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Cronache

L’Alleanza contro la povertà accusa il Governo: il reddito di cittadinanza rischia di creare il caos

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I dubbi espressi dall’Alleanza contro la povertà – la rete di 35 associazioni nata in Italia nel 2013 per chiedere uno strumento valido per contrastare l’indigenza – non sono nuovi. Ma la coalizione delle associazioni che si occupano di poveri in Italia lancia ancora un appello al governo perché ascolti le considerazioni sul Reddito di cittadinanza del mondo delle associazioni. Le “ripetute richieste di incontro non sono state accolte” ma noi vorremmo “un percorso di confronto sui contenuti”. Con la misura contro la povertà inserita in manovra, per l’Alleanza, al primo di aprile si creerebbe il caos, perché “non solo si azzererebbe il lavoro faticosamente fatto finora, ma si assegnerebbero ai centri per l’impiego compiti di cui oggi non sono in grado di farsi carico”. Da qui la richiesta al Governo di non sprecare un’occasione storica. Non sprecare “il cospicuo stanziamento” previsto per il Reddito di cittadinanza – circa 9 miliardi – con una misura a favore delle fasce più disagiate che rischia di non centrare l’obiettivo. Anche perché il vero cambiamento “non consiste nello smontare ciò che è stato fatto dai governi precedenti, bensì nell’arrivare dove questi sono giunti”.  La povertà è un fenomeno multidimensionale, mentre il reddito di cittadinanza ha impostato tutto su un ragionamento monodimensionale, che lega l’indigenza esclusivamente alla mancanza di lavoro.
In più, viene impostato come “un ibrido: una politica contro la povertà per quanto riguarda i beneficiari (tutti i poveri assoluti), ma una politica contro la disoccupazione rispetto agli interventi messi in campo”. Per  l’Alleanza il rischio è quello di “delegittimare la lotta alla povertà”, assegnando al reddito di cittadinanza obiettivi che non gli competono, “sminuire il valore dei diritti sociali”, “spianare la strada ad attacchi futuri” quando non si sarà raggiunto il traguardo principale che si pone: il lavoro. Il Rei, invece, è frutto di un percorso di confronto e dialogo a diversi livelli e tra diversi contesti, e per questo – spiega il portavoce dell’ Alleanza e presidente delle Acli Roberto Rossini durante la presentazione dell’ appello ieri a Roma- “crediamo sia opportuno implementare il reddito di inclusione, può anche essere chiamato in altro modo, prendendo spunto da questo e con la sua gradualità, perché non è necessario avere le risorse disponibili ora ma in 3-4 anni”.
Qualsiasi riforma ambiziosa “richiede anni per dare i suoi frutti”. Se invece si sbaglia l’obiettivo e non si lavora su una solida misura di sostegno alla povertà assoluta, si rischia così anche di non “fornire un’assicurazione alle classi medie, che spesso temono di cadere nell’ indigenza”. Per questo occorre non smontare il Rei, ribadisce Nunzia De Capite dell’area nazionale Caritas italiana – tra i fondatori dell’Alleanza insieme tra gli altri ad Azione Cattolica, Cgil-Cisl-Uil, Cnca, Comunità di Sant’ Egidio, Confcooperative – che è “un inizio”, perciò “diciamo che il cambiamento consiste nello stanziare più risorse su questa misura. È una occasione da non perdere e bisogna tenere il punto su questo”. Il Rdc al contrario, qualunque sia la forma definitiva che prenderà – sono le conclusioni dell’ appello dell’ Alleanza – si basa su un mix di contributi economici e progetti personalizzati costruiti dai servizi territoriali, innanzitutto Comuni e centri per l’impiego; “entrambi però non sarebbero in grado, in così breve tempo, di elaborare progetti per tutta la popolazione di riferimento”.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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