Che fine ha fatto l’Africa? Posto che l’Africa esista davvero, si capisce, e non sia solo un’invenzione dei geografi. Non se ne parla più, avete notato? Come se fosse un Continente immaginario, buono solo per apparire sulle mappe, o sulle foto spaziali nell’azzurrità biancheggiante e nuvolosa del nostro pianeta. Ci vogliono le vittime del terrorismo, i 110 morti di Boko Haram in Nigeria per avere qualche riferimento sui media italiani, più sensazionalistico, peraltro, che incline all’analisi del perché è successo e di cosa può succedere ancora, in seguito a questa recrudescenza dell’estremismo “islamico” a sud del Sahara.

Certo la pandemia permette l’esistenza comunicativa di questa “Afrique fantôme”, evocata da M. Leiris, nella traversata terrestre dall’Atlantico all’Oceano Indiano quasi un secolo fa! Nei modi di funzionamento della fuzziness mediatica, la notiziabilità del coronarirus diventa più che dispotica, ossessiva. Rendendo “tutto il resto” men che secondario. Specie quando implica qualche nostra responsabilità “occidentale”, qualche colpa del neoliberismo globalitario, arrivando così a turbare le nostre coscienze.
Eppure, l’Africa esiste e qualcuno degli ultimi dispacci, anche se non riguardano la pandemia, dà da pensare. Il Continente, intanto, sta per essere risucchiato in via sempre più allarmante nelle sabbie mobili del debito pubblico. E’ il Fondo Monetario Internazionale a dirci che il Sudan, il più vasto Paese africano, va verso il doppio del PIL. La piccola Eritrea, stretta nella morsa di una dittatura feroce e incapace ormai persino di pensare se stessa, si muove sugli altissimi livelli italiani. L’Angola sta raggiungendo l’equivalenza del PIL: eppure si tratta di uno del massimi produttori di petrolio del mondo, il secondo del Continente dopo la Nigeria. Nelle stesse condizioni si trovano l’Egitto e, tendenzialmente, il Congo, rispettivamente il terzo e il quarto Paese più popolati d’Africa.

Eppure, ecco un altro dispaccio, proveniente questa volta direttamente dalle Nazioni Unite (Unctad), l’Africa è un “creditore netto” nei confronti del mondo. Pensiamo che tra il 2000 e il 2015, ben 836 miliardi di dollari sono volati via, trasferiti illegalmente verso le accoglienti banche e istituzioni finanziarie occidentali. Se da una parte si parla delle “enormi ricchezze dell’Africa”, e quindi risorse energetiche dal petrolio all’uranio; mirerali preziosi, dall’oro ai diamanti e al platino; metalli rari per le industrie tecnologiche di punta del mondo industriale avanzato –Cina in prima fila, si capisce-; legnami pregiati con una deforestazione selvaggia che sta privando il pianeta dei suoi polmoni vegetali. Dall’altra parte non si parla che troppo poco della corruzione diffusa, del furti, del contrabbando, dei trasferimenti illeciti, appunto, alimentati dai partenariati commerciali conniventi con i Paesi ricchi, sempre pronti a chiudere un occhio e, spesso, tutti e due. Le ripercussioni non sfuggiranno certo: malaffare percolante, arricchimenti spropositati, devastazione degli antichi sistemi etici e solidali africani che tutelavano la resilienza dei villaggi, incapacità dei Governi di assicurare i servizi di base, dalla salute all’istruzione, perdita di fiducia nelle istituzioni africane che dovrebbero garantire lo sviluppo economico e la crescita democratica del Continente.

Antoinette Sayeh. Fondo Monetario Internazionale
Già, perché la degradazione politica dell’Africa prosegue, in un’indifferenza generale che possiamo considerare ormai come una vera e propria complicità. In Guinea Equatoriale, altro ricco produttore di petrolio, il potere è nelle mani di un impresentabile Teodoro Obiang da 41 anni: tre in più di Paul Biya (Camerun), sette in più di Yoweri Museveni (Uganda), undici in più di Idriss Déby (Ciad), quattordici in più di Isaias Afwerki (Eritrea). Sono da vent’anni e più al potere personaggi come Denis Sassou-Nguesso (Congo), Ismail Omar Guellen (Gibuti), Paul Kagame (Ruanda). Ma non è finita: in Paesi come il Gabon e il Togo, si sono formate delle vere e proprie dinastie, con il potere che si trasmette da padre a figlio: Bongo, Gnassibé, regnano da oltre mezzo secolo….
Il Covid-19, a quanto pare, stenta a diffondersi in Africa e non fa i morti che ci vorrebbero per parlarne, si potrebbe dire cinicamente. Ma morde ferocemente le speranze d’avvenire: quest’anno la scuola africana è ferma, i bambini restano a casa o per strada, niente DAD per loro. Per la più gran parte di loro. Con accentuazione delle diseguaglianze presenti e delle povertà future.
Nel frattempo, ecco l’ultimo dispaccio, la fame nel mondo ricomincia a crescere. Nel 2019 si contano 60 milioni di persone denutrite in più di cinque anni prima. Quasi 150 milioni di bambini soffrono di arresto della crescita. Oltre 5 milioni sono morti prima di aver compiuto 5 anni: per malnutrizione, in tutto o in parte. L’Indice globale della fame, secondo l’ultimo Rapporto Welthungerhilfe e Concern Worldwide pone ben 11 Paesi a livelli “allarmanti”: 8 di questi sono africani, da Madagascar alla Somalia, dal Congo al Sud Sudan, dal Ciad alla Repubblica Centrafricana, per chiudere con le Comore e il Burundi.
Anche per il fantasma dell’Africa il Natale sarà un problema?