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Lady Huwaei Meng Wanzhou libera su cauzione in Canada, rischia estradizione in Usa

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La giustizia canadese concede a Lady Huwaei la libertà su cauzione. Meng Wanzhou potrà stare nella sua casa a Vancouver in attesa di una sua possibile estradizione negli Stati Uniti per le accuse di frode mosse nei suoi confronti. Un’estradizione che, se sarà perseguita, rischia di cadere in un momento delicato dei rapporti fra Stati Uniti e Cina, impegnate in una tregua commerciale che il caso Huawei sta mettendo sotto crescente pressione. Gli Stati Uniti ha 60 giorni a disposizione dall’arresto per presentare il loro caso per l’estradizione offrendo anche prove concrete. Il giudice William Ehrcke fissa in 10 milioni di dollari canadesi (7,5 milioni di dollari) da pagare la cauzione per Meng, imponendo alla 46enne direttrice finanziaria di Huawei e figlia del suo fondatore di consegnare i suoi passaporti cinese e di Hong Kong, indossare un dispositivo Gps per controllare i suoi spostamenti, e farsi carico delle spese per la sua sicurezza.

Il giudice ha deciso al termine di una due giorni di udienze e dopo aver ascoltato quattro ex colleghi e amici di Meng, che si sono uniti al marito della manager più potente della Cina a sostegno della sua richiesta di una liberta’ su cauzione. Meng è stata arrestata l’1 dicembre in Canada su richiesta delle autorita’ americane, mentre era a Vancouver e si stava per imbarcare su un volo per il Messico. La donna, madre di quattro bambini, e’ accusata di aver aver violato le sanzioni americane nei confronti dell’Iran. Ma Meng e’ vista da molti come una ‘pedina’ nella battaglia degli Stati Uniti e dell’Occidente intero di voler calare una ‘cortina di ferro’ su Huawei per bloccare la sua ascesa come potenziale leader della nuova generazione delle reti di telecomunicazione 5G.

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Kiev, 278.130 soldati russi sono rimasti uccisi in battaglia

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Secondo lo Stato Maggiore delle forze armate ucraine, il bilancio dei militari russi morti in Ucraina è salito a circa 278.130, di cui 470 sono rimasti uccisi solo nelle ultime 24 ore. Il report quotidiano delle Stato maggiore è stato postato su Facebook. “Tra il 24 febbraio 2022 e il 30 settembre 2023, il totale delle perdite in combattimento del nemico comprendeva anche 4.691 carri armati, 8.984 veicoli corazzati da combattimento, 6.447 sistemi di artiglieria , 796 sistemi di razzi a lancio multiplo, 537 sistemi di guerra antiaerea, 315 aerei, 316 elicotteri, 8.854 veicoli a motore e serbatoi di carburante, 20 navi/barche da guerra, 1 sottomarino, 5.006 veicoli aerei senza pilota, 932 unità di equipaggiamento speciale. In totale sono stati abbattuti 1.529 missili da crociera nemici. I dati devono ancora essere aggiornati”, ha scritto lo Stato maggiore di Kiev, ricordando anche che ieri l’Aeronautica militare ucraina ha lanciato 11 attacchi.

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Qatargate, Panzeri libero ma non può lasciare il Belgio

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Il memorandum da pentito firmato a gennaio parlava chiaro: un solo anno di reclusione in cambio delle sue confessioni. Nove mesi più tardi – quasi dieci dallo scoppio del presunto scandalo di corruzione -, Pier Antonio Panzeri, ritenuto il deus ex machina del Qatargate, è tornato libero prima del previsto grazie alla sua “buona condotta” e alla valutazione della giustizia belga che “non considera più necessaria la sua detenzione”. E, a prescindere dalla piega che prenderanno le indagini preliminari ancora in corso e l’eventuale processo, la sua pena si è così esaurita. Alle sole condizioni di continuare a collaborare con la giustizia, non lasciare – almeno per ora – il Belgio, e non entrare in contatto con gli altri indagati.

La loro sorte resta al contrario incerta, legata a doppio filo alle parole rese agli inquirenti dallo stesso ex eurodeputato e agli esiti del maxi-riesame dell’inchiesta, chiesto dall’ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, e destinato a chiudersi solo nel giugno 2024, oltre la data delle elezioni europee. Decretando i rinvii a giudizio dei sospettati o l’archiviazione dell’intera inchiesta. Era il 17 gennaio quando il politico di Pd prima e Articolo 1 poi, finito in carcere il 9 dicembre scorso, strinse un inatteso accordo con l’allora giudice istruttore Michel Claise, costretto a giugno altrettanto a sorpresa a lasciare la guida del caso alla nuova giudice Aurélie Dejaiffe per un potenziale conflitto d’interessi tra suo figlio e quello dell’eurodeputata Maria Arena – molto vicina a Panzeri e più volte accostata al caso senza mai essere stata indagata – co-azionisti di una società di cannabis legale.

Sotto il peso di 600mila euro in contanti ritrovati nella sua abitazione e delle accuse di corruzione attiva e passiva, riciclaggio e partecipazione a organizzazione criminale in qualità di capogruppo, nella sua nuova veste di gola profonda l’ex eurodeputato si è impegnato a “rendere dichiarazioni sostanziali, rivelatrici, veritiere e complete” alla magistratura sulle operazioni architettate, gli accordi stretti con Qatar, Marocco e Mauritania e il coinvolgimento di altre persone. Un’intesa che ha trascinato nella rete della magistratura belga i due eurodeputati in carica Andrea Cozzolino e Marc Tarabella, entrambi arrestati il 10 febbraio e rilasciati tra aprile e giugno. E che, in cambio delle sue confessioni, ha permesso all’ex sindacalista di ottenere la pena mite di un anno di reclusione, una multa da 80mila euro e la confisca dei beni acquisiti nel corso dell’indagine, stimati in un milione di euro. A nove mesi da quel giorno – quattro dei quali trascorsi nel malandato carcere di Saint-Gilles e cinque ai domiciliari – ora Panzeri è tornato libero su disposizione della Camera di consiglio del tribunale di Bruxelles. Una decisione accolta senza obiezioni dalla procura federale, secondo la quale “nel sistema penale belga la liberazione anticipata è una pratica frequente, resa possibile per esempio da motivi di buona condotta”.

E che, nella visione del suo legale, Laurent Kennes, “è del tutto normale, dal momento che tutti gli indagati coinvolti nel caso sono da tempo liberi e che lui è un collaboratore di giustizia”. Una collaborazione da mesi contestata con forza da Marc Tarabella ed Eva Kaili, secondo i quali le parole del pentito Panzeri sono “inattendibili” e lo stesso memorandum è “privo di validità” perché firmato dopo le pressioni esercitate, è la loro accusa, dall’ex giudice Claise per ottenere in cambio la liberazione della moglie, Maria Colleoni, e della figlia, Silvia, fermate in Italia. Gli indagati, è la replica della difesa di Panzeri, hanno “interesse” ad attaccare l’ex eurodeputato ma “il memorandum è ancora valido” e il politico “continuerà a collaborare con la giustizia”. Chiamata, dal canto suo, a fare luce nella cornice del riesame delle indagini anche sul secondo accordo da pentito della storia del Paese.

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Svolta nel cold case del rapper Tupac Shakur, un arresto

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C’è una svolta nel cold case più celebre della storia dell’hip hop: 27 anni dopo l’omicidio del rapper Tupac Shakur la polizia di Las Vegas ha arrestato un uomo con l’accusa di aver ucciso il cantante il 6 settembre 1996. Tupac è morto sei giorni dopo all’ospedale, in seguito ai colpi ricevuti. Aveva 25 anni ed era al culmine del successo. Duane “Keffe D” Davis, di 60 anni, è stato arrestato mentre passeggiava vicino a casa. Uno dei pubblici ministeri che lavorano sul caso, Marc DiGiacomo, ha dichiarato che la procura aspettava “da diversi mesi” che il giudice spiccasse il mandato d’arresto.

Secondo DiGiacomo, Davis è stato il “basista” presente sul posto della sparatoria e anche colui che “ha ordinato la morte” di Shakur. Il 6 settembre del 1996 Tupac era a las Vegas per assistere a un incontro di pugilato tra Mike Tyson e Bruce Seldon. Attorno alle 23, il gruppo che lo accompagnava salì su una decina di macchine con l’intenzione di raggiungere una discoteca. Il cantante era a bordo di una Bmw nera guidata da Marion ‘Suge’ Knight, proprietario della Death Row Records, l’etichetta discografica di Los Angeles punto di riferimento per l’hip hop della West Coast nella faida di quegli anni con la East Coast. Mentre erano fermi a un semaforo, una Cadillac bianca si accostò all’auto su cui viaggiava Tupac e qualcuno dall’interno cominciò a sparare, colpendolo con quattro proiettili.

Davis è l’unico testimone dei fatti ancora vivo. Lui stesso ha ammesso che era a bordo della Cadillac nel suo libro di memorie del 2019, “Compton Street Legend”, che di fatto ha riaperto il caso. Davis ha detto che era seduto davanti e di aver fatto scivolare una pistola sul sedile posteriore, da dove partirono i colpi. Lì era seduto suo nipote Orlando Anderson, noto rivale di Shakur, con cui si era azzuffato poco prima a un casinò. Anderson è poi stato ucciso nel 1998 e nessuno è mai arrestato per l’omicidio di Tupac fino ad oggi. Secondo DiGiacomo è stato Davis ad avere l’idea di vendicarsi dopo la rissa. Il giudice ha negato la cauzione all’arrestato. “Si dice spesso che la giustizia ritardata è giustizia negata – ha detto all’Associated Press il pm Steve Wolfson -. In questo caso, la giustizia è stata ritardata, ma non verrà negata”.

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