsa di 60 metri per chiudere in scivolata su Thauvin sull’1-1 a Udine. La carta d’identità dice 35 anni, Inzaghi però se puo’ non se ne priva mai e non è un caso.

– CALHANOGLU 8.5: chiude la sua seconda stagione in doppia cifra in campionato in carriera al secondo anno da regista. Infallibile dal dischetto (e non è semplice come sembra), regala geometrie e distribuisce cioccolatini col suo destro vellutato.

– BARELLA 8: primi mesi sotto ritmo e sottotono (anche per problemi extracampo), poi però torna ad alzare i giri del motore e dimostra di essere uno dei centrocampisti top d’Europa. La fascia di capitano, indossata sempre più spesso e per la prima volta anche in nazionale, lo responsabilizza e lui risponde presente.

– FRATTESI 7.5: probabilmente si aspettava lui per primo un maggiore impiego. Ma i suoi minuti in campo si pesano, non si sommano: in rete nel derby d’andata, poi segna contro Verona e Udinese regalando i tre punti all’Inter sempre nel recupero. Una sentenza nel finale, un senso del gol inzaghiano (ma di Filippo, in questo caso).

– ASLLANI 6.5: Inzaghi si fida di più e il regista albanese ripaga la fiducia con prestazioni sempre solide, trovando tra l’altro il primo gol in nerazzurro nella delicata sfida contro il Genoa.

– SANCHEZ 7: “i campioni sono così”, disse dopo la rete decisiva con la Juventus nella Supercoppa italiana 2021. E in effetti la sua stagione è di chi ha i colpi da campioni: prima metà insufficiente, ultimi mesi da top riuscendo a colmare qualche passaggio a vuoto di Thuram e Lautaro.

– ARNAUTOVIC 6: doveva essere l’attaccante di esperienza capace di far riposare i titolari soprattutto in campionato, considerando che arrivava da due annate positive al Bologna. Invece, complici anche gli infortuni, non è riuscito ad avere alcun impatto.

– THURAM 9: arrivato in punta di piedi, già dopo poche giornate San Siro era ai suoi piedi grazie al gol da urlo nel derby. Se Lukaku è ormai nel dimenticatoio è merito del francese, che tra l’altro segna in faccia all’ex nerazzurro oggi alla Roma sia all’andata che al ritorno. Reti, assist, dribbling e giocate da campione, tutto tra l’altro a parametro zero.

– LAUTARO MARTINEZ 10: la stagione della consacrazione da bomber e anche da trascinatore. Fino a febbraio è in corsa per battere il record di gol di Immobile e Higuain, poi ha una lieve flessione ma poco importa, perché l’argentino alza il suo primo scudetto da capitano dopo una annata in cui dimostra di saper vedere la porta come pochi altri al mondo. Il tutto senza praticamente calciare rigori, forse il suo unico punto debole. In compenso anche quando non segna ci mette la garra di chi sa di dover essere d’esempio per i compagni: così è riuscito a trasformare le lacrime dopo lo scudetto del Milan nel 2021/22 nella festa per la seconda stella. – Di Gennario, Cuadrado, Sensi, Buchanan e Klaassen sv.

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Scudetto Inter: rivincita Inzaghi, ora è nella storia

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“Dove alleno io aumentano i ricavi e si vincono trofei”. Simone Inzaghi lo aveva detto, nel settembre 2022, per togliersi qualche sassolino dalle scarpe e per allontanare etichette poco simpatiche sul suo conto. D’altronde, dopo lo scudetto gettato al vento nel 2021/22 nel testa a testa col Milan, nel mondo Inter erano non pochi a voler salutare il tecnico piacentino. E anche durante il difficile 2022/23, le 12 sconfitte in campionato avevano rimesso in bilico il futuro di Inzaghi sulla panchina nerazzurra. Poi, però, la storia per l’allenatore è cambiata grazie soprattutto all’impresa sfiorata in Champions League nella finale contro il Manchester City.

Scudetto Inter, pagelle: sorpresa Thuram, Dimarco al top

Una sconfitta che ha rilanciato le ambizioni sia dell’ex Lazio sia della squadra, un ko che è stata la benzina per arrivare al trionfo che è valso lo scudetto numero venti e la conseguente seconda stella. Un tricolore che profuma quindi di rivincita, per Inzaghi. Rivincita verso i detrattori, certo, ma anche rivincita personale. D’altronde, in lotta per lo scudetto lui c’era già stato anche prima dell’Inter, con la Lazio nella stagione 2019/20, quella fermata dal Covid e dal lockdown. Al momento dello stop a marzo, dopo 26 giornate, i biancocelesti erano a -1 dalla Juve capolista, salvo crollare alla ripresa a giugno, arrivando poi solo quarti seppur a 5 punti di distacco dai bianconeri scudettati.

Anche in quella occasione il mirino finì su Inzaghi, per molti allenatore più da gara secca che da campionato; il rimprovero era non riuscire a tenere alta l’attenzione del gruppo per una intera stagione. Poi arrivò l’addio alla Lazio, burrascoso tanto quanto il suo esordio in panchina tra i grandi (era scelto all’ultimo per sostituire Bielsa dopo il rifiuto dell’argentino), e lo sbarco all’Inter, con l’ingrato compito di sostituire Conte, fresco di scudetto e di fuga da Milano. L’unica cosa in comune con il predecessore è il modulo, il 3-5-2 a cui né uno né l’altro fanno a meno se non in situazioni di emergenza. Ma è l’interpretazione che è totalmente diversa: fisica e aggressiva quella di Conte, tecnica e più libera quella di Inzaghi. La grande differenza, però, è nella rosa a disposizione. Inzaghi nella sua prima stagione non vede nemmeno Hakimi, ceduto a fine giugno al Psg, e poi oltre a perdere Eriksen dopo i problemi al cuore saluta anche Lukaku, che scappa al Chelsea. Certo, poi trova Dumfries, Calhanoglu e Dzeko, ma non è la stessa cosa: eppure va vicino allo scudetto e fa un figurone in Champions, uscendo dopo una doppia sfida equilibrata col Liverpool.

Nell’estate 22 ritrova Lukaku, pesca Onana e va sul sicuro con Acerbi-Mkhitaryan: in campionato va subito in affanno allontanandosi dal Napoli poi campione, perde 12 volte ma alla fine riesce ad entrare tra le prime quattro, ma il capolavoro è in Champions, dove viene sconfitto solo in finale dal City di Guardiola dopo aver eliminato il Milan nel derby in semifinale. Si arriva così all’estate 2023, caratterizzata dal tira e molla Lukaku, che alla fine non torna a Milano ma si accasa alla Roma. Inzaghi oltre al belga perde anche Onana, Skriniar, Brozovic e Dzeko ma non fa una piega, sostituendoli coi vari Sommer, Pavard, Frattesi, Arnautovic e Thuram. Cambiano i protagonisti, ma non l’interpretazione, che anzi si fa ancora più solida e convincente: l’Inter gioca e vince, mostra il suo lato migliore nel tiki-taka inzaghiano, alternando palleggio fin dal portiere a giocate in verticale che esaltano non solo il rendimento dei giocatori ma soprattutto il pubblico di San Siro, che si spella le mani per applaudire i nerazzurri.

La marcia verso il ventesimo scudetto è così trionfale, passando anche dallo storico derby che vale la matematica certezza. Inzaghi entra nella storia cucendo sul petto dell’Inter la seconda stella, il suo sesto trofeo a Milano che gli fa superare un certo José Mourinho tra gli allenatori interisti più vincenti, portandosi a -1 da Mancini ed Herrera. E anche restituendo un “torto” fatto al mondo Inter da calciatore, visto che era in campo il 5 maggio 2002 con la maglia Lazio, quando i nerazzurri crollarono (anche per un gol dello stesso piacentino nel 4-2 finale) ad un passo dal traguardo scudetto. Oltre 20 anni dopo, Inzaghi ora entra definitivamente nella storia dell’Inter. Stavolta dalla parte giusta.

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