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L’era del potere tecno-industriale: la rivoluzione di Trump e i suoi alleati

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Con l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, prende forma una nuova era per gli Stati Uniti, segnata da un’alleanza tra il mondo tecnologico e quello politico. Durante un incontro a Mar-a-Lago intitolato “America First: il futuro di tecnologia, AI e spazio”, Tarek Waked, leader di Type One Ventures, ha sintetizzato la filosofia del nuovo corso: «Solo gli imprenditori sanno cosa c’è nella salsiccia. Per questo sono i più adatti a fissare le regole per la tecnologia». Parole che anticipano il ruolo cruciale che i giganti della tecnologia ricopriranno nel plasmare il governo Trump.

I leader della tecnologia: dalla Silicon Valley alla Casa Bianca

Tra i protagonisti di questa rivoluzione ci sono volti noti come Elon Musk, presenza costante accanto a Trump, e altri nomi meno visibili ma altrettanto influenti: Peter Thiel, cofondatore di PayPal e figura centrale di Palantir, e Marc Andreessen, pioniere del web e leader del venture capital. Questi tycoon, definiti dalla stampa come la “PayPal Mafia”, hanno iniziato a occupare posti chiave nel governo, puntando a ridisegnare settori strategici come Difesa, Sanità, Intelligenza Artificiale e Spazio.

Le nomine strategiche del nuovo governo

Le influenze di Thiel, Musk e Andreessen si riflettono nelle nomine effettuate da Trump. Tra queste spiccano:

  • Jared Isaacman, nuovo capo della NASA, vicino a Musk.
  • Sriram Krishnan, consigliere per l’Intelligenza Artificiale alla Casa Bianca.
  • Michael Krakatos, capo dell’ufficio scientifico della Casa Bianca, uomo di Thiel.
  • Jim O’Neill, viceministro della Sanità e promotore dell’innovazione biotecnologica.
  • Shyam Sankar, nominato capo della ricerca al Pentagono, incaricato di avviare una rivoluzione tecnologica nella Difesa.

Queste figure rappresentano solo una parte della rete di alleanze che la “PayPal Mafia” sta costruendo per trasformare il governo federale in una macchina più efficiente, tecnologica e, secondo alcuni osservatori, orientata verso un’autorità sempre più centralizzata.

Una visione autoritaria tecnologica?

Se da un lato questo processo promette di modernizzare e rendere più efficiente l’amministrazione americana, dall’altro solleva preoccupazioni su una possibile deriva verso un “autoritarismo tecnologico”. Thiel e Andreessen, in particolare, sono noti per avere visioni ideologiche che spingono verso un controllo centralizzato attraverso l’uso delle tecnologie. Non a caso, molti dei loro uomini sono stati inseriti in posizioni chiave per dirigere i processi decisionali.

Elon Musk: il volto pubblico del cambiamento

Mentre Andreessen e Thiel lavorano dietro le quinte, Elon Musk è il volto pubblico della rivoluzione tecnologica di Trump. Con la sua attenzione alla sostenibilità e all’efficienza, Musk sta guidando iniziative per ridisegnare la gestione governativa, promuovendo idee innovative come il “Doge”, un Dipartimento dell’Efficienza per snellire la burocrazia.

Un nuovo complesso tecno-industriale

La sinergia tra tecnologia e politica segna una svolta senza precedenti nella storia americana. Come ha osservato lo stesso Trump, questo complesso tecno-industriale potrebbe diventare il cuore pulsante della nuova amministrazione, con obiettivi ambiziosi che includono l’espansione delle criptovalute, il dominio nello spazio e una rivoluzione nei sistemi di difesa.

Il futuro di un’America tecnologica

La rivoluzione guidata da Trump e dai suoi alleati rappresenta una sfida e un’opportunità. Da un lato, può proiettare gli Stati Uniti in una posizione di leadership globale nel settore tecnologico; dall’altro, solleva interrogativi su questioni etiche, democratiche e sociali. Sarà il tempo a rivelare se questo nuovo corso sarà un modello di progresso o un passo verso una concentrazione di potere senza precedenti.

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Netanyahu: piano Trump su Gaza ‘molto buono, idea nuova’

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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu definisce il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di trasferire i palestinesi da Gaza ‘molto buono, la prima idea nuova da anni”. “Ha il potenziale per cambiare tutto a Gaza”, afferma Netanyahu in un’intervista rilasciata a Fox News prima del suo rientro da Washington. “Non è uno sfratto forzato, né una pulizia etnica. Tutti parlano di Gaza come di una prigione a cielo aperto, e allora perché tenere questa gente in prigione? I cittadini di Gaza potranno tornare nelle loro case dopo la ricostruzione, a patto che rinneghino il terrorismo”.

Il rientro dei palestinesi a Gaza era stato inizialmente escluso da Trump. Per Netanyahu, adesso “la sfida principale è dove mandare i cittadini di Gaza”. Ma è un “approccio nuovo e corretto… un approccio molto molto buono, nuovo”. Il presidente israeliano nega che l’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff lo abbia “convinto” a entrare nell’accordo in corso per il rilascio degli ostaggi con Hamas: “Abbiamo avuto una conversazione molto franca, non solo amichevole. La realtà è che ho accettato questo accordo mesi fa, mentre Hamas lo ha rifiutato l’accordo”.

Netanyahu ricorda anche di aver apprezzato il “supporto iniziale” dell’amministrazione di Joe Biden all’inizio della guerra. Ma sottolinea anche che mentre aumentava la pressione internazionale su Biden per cambiare la sua posizione su Israele, la Casa Bianca ha chiesto di fermare le armi con l’ingresso a Rafah. Il premier ricorda anche che alcuni nel suo gabinetto volevano porre fine alla guerra a Gaza data l’opposizione degli Stati Uniti, ma lui si è opposto: “Se diventiamo uno stato vassallo, non sopravviveremo”.

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Morto Sam Nujoma, padre dell’indipendenza della Namibia

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E’ morto all’età di 95 anni Sam Nujoma, considerato il padre dell’indipendenza della Namibia nel 1990. Lo ha annunciato la presidenza del paese, che un tempo era controllata dal Sudafrica e che lo stesso Nujoma ha guidato fino al 2005. “Il nostro padre fondatore ha vissuto una vita lunga e illustre durante la quale ha servito eccezionalmente il popolo del suo amato paese”, ha affermato il presidente Nangolo Mbumba. A capo del Swapo, il movimento di liberazione da lui co-fondato nel 1960, Sam Nujoma ottenne l’indipendenza della Namibia dal Sudafrica nel 1990, che aveva sottratto il controllo del territorio alla Germania dopo la prima guerra mondiale.

In particolare Nujoma, giunto alla guida della nazione, si adoperò per unificare una popolazione di due milioni di abitanti, provenienti da una dozzina di gruppi etnici che l’apartheid aveva cercato di dividere. Barba in stile Fidel Castro, Nujoma lasciò il potere all’età di 75 anni nel 2005, nominando come suo successore un fedelissimo ma rimanendo sempre dietro le quinte. In una delle sue ultime apparizioni pubbliche, nel maggio 2022, all’età di 93 anni, si era mostrato con il pugno alzato e aveva invitato a continuare a impegnarsi “agli ideali panafricani”. Nel 2021 aveva respinto la proposta di risarcimento della Germania di oltre un miliardo di euro per il massacro di decine di migliaia di indigeni Herero e Nama, considerato il primo genocidio del XX secolo.

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Ucraina-Russia, il 2025 segnerà la fine della guerra? Tra speranze di pace e nuove minacce

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Il 2025 potrebbe essere l’anno della fine della guerra tra Russia e Ucraina, ma la situazione resta altamente incerta. Mentre emergono spiragli di dialogo, i combattimenti nelle regioni del Donbass e nella zona russa di Kursk proseguono con intensità.

Mosca ha annunciato la conquista della città mineraria di Toretsk, nel Donetsk, mentre Kiev ha rilanciato gli attacchi su Kursk e ha segnalato il ritorno delle truppe nordcoreane, precedentemente ritirate ma ora di nuovo presenti sul fronte.

Zelensky pronto al dialogo, ma prima vuole incontrare Trump

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in un’intervista alla Reuters, ha dichiarato di essere pronto a negoziare direttamente con Vladimir Putin, ma ha sottolineato che prima vuole coordinarsi con Donald Trump per affrontare “il nemico comune”.

Anche Trump ha lasciato intendere la possibilità di un dialogo con Putin, dichiarando di voler “vedere la fine della guerra” e lasciando aperta la possibilità di un incontro con Zelensky già “la prossima settimana”.

Da Mosca, invece, arrivano segnali contraddittori. Dopo aver ripetutamente dichiarato che Zelensky non è un interlocutore legittimo (poiché il suo mandato sarebbe tecnicamente scaduto nel maggio scorso), ora il Cremlino sembra più incline a valutare la possibilità di negoziati.

La battaglia per ingraziarsi Trump

Al momento, sia Kiev che Mosca sembrano più interessate a guadagnarsi il favore di Trump piuttosto che impegnarsi concretamente per fermare la guerra.

Zelensky ha accolto positivamente la richiesta dell’ex presidente americano di concedere agli Stati Uniti accesso privilegiato alle terre rare ucraine, risorse fondamentali per l’industria tecnologica e militare. “Saremmo felici di intensificare la cooperazione tra le nostre industrie minerarie”, ha dichiarato il leader ucraino.

Allo stesso tempo, Putin sta evitando critiche dirette a Trump e sembra intenzionato a sfruttare la sua presidenza per rompere il fronte occidentale, che sotto Biden ha sostenuto l’Ucraina in modo compatto.

Putin prepara 100.000 nuovi soldati per il fronte

Nonostante i discorsi sulla pace, l’intelligence ucraina riporta una preoccupante escalation militare da parte russa. Zelensky ha avvertito che Putin starebbe pianificando il dispiegamento di 100.000 nuovi soldati, ben equipaggiati e pronti a combattere per un lungo periodo.

Inoltre, l’Ucraina sostiene che la cooperazione militare tra Russia e Corea del Nord verrà rafforzata con nuove tecnologie belliche avanzate.

A conferma della criticità del momento, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato Militare della NATO, ha effettuato una visita segreta a Kiev per raccogliere informazioni di prima mano sulla situazione al fronte.

L’Ucraina continua a chiedere aiuti militari

Zelensky continua a sollecitare il sostegno occidentale. Francia e Olanda hanno recentemente inviato caccia Mirage e F-16, mentre il leader ucraino ha chiesto agli alleati europei di incrementare le spese militari fino al 5% del PIL.

“La nostra guerra è la guerra dell’Europa. Se Putin dovesse vincere in Ucraina, l’intera stabilità del continente sarebbe a rischio”, ha ribadito Zelensky all’ammiraglio Dragone.

La pace è davvero vicina?

Se da una parte si intravedono spiragli diplomatici, dall’altra la realtà militare sul campo suggerisce che la guerra sia ancora lontana dalla fine.

Il 2025 potrebbe segnare una svolta decisiva, ma la vera fine del conflitto dipenderà dalle scelte politiche di Mosca, Kiev e delle potenze occidentali. Per ora, la possibilità di un cessate il fuoco sembra ancora un miraggio.

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