“Care amiche ed amici Dirigenti delle Societa’, tesserati tutti, ritengo doveroso rivolgermi direttamente a Voi che costituite il grande mondo del calcio dilettantistico e giovanile del nostro Paese. Che, sia detto senza tema di smentite, non “rappresentate” ma “siete” la Lega Nazionale Dilettanti. Ho deciso di rassegnare le mie irrevocabili dimissioni dalla carica di Presidente della L.N.D. con effetto immediato”. Comincia cosi’ la lunga lettera con cui Cosimo Sibilia saluta societa’ e tesserati della Lega Nazionale Dilettanti spiegando le ragioni delle sue dimissioni. “Voi tutti, nel Gennaio del 2017, mi avete dato la grande gioia e l’onore di essere eletto, grazie al voto della totalita’ dei Delegati Assembleari, all’unanimita’ degli aventi diritto al voto – ricorda il dirigente campano – In quel momento la Lega Nazionale Dilettanti attraversava un momento di grande difficolta’, sia per il decremento delle Societa’ e dei tesserati, sia per la situazione economica. Nel quadriennio che e’ seguito, grazie ad una oculata gestione e, soprattutto, ad iniziative che hanno favorito lo sviluppo dell’attivita’ sul territorio, siamo riusciti ad invertire la tendenza negativa, fermando l’emorragia di Societa’ e tesserati ed a mettere la Lega Nazionale Dilettanti in una situazione di grande tranquillita’ dal punto di vista economico e finanziario”.
“Nel Gennaio di questo anno, inoltre – prosegue Sibilia nella lettera – con il voto di quasi l’87% dei Delegati Collettivi avete inteso non solo rinnovarmi la Vostra fiducia ma avete chiesto che, nell’interesse della stessa Lega, presentassi la mia candidatura a Presidente della Figc. Con spirito di servizio, pur risultando chiaro che gli impegni precedentemente assunti non sarebbero stati rispettati e che, di conseguenza, si sarebbero formate maggioranze diverse, ho coerentemente presentato, nel rispetto del mandato ricevuto, la mia candidatura. E di cio’ ne vado fiero, perche’ non bisogna pensare alle cariche che si ricoprono come momento di glorificazione personale ma come ‘servizio’ per gli altri. Ho dunque ritenuto giusto, corretto e coerente, pur nella consapevolezza di un risultato negativo, rispettare l’impegno che conseguiva al mandato ricevuto dai Delegati collettivi della Lega Nazionale Dilettanti. E per questo potro’ sempre camminare a testa alta, guardando negli occhi e stringendo la mano ad ognuno di Voi. All’esito di quel risultato, tuttavia, soprattutto perche’ nell’ambito della stessa Lega Dilettanti si sono posti in essere, da parte di taluni, comportamenti che, complice il segreto dell’urna, sono andati in contrasto con il formale mandato che mi era stato conferito, avrei voluto rassegnare le mie dimissioni”.
“Ancora una volta, pero’, ha doverosamente – almeno nella mia visione della vita e dei rapporti con le persone, come del resto sta a testimoniare il mio percorso non solo sportivo – prevalso lo spirito di servizio, la voglia di accompagnare la Lega Nazionale Dilettanti e l’intero movimento calcistico nel momento piu’ difficile che la storia, purtroppo non solo sportiva, del nostro Paese ha conosciuto dal dopoguerra – spiega Sibilia – Lasciare l’incarico nel pieno dell’emergenza pandemica, quando i Campionati e l’attivita’ di rilievo nazionale, tra le mille difficolta’ che Voi tutti avete vissuto, doveva essere portata a termine, sarebbe sembrata, almeno ai miei occhi, come una vera e propria diserzione. Ho dunque atteso la conclusione della stagione sportiva, l’inizio di questa nuova con l’avvio dei campionati, per potermi ritenere finalmente libero di comunicare il mio pensiero. Rassegno le mie irrevocabili dimissioni alla vigilia di un appuntamento che per certi versi dovrebbe apparire un atto “formale” ma che, tuttavia, forzatamente, per volonta’ di terzi, potrebbe avere una rilevanza diversa”. “Era infatti indetta per dopodomani, 28 Ottobre prossimo – ricorda ancora Sibilia – una riunione del Consiglio Direttivo della Lega Nazionale Dilettanti nell’ambito del quale si doveva procedere all’approvazione del Bilancio consuntivo relativo alla stagione sportiva 2020/2021. Un Bilancio che, come ho potuto evidenziare nella Relazione illustrativa, puo’, senza tema di· smentite, definirsi ‘straordinario’ perche’ tale e’ stato l’ultimo anno che abbiamo vissuto. Un Bilancio, tuttavia, che nonostante le grandissime difficolta’ economiche derivanti dalla mancata attivita’ a livello territoriale, si chiude con una perdita di gran lunga inferiore a quella preventivata ed interamente assorbita grazie ai risparmi realizzati negli anni precedenti. Perdita che, nel documento programmatico, era stata approvata all’unanimita’ dal Consiglio Direttivo, Organo deliberante che, coerentemente con il voto precedente, dovrebbe non solo approvare il consuntivo ma esprimere apprezzamento per essere stato ridotto, rispetto alla previsione, il deficit di oltre 700mila Euro. Questo, come appare ovvio, sarebbe dovuto accadere se tutti avessero avuto comportamenti coerenti, lineari, esprimendo valutazioni ‘nel merito’ e scevre da posizioni pretestuose ed eterodirette”.
“Come e’ stato anticipato da alcuni organi di informazione che mostrano di godere del privilegio di ‘fonti’ dirette – osserva il dirigente sportivo – sembra che, su esplicita richiesta di terzi poco inclini evidentemente alle dinamiche democratiche che prevedono anche il dissenso e non solo l’adulazione, contrariamente alla coerenza, all’interesse complessivo della Lega Nazionale Dilettanti e del movimento calcistico, una buona parte del Consiglio Direttivo non avrebbe voluto approvare il Bilancio. La sola ipotesi che una simile vergogna potesse accadere mi impone, ancora una volta privilegiando l’interesse della Lega Nazionale Dilettanti rispetto a quello personale, di farmi da parte, cosi’ favorendo le condizioni perche’ un ‘atto dovuto’ non venga barattato con il mercato delle aspirazioni carrieriste. Quanto a me, credo che il rassegnare le dimissioni costituisca la giusta conclusione di un percorso che mi ha visto privilegiare sempre dignita’, correttezza, responsabilita’ e soprattutto onesta’. Rifugiandomi nelle parole di un grande scrittore come Gabriel Garcia Marquez convintamente, percio’, faccio mia la frase “Non piangere perche’ e’ finito, sorridi perche’ e’ successo”. A tutti Voi – conclude Sibilia – gli auguri delle migliori fortune sportive e nella vita”.
La Corte costituzionale (sentenza n. 44 del 2024) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, che consente l’attrazione nell’ambito applicativo del regime delle tutele crescenti anche di lavoratori di piccole imprese, già in servizio alla data del 7 marzo 2015, in concomitanza e in conseguenza di assunzioni aggiuntive a tempo indeterminato, successive all’entrata in vigore dello stesso decreto, che abbiano comportato il superamento dei limiti dimensionali previsti dall’art. 18, commi ottavo e nono, statuto dei lavoratori. La Sezione lavoro del Tribunale di Lecce aveva censurato tale disciplina deducendo la violazione dell’art. 76 della Costituzione, in riferimento ai criteri di delega fissati dall’art. 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act). Secondo il tribunale l’oggetto della delega, in quanto circoscritto alle «nuove assunzioni», ossia ai lavoratori “giovani” assunti a partire dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015 (7 marzo 2015), sarebbe violato nella misura in cui il nuovo regime si applica anche a lavoratori assunti prima di tale data, ma in piccole imprese che, solo successivamente, abbiano superato la soglia di quindici dipendenti occupati nell’unità produttiva.
Secondo la delega legislativa, la disciplina dei licenziamenti doveva essere rivista “per le nuove assunzioni” in un assetto a doppio regime, ispirato alla logica secondo cui i lavoratori in servizio alla data del 7 marzo 2015, che già avessero la tutela reintegratoria ex art. 18 statuto dei lavoratori, l’avrebbero conservata immutata anche in caso di licenziamenti intimati successivamente; mentre ai lavoratori assunti ex novo, a partire da tale data, si sarebbe applicata direttamente la nuova più limitata disciplina del decreto legislativo. Questo duplice e parallelo regime di tutela è stato già esaminato dalla Corte con riferimento ai licenziamenti collettivi, in quanto “licenziamenti economici”, nella sentenza n. 7 del 2024, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, e 10 del d.lgs. n. 23 del 2015, sollevate denunciando la violazione del medesimo criterio di delega. Invece, con la sentenza n. 22 del 2024 la Corte ha ritenuto violato tale criterio di delega sotto altro e diverso profilo ed ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo limitatamente alla parola “espressamente”.
Nella sentenza n. 44 del 2024, ora pubblicata, la Corte considera essere in sintonia con la legge di delega la disciplina per i lavoratori che erano sì già in servizio al 7 marzo 2015, ma che a quella data non beneficiavano della tutela reintegratoria perché non era integrato il requisito occupazionale previsto dall’ottavo e nono comma dell’art. 18 e quindi ad essi trovava applicazione solo la tutela indennitaria di cui alla legge n. 604 del 1966. In particolare la Corte ha ritenuto che il legislatore delegato, nell’esercizio del suo potere di completamento del quadro della disciplina, poteva regolare anche la posizione dei dipendenti di piccole aziende, per i quali non c’era un regime di tutela reintegratoria ex art. 18 da conservare, e ciò poteva fare tenendo conto dello «scopo» della delega e del bilanciamento voluto dal legislatore delegante (la non regressione della tutela reintegratoria di chi, essendo già in servizio, l’avesse alla data dell’entrata in vigore della nuova disciplina).
In tal modo, da una parte non c’è stata una regressione in peius per tali lavoratori in quanto la tutela del decreto legislativo è, comunque, più favorevole del regime della legge n. 604 del 1966, ad essi applicabile in precedenza, prima del superamento della soglia occupazionale. D’altra parte è soddisfatto lo «scopo» della delega nel senso che, se invece fosse stata consentita l’acquisizione ex novo del regime di tutela dell’art. 18, ciò avrebbe potuto rappresentare una remora, per il datore di lavoro, a fare nuove assunzioni, proprio quelle assunzioni che invece il legislatore delegante voleva incentivare. Quindi non è violata la legge di delega, sotto questo profilo, e pertanto ai lavoratori di piccole imprese, assunti prima dell’entrata in vigore dello decreto legislativo, non si applica l’art. 18 statuto dei lavoratori, bensì il regime di tutela del licenziamento individuale illegittimo, previsto per i contratti a tutela crescente, nel caso in cui il datore di lavoro abbia superato la soglia dimensionale di quindici lavoratori occupati nell’unità produttiva in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del decreto stesso.
Il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha inviato un messaggio di congratulazioni al presidente russo Vladimir Putin per la sua rielezione. Lo ha fatto sapere Hamas sul suo canale Telegram. Haniyeh ha lodato la “posizione russa a sostegno della causa palestinese alla luce della battaglia per la difesa del nostro popolo contro l’occupazione israeliana, uno dei più importanti bracci dell’egemonia Usa in Medio Oriente”.
Haniyeh ha detto che Hamas vuole consolidare i legami di amicizia e di sviluppo per una “cooperazione congiunta con la Repubblica Federale di Russia” ed ha augurato al Presidente russo “il successo nell’interesse” del suo popolo e del mondo “per la costruzione di un sistema globale multipolare che renda giustizia ai popoli oppressi”.
La Russia non rinuncerà alla Crimea e alle altre regioni annesse in Ucraina. A chiarirlo durante un bagno di folla sulla Piazza Rossa è Vladimir Putin, forte del trionfo annunciato al termine dei tre giorni di elezioni presidenziali che gli hanno regalato, secondo i risultati ufficiali, la più grande vittoria per un capo dello Stato nella storia del Paese, con l’87,3% dei voti. Un plebiscito che può servire a Putin sia per continuare il conflitto sia, se l’occasione si presenterà, per avviare negoziati da posizioni di forza. Per rimarcare l’unità del Paese, il capo del Cremlino ha portato con sé sul palco i tre candidati sconfitti con percentuali umilianti, al di sotto del 5% ciascuno. Davanti a decine di migliaia di persone accorse per assistere a un concerto nel decimo anniversario dell’annessione della Crimea, Putin ha affermato che la Russia andrà avanti “con le nuove regioni, mano nella mano”.
E’ vero, ha ammesso, che il viaggio delle genti del Donbass “verso la loro terra natale”, cioè la Russia, si è rivelato “più difficile e tragico” di quello della Crimea. “Ma comunque ce l’abbiamo fatta”, ha assicurato, prima di intonare con tutta la piazza l’inno nazionale, in un tripudio di bandiere russe. Difficile capire fino in fondo il signficato di queste parole. Se Putin intenda cioè dire che la Russia si potrebbe accontentare dei territori conquistati finora, o voglia allargare il conflitto. Mosca continua ad insistere di essere pronta a negoziati che tengano conto della situazione sul terreno, cioè del controllo russo su parte dell’Ucraina.
Lo ha ribadito il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ricevendo l’inviato cinese Li Hui, che nei giorni scorsi ha visitato vari Paesi europei. Il capo della diplomazia russa, ha fatto sapere il ministero degli Esteri, ha “confermato l’apertura della parte russa a una soluzione negoziata”. Ma è “inaccettabile” la cosiddetta ‘formula Zelensky’, che prevede il ritiro completo dei russi dalle regioni occupate durante il conflitto e dalla Crimea.
A questo si è aggiunta una dichiarazione al giornale Izvestia del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, secondo il quale la Russia è “pronta a negoziati su tutte le questioni della sicurezza, compreso il disarmo nucleare e la non proliferazione”. Queste dichiarazioni fanno seguito a quelle dello stesso Putin che la scorsa notte aveva indicato la Francia come un Paese che “può ancora svolgere un ruolo” nella ricerca di una soluzione negoziata, perché “non tutto è ancora perduto”. Una sorpresa dopo le parole del presidente Emmanuel Macron su possibili “operazioni sul terreno” di Paesi Nato in Ucraina “per far fronte alle forze russe”. Il leader russo si era anche detto pronto a prendere in considerazione l’ipotesi di una tregua per le Olimpiadi, a patto che non si tratti solo di una pausa per dar modo a Kiev di “riarmarsi”. Il portavoce Peskov ha intanto respinto come “assurde” le affermazioni occidentali relative alla “illegittimità” delle elezioni. Accuse rilanciate dal gruppo indipendente russo di monitoraggio Golos, secondo il quale queste sono state le consultazioni “più fraudolente e corrotte” della storia del Paese, perché “la campagna si è svolta in una situazione in cui gli articoli fondamentali della Costituzione russa, che garantiscono i diritti e le libertà politiche, essenzialmente non erano in vigore”. In un messaggio dal carcere, l’oppositore Ilya Yashin ha scritto che Putin ha voluto una vittoria trionfale perché non può liberarsi dai “suoi complessi freudiani”.
Il vero obiettivo dell’operazione, ha aggiunto Yashin, è “far sprofondare nell’apatia quella parte della società che è contro la guerra”. A Mosca circolano intanto voci su possibili rimpasti nel governo per portare alla ribalta forze giovani. L’agenzia Reuters, citando quattro fonti vicine agli ambienti del potere, ha scritto che tra coloro che potrebbero avanzare di grado vi è il ministro dell’Agricoltura Dmitry Patrushev, 46 anni, figlio di Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale. Ma due delle fonti si dichiarano convinte che, almeno fino a quando durerà il conflitto in Ucraina, non saranno sostituiti né Lavrov, né il ministro della Difesa Serghei Shoigu, né il primo ministro Mikhail Mishustin.