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Cronache

“L’assessore Adriatici da terra alzò il braccio e sparò” lo dice un teste

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Le interpretazioni dei legali della vittima, Yousn El Bossettaoui, e della difesa dell’ex assessore alla Sicurezza di Voghera, Massimo Adriatici, delle deposizioni di due testi con la formula dell’incidente probatorio non potrebbero essere piu’ discordanti. Probabilmente solo un processo potra’ riuscire a chiarire come sia partito quel colpo che il 20 luglio uccise l’immigrato. Uno degli avvocati di parte offesa, Marco Romagnoli, ribadisce che quello accaduto in piazza Meani, nella cittadina lombarda, e’ stato “un omicidio volontario”, perche’, stando ai due testi, “si e’ trattato di una persona che scientemente ha impugnato una pistola”, “a poca distanza da un bar pieno di avventori e quella del colpo mortale non era certo l’unica possibilita’ per difendersi: legittima difesa mai!”. Uno dei due ragazzi testimoni, di origine nordafricana, fuori dai tribunale, mima la scena della colluttazione tra El Bossettaoui e Adriatici. “Era a terra, ha alzato il braccio e ha sparato”. Prima El Bossettaoui aveva avvicinato l’ex assessore che stava telefonando chiedendogli: “Con chi parli?”. Poi il pugno all’uomo politico e Adriatici cade a terra. Con fatica, il ragazzo cerca di ricordare se l’ex assessore avesse estratto in quel momento l’arma o l’avesse gia’ in mano: “Ha tirato fuori e ha sparato”, risponde anche se per lo stesso legale di parte offesa questo e’ ancora “tra i dettagli da chiarire”. Romagnoli ripete invece che nell’arma c’erano dei proiettili “espansivi” (pensa di formulare un’ulteriore accusa nei confronti dell’uomo politico: porto abusivo di munizionamento). Circostanza che uno dei difensori di Adriatici nega con forza: “Gli stessi Ris non hanno mai scritto che si trattasse di pallottole espansive”, afferma l’avvocato Gabriele Pipicelli il quale aggiunge che uno dei due ha anche chiarito quell’espressione “a sangue freddo”, usata inizialmente: “Intendeva dire una persona determinata, che si stava difendendo”. La difesa sta lavorando anche a una consulenza neurologica per stabilire “lo stato di ottundimento” di Adriatici “colpito da un pugno, con gli occhiali rotti, e che si trovava una persona addosso”: Per Pipicelli, la condotta dell’ex assessore e’ legittima difesa ma non si aspetta certo un’istanza di archiviazione da parte del pm: “E’ una vicenda delicatissima, il rito lo decideremo in seguito”. Difficile che la Procura chieda il giudizio immediato in quanto l’incidente probatorio non e’ concluso e il 6 dicembre sara’ sentita una terza teste ora in Romania. Il gip deve decidere a breve, invece, sull’ammissione agli atti di un altro video in possesso degli inquirenti, diverso rispetto a quello ormai noto che non riprende il momento dello sparo. La difesa Adriatici denuncera’ infine un gruppo web su cui e’ apparsa una fotografia dell’ex assessore, in cella , mentre una mano inserisce una pistola tra le sbarre e lo prende di mira. Per i difensori e’ istigazione a delinquere.

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Cronache

Un operaio di 23 anni morto stritolato tra i rifiuti

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E’ stata una fine orribile quella di un operaio, di soli 23 anni, Hamed Mohamed Khalid Hassan, morto la scorsa notte in un incidente sul lavoro che si è verificato a Cusago, nel Milanese. Il giovane, di origine egiziana, addetto in un’azienda di lavorazione dei rifiuti, è infatti rimasto stritolato in un compattatore. Una tragedia che segue di sole 24 ore quella di un altro operaio, anch’egli 23enne, Manuel Cavanna, residente a Cortona (Arezzo), rimasto ucciso in un incidente sul lavoro a Montepulciano, in provincia di Siena. La disgrazia – almeno finché le indagini non individueranno eventuali responsabilità – avvenuta in Lombardia è accaduta durante un turno notturno, alle 23.30, nella ditta Convertini srl, un’impresa di stoccaggio e trattamento di rifiuti speciali che si occupa di selezione e riciclo di materiali, e che è situata in corso Europa.

Secondo le prime informazioni, riferite dai Vigili del Fuoco di Milano e Corbetta, intervenuti sul posto, “il 23enne stava lavorando sul ciglio del compattatore quando, per motivi ancora da chiarire appieno, è stato risucchiato dalla bocca di aspirazione del macchinario trita rifiuti”. I pompieri che hanno disincastrato i suoi resti dal macchinario si sono trovati davanti una scena orribile, con il corpo del ragazzo straziato e irriconoscibile. In azienda sono giunti anche i Carabinieri della compagnia di Corsico e l’Ats, per svolgere tutti gli accertamenti sulla misure aziendali di sicurezza e per ricostruire l’esatta dinamica. Il giovane egiziano, residente a Milano, pare fosse alle dipendenze di una cooperativa vicina alla stessa azienda di Cusago. Tra pochi giorni, il 2 maggio, avrebbe compiuto gli anni.

Sul caso è stato aperto un fascicolo in Procura, a Milano, e il macchinario è stato posto sotto sequestro. L’altrettanto drammatico caso di ieri, invece, si è verificato nel comune di Montepulciano, in località Tre Berte, in un’azienda che produce strutture in metallo e box per cavalli, la Elle Emme. Il giovane, che lavorava per una ditta esterna, è stato colpito al petto da un tubolare di ferro. Sull’infortunio il procuratore capo di Siena, Andrea Boni, ha aperto un fascicolo contro ignoti. E’ stata poi posta sotto sequestro l’area esterna dell’azienda dove è avvenuto l’incidente mortale. I funerali si svolgeranno domani, alle 16, presso la chiesa delle Chianacce di Cortona (Arezzo). La salma del giovane sarà tumulata presso il cimitero di Farneta di Cortona. E oggi un uomo di 76 anni è morto a San Raffaele Cimena, nel Torinese, travolto da un trattore che si è ribaltato. L’allarme è scattato poco prima delle 16 nei campi di via Carpanea. Inutili tutti i soccorsi.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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