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Lady camorra resta in carcere, ecco le accuse che inchiodano Maria Licciardi

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Il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura cautelare del carcere nei confronti di Maria Licciardi, accusata dalla Procura di Napoli di associazione di tipo mafioso, ricettazione di denaro di provenienza illecita e turbativa d’asta. La sentenza e’ stata emessa dalla decima sezione (collegio B). L’udienza davanti al Tribunale della Liberta’, durante la quale la discusso l’avvocato Edoardo Cardillo, legale di Maria Licciardi, soprannominata “lady camorra”, si e’ tenuta ieri mattina. Maria Licciardi, ritenuta dagli inquirenti a capo dell’omonimo clan fondato dal fratello Gennaro (detto ‘a scigna) e anche elemento di vertice del cartello malavitoso denominato “Alleanza di Secondigliano”, e’ stata sottoposta a fermo dai carabinieri del Ros lo scorso 7 agosto, nell’aeroporto romano di Ciampino, mentre di accingeva a partire per Malaga.

Maria Licciardi e’ stata capace “di riprendere in poco tempo le redini di una associazione di stampo mafioso e di porre in essere con l’intimidazione condotte quali quelle” ai capi contestati “dopo una detenzione di ben otto anni… dato che evidenzia la personalita’ delinquenziale e la attuale pericolosita’ sociale di Maria Licciardi e che integra si puo’ dire in modo paradigmatico la sussistenza nei suoi confronti di quelle ‘esigenze cautelari di eccezionale rilevanza’…”. Cosi’ il gip di Roma Valerio Savio ha motivato l’ordinanza di convalida del fermo e di applicazione della custodia cautelare in carcere emessa lo scorso 9 agosto nei confronti di Maria Licciardi, 70 anni, soprannominata “lady camorra”, fermata dai carabinieri del Ros lo scorso 7 agosto, nell’aeroporto romano di Ciampino, mentre di accingeva a partire per Malaga. La decisione del gip capitolino e’ stata poi confermata anche dal gip partenopeo, qualche settimana dopo. Il giudice ritenne sussistenti, tra l’altro, il pericolo di fuga e la reiterazione reati. Maria Licciardi, inoltre, per il gip, ha gestito “con preoccupante prepotenza” le vicende criminali inerenti il clan “nonostante la consapevolezza di una attivita’ investigativa a suo carico, circostanza questa che non frenava il suo agire illecito e anche violento… a dimostrazione di una scelta di vita criminale, anche in eta’ avanzata, certamente definibile ormai come immutabile e definitiva”.

A Piscinola, quartiere dell’area a nord di Napoli confinante con Scampia, era Maria Licciardi a decidere se un negozio poteva o meno vendere l’acqua. La circostanza emerge da alcune intercettazioni inserite nell’ordinanza con la quale, il 9 agosto scorso, il gip di Roma Valerio Savio ha convalidato il fermo nei confronti di “lady camorra” e disposto per lei la custodia cautelare in carcere. Il negozio in questione si trova accanto a un altro esercizio commerciale maggiormente gradito al clan e il fatto che vendesse l’acqua, peraltro a prezzi piu’ bassi, proprio non andava giu’ a Maria Licciardi che, in questa vicenda, secondo il giudice, dimostra di avere un controllo pressoche’ totale del territorio. Lady camorra incarica uno dei suoi uomini di riferire al commerciante il suo diktat. Il luogotenente di Maria Licciardi esegue l’ordine ma ciononostante il negozio continua a vendere l’acqua fino a quando, innervosita per la reticenza dimostrata, e’ proprio lei, in prima persona entrare in azione, recandosi di persona sul posto. Il commerciante si difende dicendole di avere avuto rassicurazioni da una sua nipote, Rosaria, circa la possibilita’ di continuare a vendere l’acqua. Ma la risposta di lady camorra e’ perentoria e, secondo il giudice e la Procura di Napoli, anche dirimente circa la rilevanza del suo ruolo nel clan: “…la malavita la faccio io…Rosaria (sua nipote, ndr) fa’ il ragu'”.

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Napoli, sequestrata nave turca con grano ucraino: conteneva sigarette di contrabbando

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Nave carica di mais e grano ucraino e sigarette di contrabbando. Carabinieri arrestano 4 persone, anche il comandante del cargo

Si tratta di una nave turca, battente bandiera panamense, dove i carabinieri della sezione operativa e radiomobile di Castellammare di Stabia hanno trovato migliaia di pacchetti di sigarette di contrabbando. Proveniente dall’Ucraina con un carico di mais e grano e attraccata nel porto di Torre Annunziata, l’imbarcazione nascondeva nella stiva circa 7000 pacchetti di sigarette di origini serbe ma destinate verosimilmente al mercato nero napoletano.

In manette il comandante della nave, un 39enne siriano di Tartus e 3 oplontini di 68, 57 e 58 anni. Questi ultimi avevano appena prelevato 500 stecche del carico (5000 pacchetti) e li avevano stipati in un’auto. Sono stati arrestati per contrabbando di tabacchi esteri.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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