Sullo sfondo di una Napoli svuotata dei suoi simboli, distante ed universale, si srotola il racconto in bianco e nero di quattro ragazzini, adolescenti che, come delle mosche, disegnano ogni giorno le loro traiettorie inutili e bellissime. È l’adolescenza, quella stagione irripetibile dell’esistenza in cui le energie sembrano inesauribili e il futuro appare come qualcosa di lontano e dai contorni imprecisati, su cui è possibile interrogarsi senza farsi sopraffare dall’inquietudine. Ma il loro ronzare, costante e confuso, li condurrà irreparabilmente verso un destino drammatico.
Edgardo Pistone
Prodotto da Open Mind di Sergio Panarielllo e Luca Zingone, in collaborazione con la scuola di formazione cinematografica Napoli Film Academy, il cortometraggio “Le mosche” ha vinto il premio Campania 2020 e il premio per la migliore regia alla Settimana Internazionale della Critica della 77esima Mostra del Cinema di Venezia. Il regista è il giovane e promettente Edgardo Pistone, classe 1990, napoletano del Rione Traiano. Nonostante la giovane età, Pistone ha già una poetica e un’idea di cinema ben definiti. Dopo alcuni corti e l’esperienza da aiuto regista in “Selfie” di Agostino Ferrente, si dice pronto per il suo primo lungometraggio, a cui sta già lavorando, ma spera “di non rinunciare mai alla libertà che ho avuto nei miei cortometraggi”.
Pistone, ci racconta l’esperienza al Festival di Venezia?
È stato divertente, ma pure assai angosciante, perché credevo molto nel film e ci tenevo che ne venisse riconosciuto il valore. Quando mi è arrivata la telefonata, ero già rientrato a Napoli. Ho pensato si trattasse di uno scherzo. Avevo appena messo piede a Napoli quando mi hanno chiamato e mi hanno avvisato che avevo vinto un premio e dovevo tornare su. Allora ho recuperato in fretta una giacca decente e sono andato alla premiazione.
Come nasce “Le mosche”?
Mi avevano chiamato per tenere un laboratorio alla Torretta. Con i ragazzi parlavamo di cinema, io gli promettevo che avremmo fatto un film, loro non ci credevano. Mi sono trovato davanti a dei ragazzi pieni di talento. Ho recuperato un vecchio soggetto e ho provato ad adattarlo agli attori che avevo a disposizione. Associando le mie ossessioni alle loro, ho messo insieme questo soggetto che abbiamo girato in maniera molto libera, con una sceneggiatura approssimativa. Quando giravamo, io mi facevo guidare dai ricordi della mia adolescenza al Rione Traiano. Molte scene sono state improvvisate: la pisciata in compagnia, le partite a biliardino, l’interrogarsi sul destino della propria amicizia, tutte situazioni che vivevo con quei tre o quattro amici su un muretto o su una panchina. Ho visto che queste cose loro le recepivano in maniera molto efficace.
Ne viene fuori un cortometraggio sull’adolescenza.
Sì, mi sono sforzato di associare all’adolescenza alcuni elementi poetici, e non di fare un film di denuncia su ragazzini di strada abbandonati a se stessi. Per loro l’abbandono rappresenta una grande libertà, un’opportunità di divertimento. Sono liberi di farsi quelle domande sul futuro e sulla propria condizione che quando uno cresce, seppellito dalla quotidianità, smette di porsi. Loro vivono una quotidianità all’apparenza sempre uguale, e all’interno di queste giornate hanno il coraggio e l’ardore di chiedersi chi sono e che cosa diventeranno da grandi. Credo che l’adolescenza sia una stagione terribile ma bellissima, perché in essa accadono tante prime volte, e le prime volte hanno un peso specifico nelle biografie degli esseri umani. Dopo succedono altre cose, ma sono eventi un po’ scialbi.
I ragazzi da un lato perdono tempo spensierati su una panchina, aspettando con curiosità la vita che verrà. Dall’altro, è come se un’inquietudine li pervadesse, costringendoli a muoversi come mosche alla ricerca di sfide e pericoli. È così?
C’è questa doppia condizione di spensieratezza ed inquietudine. Ma c’è anche un’altra spinta paradossale, insita nella natura delle mosche, che sono fastidiose ma al tempo stesso belle ed eleganti quando disegnano le loro inutili traiettorie. Sono sempre in movimento, ma restano sempre allo stesso posto. Ho provato a restituire l’immagine di un acquario. Il film è ambientato in poche location, un solo quartiere. I ragazzi si muovono a piedi, se ne vanno in giro sul lungomare, si fermano alla stazione a guardare i treni, poi si dimenticano di andare all’appuntamento con le ragazze. È il paradosso degli adolescenti: l’energia inesauribile di chi ha sedici anni ed è sempre in giro, in movimento, ma rimane sempre nello stesso posto.
Che cosa la affascina dell’adolescenza?
Mi affascina l’eternità del tema, credo che l’adolescenza sia al di fuori del tempo. La cronaca invece tenta sempre disperatamente di attualizzarla, si parla dei “giovani d’oggi”, delle baby gang, dei ragazzi che vanno avanti senza avere una direzione precisa. L’arte dovrebbe invece interrogarsi sui principi eterni. Le domande che si ponevano i nostri genitori sono le stesse che si porranno i nostri figli: chi siamo, che cosa diventeremo, che faremo da grandi? In questo senso, il linguaggio in bianco e nero ci ha aiutato a rendere il film un oggetto atemporale e fuori da ogni luogo. La cosa che mi ossessiona di più è l’equilibro instabile e vorticoso che si vive in quella stagione della vita, in cui tutto può succedere e si è perennemente in bilico fra la paura e il desiderio. L’unico modo per raccontarlo è, secondo me, guardandolo al di là del tempo presente, come se fosse un fatto universale.
La cinematografia spesso alimenta visioni stereotipate di Napoli, o comunque attinge a piene mani dai topos della città. Nel suo corto Napoli rimane sullo sfondo, perché?
Certi posti di Napoli sono talmente iconici che sono inconfondibili, non potrebbe essere altrimenti. Ho cercato però di riscrivere quei luoghi così famosi e di renderli quasi irriconoscibili. Per me questo film poteva essere girato tanto a Rio come a Pordenone, perché quello che succede nel corto potrebbe succedere in qualunque altro posto. Al napoletano non ho rinunciato perché lo trovo più immediato e perché è la mia lingua. Ma espressioni come il cinema o il regista napoletano, mi hanno sempre dato fastidio. Addirittura sono stato etichettato come il regista del Rione Traiano, quasi a volermi confinare. Alcuni visioni stereotipate provengono spesso da produzioni che vengono da fuori e provano a raccontare Napoli in maniera esotica, come se fosse una sorta di safari. L’unico modo per uscire dalla gabbia dei topos e dei cliché, è quello di elevare e nobilitare il racconto. Prendo questi quattro ragazzi, dei signori nessuno; per molti sono dei randagi, gioventù bruciata. Io non li condanno, ma cerco di elevarli nella loro semplicità. Irradiano moltissima luce e non possiamo fare altro che ammirarli.
Ritiene che, rispetto ad un film, sia più difficile condensare nei quindici minuti di un cortometraggio un’idea, una storia da raccontare?
Dopo un po’, la forma corto inizia a starmi stretta. Adesso sto provando a scrivere un lungometraggio e posso dare sfogo a tutto quello che mi piace; il corto a volte è un po’ punitivo, ti costringe a fare delle scelte. Al tempo stesso però ti permette di focalizzarti su pochi elementi e di divertirti con la macchina da presa. Il cortometraggio ti consente un’enorme libertà, a questa spero di non rinunciare mai. È la libertà di girare in bianco e nero oppure quella di ricorrere ad attori non professionisti, perché non devono tenere in piedi la narrazione per un’ora e mezza. Sto scrivendo un film con Ivan Ferrone, uno sceneggiatore molto talentuoso, e lo sto sviluppando con i ragazzi di Anemone Film, dei produttori molto capaci. L’idea è di iniziare un percorso insieme, che non si fermi al primo film, lavorando sempre in amicizia e in libertà.
Era estate quando arrivò la telefonata che ogni cronista aspettava: La Dia, Direzione Investigativa Antimafia di Napoli aveva arrestato Francesco Schiavone, detto Sandokan, allora capo del clan dei Casalesi, una delle più potenti cosche criminali del Paese. 11 luglio 1998.
Ero stata nel covo di Carmine Alfieri, nel Nolano, dove il boss viveva in un rifugio dove si accedeva attraverso una botola e conservava nel frigorifero babà e salmone, non potevo mancare di entrare nel bunker del boss a Casal di Principe. Con gli uomini della DIA che era guidata da Francesco Cirillo arrivammo sul posto. Una delle tante case della zona.
Sottoterra, bisognava infilarsi in un cunicolo e poi c’era una specie di “vagoncino” che viaggiava su binari: così si arrivava al nascondiglio segreto di Sandokan dove lui dipingeva soggetti sacri e guardava film come il padrino. Fu così che si scoprì che nell’Agro Aversano il boss e i suoi compari, ma anche i suoi familiari, utilizzavano cunicoli e botole per incontrarsi e parlarsi. Qualche volta sottoterra, qualche altra volta passavano attraverso i sottotetti: in moltissime abitazioni, anche di insospettabili incensurati sono stati trovati piccoli bunker, locali nascosti anche ad occhi più esperti. Intercapedini ricavate nei ripostigli nelle cucine dove trascorrevano la latitanza i boss e i gregari.
Francesco Schiavone detto Sandokan. È stato il primo padrino dei casalesi a manovrare sindaci e piegare istituzioni agli interessi del clan
Il pentimento di Francesco Schiavone è una vittoria dello Stato: a 70 anni, e dopo oltre un quarto di secolo in carcere, dopo la decisione di collaborare con la giustizia di due dei suoi figli, anche Sandokan, barba e capelli grigi, stanco e invecchiato ha fatteli salto, Confermato dalla Direzione Nazionale Antimafia. Adesso sarà interessante capire quello che potrà raccontare: dall’affare rifiuti che aveva il suo epicentro proprio nell’Agro Aversano ai collegamenti con gli imprenditori anche del Nord; dagli affari con i colletti bianchi, con i politici non solo locali (nel ’90 era stato arrestato a casa di un sindaco della zona) ai rapporti e alle connivenze in mezzo mondo, ed anche i collegamenti, veri o presunti, con i terroristi, quelli di Al Qaida e non solo. Insomma potrebbe esserci un nuovo terremoto giudiziario se davvero decidesse di vuotare finalmente il sacco, senza se e senza ma, e questo anche se gli anni sono passati e di molte vicende si è ormai quasi perso il ricordo. Adesso bisognerà anche capire quali familiari andranno in località segrete: sua moglie Giuseppina, insegnante, per esempio lo seguirà?.
Il primo della famiglia pentirsi fu suo cugino Carmine Schiavone: non dimenticherò mai la giornata trascorsa a girare per Casal di Principe per cercare di parlare con sua figlia che non aveva voluto seguire il padre, anzi. Pioveva, nessun per strada, incontrai Giuseppina che aveva scritto una lettera suo padre per dirgli la sua disapprovazione per aver deciso di collaborare con la giustizia.. Non volle venire in macchina con me e la troupe e allora la seguimmo, un lungo giro fino a casa dove nonostante un piccolo camino acceso faceva tanto freddo. Con quella storia aprimmo il TG5. Nulla faceva pensare che proprio Francesco Schiavone si sarebbe deciso a collaborare. Ma il clan decimato, tra arresti e omicidi tra le fazioni, la lunga detenzione, un tumore diagnosticatogli alcuni anni fa, hanno probabilmente fiaccato il vecchio boss. E adesso tanti misteri forse potranno essere chiariti.
Prosegue il calo degli sportelli bancari in Italia che, alla fine dello scorso anno, sono risultati oltre 800 in meno. Come si evince dalle tabelle della Banca d’Italia, il 2023 ha visto una ulteriore riduzione dai 20.985 di fine 2022 ai 20.161 di fine 2023. La diminuzione, sottolinea Via Nazionale, ha riguardato tutte le regioni ed è stata percentualmente più accentuata nelle Marche, in Abruzzo e in Sicilia.
In occasione del periodo pasquale, il Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, d’intesa con il Ministero della Salute, ha intensificato le attività di controllo sui prodotti tipici della Pasqua, con particolare riferimento a quelli dolciari, al fine di tutelare la salute dei cittadini e a garanzia degli imprenditori onesti che possono subire una concorrenza sleale da chi opera invece in modo illecito.
Le verifiche sulla corretta applicazione delle procedure igieniche e l’impiego di ingredienti sicuri hanno così fatto emergere violazioni relative alla carente pulizia ed igiene degli ambienti di lavorazione e deposito, alla mancata applicazione delle procedute preventive di sicurezza alimentare, all’omessa tracciabilità dei prodotti ed etichettatura irregolare. In alcuni casi sono stati scoperti ingredienti e semilavorati per dolci scaduti di validità e detenuti in ambienti umidi e con infestazioni di roditori.
La campagna ha visto coinvolti a livello nazionale i 38 NAS Carabinieri con oltre 840 ispezioni presso laboratori di produzione ed esercizi di vendita dei tradizionali prodotti dolciari, quali uova di cioccolato e colombe, ma anche verificando la correttezza commerciale e igienica delle materie prime mediante la preventiva vigilanza alle fasi di produzione e fornitura.
Gli esiti conseguiti documentano irregolarità accertate presso 324 strutture ed aziende oggetto di ispezione (pari al 38%), la contestazione di 574 violazioni penali ed amministrative, per un ammontare di 425 mila euro, ed il sequestro di complessive 2 tonnellate di alimenti, per un valore stimato in oltre 267 mila euro. Nel corso degli interventi, sono state individuate, inoltre, anche colombe e uova di cioccolato prodotte industrialmente che, una volta scartate e riconfezionate, venivano vendute come produzione artigianale ad un prezzo superiore. Sono stati 6 i titolari di negozi deferiti all’Autorità giudiziaria per l’ipotesi di tentata frode in commercio, con contestuale sequestro di oltre 300 colombe e uova falsamente dichiarate di “propria produzione”.
A causa di gravi situazioni igieniche e strutturali sono stati disposti 15 provvedimenti di chiusura o sospensione delle attività commerciali e produttive, stimate in un valore economico superiore a 5 milioni di euro.
Tra le situazioni più significative accertate dai NAS si evidenziano:
Nas Brescia
Nel corso del controllo presso una pasticceria della provincia di Bergamo sono stati rinvenuti, all’interno del laboratorio, 70 kg di cioccolato e 90 kg di prodotti dolciari con data di scadenza
superata, anche da alcuni anni, e con indicazioni non conformi in ordine agli ingredienti usati per la produzione. Contestate violazioni amministrative per un importo di 3.500 euro.
Nas Roma
A seguito dei controlli svolti presso due laboratori di pasticceria della provincia di Roma, sono stati deferiti in stato di libertà i titolari di entrambe le attività per aver posto in commercio prodotti dolciari tradizionali pasquali (colombe e uova di Pasqua) di produzione industriale artatamente etichettati e dichiarati come prodotti gastronomici artigianali. Riscontrate altresì, a vario titolo, carenti condizioni igieniche e strutturali e la mancata attuazione del manuale HACCP. Sequestrate 33 confezioni di colombe e 15 uova di cioccolato pasquali ed elevate sanzioni per un importo complessivo di 4.000 euro.
Nas Caserta
A seguito delle verifiche eseguite presso 2 pasticcerie ed una fabbrica di cioccolato della provincia di Caserta, sono stati sequestrati complessivamente 580 kg di prodotti tipici delle festività pasquali, poiché non sottoposti al piano di rintracciabilità alimentare.
Nas Catania
Controllati 2 laboratori di pasticceria ed un’industria alimentare della provincia di Catania, con conseguente sequestro di complessivi 1.415 kg di preparati e basi per prodotti dolciari in parte scaduti, privi di etichettatura e tracciabilità, ed in parte stoccati in un locale/deposito con gravi carenze igienico-sanitarie per presenza di escrementi di roditori.
In relazione alla descrizione di specifici interventi operati dai NAS nel presente comunicato stampa, le persone deferite all’autorità giudiziaria sono da ritenersi presunti innocenti fino a un definitivo accertamento di colpevolezza in successiva sede processuale.