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Cronache

Le Ong accusano la Marina “non soccorre i migranti, sono stati catturati da libici”

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Le Ong accusano la Marina Militare di non aver soccorso un’ottantina di migranti a bordo di un gommone in difficolta’ in acque internazionali e di averli lasciati nelle mani dei libici, nonostante una nave militare fosse a “poche miglia”: “sono stati catturati e riportati in Libia sotto i loro occhi”. Ma la Marina respinge le accuse: “erano a 80 chilometri e quando abbiamo raggiunto il gommone c’era gia’ la motovedetta”. L’allarme e’ scattato poco prima delle 13. Alarm Phone, il servizio telefonico che fornisce ai migranti un numero da chiamare in caso di difficolta’, ha scritto su Twitter di essere “in contatto con un’imbarcazione in pericolo nel Mediterraneo centrale. A bordo ci sono circa 90 persone e sta entrando acqua nella barca. Abbiamo mandato la posizione alla Guardia Costiera italiana. Richiediamo salvataggio immediato”. In un successivo tweet l’organizzazione ha ribadito la necessita’ di un intervento urgente poiche’ il gommone stava affondando: “l’ultimo contatto con loro e’ stato alle 15.21. A bordo c’erano urla e panico”. Ad accusare in maniera esplicita la Marina Militare e’ pero’ la Sea Watch dopo che il Moonbird, il velivolo dei piloti volontari, ha segnalato la posizione del gommone. “La nave P492 ‘Bettica’ della Marina italiana si trova vicino a un gommone in pericolo con circa 80 persone a bordo ma non interviene” ha scritto su twitter la Ong, confermando successivamente in una nota. “Vicino al gommone c’era la nave della Marina. L’aereo ha provato diverse volte a contattare la nave militare, inizialmente senza risposta”. Il contatto c’e’ stato successivamente, quando il Moonbird ha inviato un messaggio di ‘mayday relay’, e a quel punto dalla Bettica – dice Sea Watch – hanno informato i piloti che l’equipaggio di una motovedetta stava per intervenire, mentre l’elicottero si e’ alzato in volo. La Ong ha anche diffuso un breve video: si vede un gommone carico di migranti con uno dei due tubolari sgonfi e alcune persone in mare. Immediata la replica della Marina, che ha smentito di non essere intervenuta e ha sottolineato di aver raccolto l’Sos lanciato dall’aereo. “Nave Bettica si trovava a 80 chilometri di distanza” dal gommone, dice la forza armata. “Subito e’ stato fatto decollare l’elicottero imbarcato per fornire supporto” ma, “una volta giunto sul posto, in zona Sar libica, il velivolo ha constatato che era gia’ intervenuta una motovedetta di Tripoli”. Quella stessa Guardia Costiera che, hanno confermato anche fonti libiche, ha soccorso oggi altri due due gommoni riportando indietro complessivamente 250 persone. “Chi parla di porti aperti aiuta gli scafisti e condanna a morte migliaia di persone” ha ripetuto Matteo Salvini ma Ong e organizzazioni internazionali sostengono il contrario. “Non ci sono porti sicuri in Libia, i migranti non dovrebbero essere riportati indietro in stato di detenzione” afferma l’Oim mentre Mediterranea Saving Human sottolinea come la Marina “ha assistito dall’alto alla cattura” dei migranti, “che saranno riportati in Libia, nell’inferno di violenze e abusi da cui cercavano di fuggire”. Parole che trovano l’appoggio dell’ex senatore M5s Gregorio De Falco. “Se fosse vero che la nave si e’ tenuta volontariamente a distanza sarebbe un fatto gravissimo, perche’ non si puo’ consentire che uomini, donne e bambini siano rimandati in quell’inferno che e’ la Libia”.

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Pozzuoli, la terra continua a tremare: ancora scosse

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La terra continua a tremare a Pozzuoli e nei Campi Flegrei: l’ultima scossa poco dopo le 4 ha fatto registrare una magnitudo di 2.5. Ha fatto seguito ad una serie di scosse minori, uno sciame che continua da domenica quando sono state registrate una novantina di episodi sismici, i più forti di 3.7, 3.1 e 3.0. Anche oggi l’epicentro è ad oltre 2 km di profondità. Molta paura tra la popolazione ma nessun danno, scuole e uffici aperti.

 

 

 

 

 

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Turista canadese violentata in B&B,due arresti a Palermo

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Era il suo primo giorno a Palermo. Volata nel capoluogo dal Canada per incontrare il fidanzato, ricoverato in ospedale dopo un incidente, la sua vacanza si è trasformata in un incubo. La storia risale a novembre scorso, quando una turista è stata stuprata da due uomini conosciuti poche ore prima. Grazie al suo racconto e alle indagini dei carabinieri i presunti stupratori, due cugini di 42 e 44 anni, oggi sono stati arrestati.

La donna, appena arrivata in città, è andata al Policlinico per fare visita al suo compagno. Non parlando l’italiano e non conoscendo l’ospedale, ha chiesto aiuto a un gruppo di inservienti e infermieri. Uno in particolare si è mostrato particolarmente gentile e ha dato indicazioni alla turista sul percorso da fare per raggiungere il reparto e poi sulla strada per il B&B in cui la donna alloggiava.

Una gentilezza che ha colpito la canadese che ha scambiato i contatti Instagram con l’inserviente. Dopo la visita al compagno, la turista ha accettato l’invito dell’uomo appena conosciuto di passare insieme la serata, fidandosi della disponibilità e gentilezza dell’inserviente. Dopo aver ordinato del pollo e aver mangiato nella stanza del B&B in cui alloggiava i due sono saliti in moto e hanno raggiunto un cugino dell’uomo, con cui hanno fatto qualche giro in scooter. Poi sono rientrati tutti in albergo. “Ero felice e mi stavo divertendo quindi non mi sono resa conto del tempo che passava. Lui era gentilissimo”, ha raccontato poi ai carabinieri la turista. A un certo punto un bacio e l’approccio che la donna ha tentato di respingere. “Non ricordo nulla da quel momento in poi”, ha proseguito.

La vittima, che aveva i dati del profilo social dell’uomo, ha indicato chi fosse agli investigatori. Al complice i carabinieri sono arrivati mettendo sotto controllo il cellulare dell’inserviente e grazie alle analisi dei tabulati telefonici che hanno accertato la presenza dei due nel B&B la sera della violenza. Gli inquirenti hanno intercettato anche le conversazioni delle mogli dei due indagati. Le due donne, dopo aver saputo il fatto, prima hanno augurato il peggio ai partner, “Quell’etta sangu (esclamazione dispregiativa palermitana per augurare la morte) di tuo marito ha telefonato al quel butta sangue di mio marito”, poi li hanno difesi, in qualche modo giustificati, e infine hanno cercato prove che potessero scagionarli.

“Tuo marito secondo me quando quella gli si buttò nell’ascensore ha capito che si poteva fare. E così chiamó suo cugino”, dice una delle donne ipotizzando come si sarebbe svolta la serata degli abusi. “La sella del motore è veramente piccola. E’ talmente stretta che questo li stuzzicava, sicuramente per questo non capirono più niente”, afferma l’altra parlando del passaggio in moto dato alla vittima dai due. Per loro in fondo non si sarebbe trattato di violenza. “Sti ragazzi erano puliti non avevano neanche un graffio”, aggiungono sostenendo che se fosse stato uno stupro la vittima si sarebbe difesa lasciando segni sugli aggressori.

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Sfregio e minacce a don Luigi Merola, il prete anti clan napoletano

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La comunità si unisce in solidarietà a don Luigi Merola dopo l’atto vandalico subito lo scorso venerdì sera. Intorno alle 22.30, qualcuno ha sfondato i finestrini dell’auto di servizio del sacerdote, privandola persino del lampeggiante. Questo gesto intimidatorio potrebbe essere interpretato come un avvertimento per il suo rifiuto di accogliere giovani affiliati ai clan nella Fondazione A’ voce d’è creature, della quale è presidente.

“Sto sentendo la vicinanza dello Stato sia a livello territoriale che centrale”, ha dichiarato don Merola. Mentre le forze dell’ordine indagano sull’incidente, il sacerdote sarà accolto il 19 aprile a Roma dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e dal capo della polizia Vittorio Pisani insieme a circa 120 bambini della sua fondazione. Domani, inoltre, incontrerà il procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri.

Il prefetto Michele di Bari ha disposto un rafforzamento della vigilanza dinamica nei luoghi frequentati da don Merola, dalla sua Napoli natale a Pompei e Marano, dove risiede con la famiglia.

Le parole di sostegno e solidarietà non si sono fatte attendere. Don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Pol.i.s., ha dichiarato: “Esprimiamo tutta la nostra solidarietà a don Luigi Merola per quanto accaduto. Insieme continuiamo ad andare avanti nel nome della legalità e della crescita sociale”.

Anche il presidente del Consiglio regionale della Campania, Gennaro Oliviero, ha espresso vicinanza al parroco anticlan: “Confido nelle forze dell’ordine affinché si giunga presto all’individuazione dei responsabili del raid. Siamo a disposizione di don Luigi e nei prossimi giorni cercherò di organizzare uno scambio di idee per sostenere la sua fondazione”.

L’europarlamentare Chiara Gemma ha definito l’atto “ignobile” e ha espresso la sua solidarietà a don Luigi: “Confido nelle indagini delle forze dell’ordine per risalire ai responsabili. Chi ha commesso questo gesto colpisce non solo la Fondazione e chi la presiede, ma tutti coloro che operano nel terzo settore per donare un futuro diverso ai bambini che vivono in quartieri difficili”.

Mentre la comunità si stringe attorno a don Merola, cresce l’indignazione per questo vile atto di intimidazione. La speranza è che la ricerca della verità porti alla luce i responsabili e che la Fondazione A’ voce d’è creature possa continuare il suo importante lavoro a servizio della comunità senza timori né minacce.

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