Otto allievi, otto storie, otto progetti fotografici.
Otto è il numero dalla forma infinita forse per questo è stato scelto questo numero di partecipanti, perché è infinito l’apprendimento, come sono infinite le possibilità creative che la fotografia offre, otto allievi, come negli anni passati che prendono parte al LAB3 di Antonio Biasiucci, uno dei piu’ affermati fotografi in Italia. Lab3, perché e il Terzo Laboratorio Irregolare, aperto dopo quelli degli anni precedenti, nel 2018.
E’ Irregolare nel nome, negli scambi, durante gli incontri, è Irregolare nelle risate e nelle discussioni gioviali, è Irregolare, perché prima ci si siede intorno al tavolo per il pranzo a parlare delle proprie esperienze e poi inizia lo studio, è Irregolare perche’ tutti si aiutano e partecipano alle ricerche degli altri. E’ Irregolare, eppure, LAB3, come i precedenti, persegue una linea di rigore fotografico che tanti colleghi fotografi professionisti non nascondono di volerci partecipare ed essere tra gli 8 allievi scelti tra i 140 che hannosostenuto
Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
ph. Mario Laporta/KONTROLAB
Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
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Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
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Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
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Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
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Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
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Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
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Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
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Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
ph. Mario Laporta/KONTROLAB
Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
ph. Mario Laporta/KONTROLAB
Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
ph. Mario Laporta/KONTROLAB
Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
ph. Mario Laporta/KONTROLAB
Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
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Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
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Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
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Napoli 14 Gennaio 2019. Un momento del Lab3 il terzo ciclo del Laboratorio Informale tenuto da Antonio Biasiucci a Napoli.
ph. Mario Laporta/KONTROLAB
Napoli 14 Gennaio 2019. Antonio Biasiucci nel suo studio a Napoli.
ph. Mario Laporta/KONTROLAB
Napoli 14 Gennaio 2019. Antonio Biasiucci nel suo studio a Napoli.
ph. Mario Laporta/KONTROLAB
le selezioni di questa sessione.
Il Laboratorio Irregolare non e’ solo fotografia, ma scelta di vita, solidarietà, condivisione, apprendimento personale di ciò che si è e di come rapportarsi agli altri e come confrontarsi rispettando il lavoro con una fortissima autocritica e senza autoreferenzialità né presunzione.
Antonio Biasiucci con il suo Laboratorio ripercorre ciò che ha vissuto con i laboratori teatrali di Antonio Neiwiller, regista e drammaturgo Napoletano precocemente scomparso, che lui seguiva fotograficamente agli inizi degli anni ’90.
Dice Antonello Cossia, attore e allievo di Neiwiller: “La grande maestria di Antonio Biasiucci nel seguire il lavoro di Antonio Neiwiller è fondata sulla volontà di essere dentro le cose che si imprimono sulla pellicola, di accompagnare lo sguardo e la percezione dello spettatore dentro l’azione che la fotografia immortala nell’istante in cui viene scattata. Quell’istante è donato a chi osserva cercando la suggestione interiore che potrebbe nascere nel – qui e ora – dell’istante reale. Questa metodologia trova un suo naturale contesto nell’incontro con il laboratorio di creazione di Antonio Neiwiller. La tecnica che viene utilizzata si è sviluppata in anni di studio, di lavoro, di osservazione di alcuni grandi maestri del tempo come Tadeusz Kantor, Pina Bausch, Jerzij Grotowskij. Una creazione che si avvale della partecipazione e dell’inventiva dei partecipanti-attori, scelti con cura proprio grazie alle caratteristiche umane e sensibili prima che tecniche ed artigianali, anche se queste erano il punto di partenza. Il metodo di costruzione prevedeva lunghe sedute di lettura, preparazione, visione di film relativi al tema trattato e poi in sede di sala prove, attraverso le improvvisazioni o delle vere e proprie brevi creazioni, si accumulava materiale concreto, azioni sceniche che ad un dato momento venivano assemblate e montate da Neiwiller, per costruire il testo che desiderava in quel momento portare in scena. Non è sbagliato infatti parlare di “creazione”, poiché di quello parliamo, visto che ogni spettacolo non era un repertorio o una messa in scena, ma una vera e propria azione di creazione artistica. Era solito Antonio indicare il suo teatro come una architettura che ha alla base “qualcosa che teatro non è ma lo alimenta… la vita.”
Non e’ un corso di fotografia, ma un tempo distribuito in due anni che insegna a crescere, come persona e come fotografo.
Arrivo anche oggi, dopo aver visitato negli anni passati i LAB 1 e 2, allo studio di Biasiucci intorno alle 16,00.
Lo studio è una Full-Immersion nel mondo fotografico, decine di foto impaginate perfettamente a parete, pacchi di gomma-ball contenenti le opere incorniciate che sono di ritorno dalle varie mostre che girano l’Europa, manifesti di esposizioni, libri, cataloghi, opere di Oreste Zevola e di altri artisti con i quali Biasiucci ha lavorato o esposto insieme.
Benché lo studio sia in una storica strada napoletana e di solito questo tipo di case siano abbastanza buie, qui la luce, amplificata dalle perfette pareti bianche da l’impressione di essere in uno di quegli appartamenti con lucernaio dislocati all’ultimo piano.
Li trovo intorno al tavolo da lavoro, 8 allievi, Paolo Covino, Alessandro Gattuso, Valeria Laureano, Laura Nemes Jeles, Claire Power, Ilaria Sagaria., Giuseppe Vitale, Tommaso Vitiello, provenienti da esperienze, città e nazioni diverse , sul tavolo ci sono decine e decine di fotografie sulle quali si discute e si organizza la sequenza che verrà stravolta, rinforzata, perfezionata nei due anni di condivisione previsti dal Laboratorio. Gli allievi mi parlano di approcci complessivi e consapevoli delle fasi step by step che accomunano tutti i progetti tentando e riuscendovi, di liberarsi dai miti per passaggi trasversali del sapere condividendo e approfondendo la propria consapevolezza di mettere le proprie energie in un settore, la fotografia, che, come Antonio Biasiucci ci ricorda, ha potenzialità infinite ancora inesplorate da percorrere e scoprire.
Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse,
Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES.
Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli.
Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli.
Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it
E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International.
Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.
L’artista napoletano Antonio Nocera ha recentemente svelato la sua nuova opera d’arte, intitolata “Xenia”, un’installazione site-specific situata nella hall dell’iconico Sina Bernini Bristol di Roma, un simbolo dell’hotellerie di lusso da 150 anni. Commissionata da Bernabò e Matilde Bocca, presidente e vicepresidente del gruppo Sina Hotels, l’opera interpreta con sensibilità il tema dell’accoglienza, valore che caratterizza la storia della famiglia Bocca da tre generazioni.
L’opera “Xenia”: simboli di ospitalità e trasformazione
Realizzata in bronzo e tecniche miste su legno e plexiglass, l’opera “Xenia” fonde materiali e simboli profondi: le farfalle, che rappresentano la libertà e la trasformazione spirituale; le conchiglie, emblema della casa e simbolo del gruppo Sina Hotels; e la figura femminile, richiamando l’importanza ancestrale delle donne. Il nome “Xenia”, derivato dall’antica Grecia, esprime il concetto di ospitalità sacra, in cui l’accoglienza era considerata un atto sacro poiché si credeva che gli ospiti potessero celare entità divine.
Un dialogo tra arte e spazio
L’opera, presentata all’interno di una struttura che ha recentemente subito una ristrutturazione nel 2021 ed è entrata nella Autograph Collection, si armonizza con i dettagli d’arredo realizzati su misura. Oltre a “Xenia”, i visitatori possono ammirare anche l’affresco “The Birth of Baroque” di Adalberto Migliorati, che celebra i capolavori del celebre artista Gian Lorenzo Bernini.
Progetti futuri
Durante l’evento di presentazione, Antonio Nocera ha rivelato di essere già al lavoro su una nuova serie di dipinti che saranno esposti al Sina Villa Medici di Firenze, sottolineando il legame speciale che ha con la città.
Questa opera non solo arricchisce l’esperienza dei visitatori dell’hotel, ma offre anche una web-app gratuita per esplorare i cenni storici legati a Bernini e un itinerario virtuale per visitare le opere d’arte dal vivo, unendo tradizione e innovazione tecnologica.
Il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere, scoperto nel 1922, è uno dei più importanti templi dedicati al culto di Mitra in tutto il mondo. Situato vicino all’Anfiteatro Campano e al Museo Archeologico dell’antica Capua, rappresenta una testimonianza unica del mitraismo, un culto misterico molto diffuso durante l’Impero Romano.
La diffusione del culto di Mitra a Capua
Il culto di Mitra giunse a Capua durante il II secolo d.C., probabilmente portato dai gladiatori orientali che praticavano il mitraismo. Questo culto, di origine persiana, si era diffuso in tutto l’Impero grazie ai soldati romani stanziati nelle province orientali. Capua, con la sua vivace comunità gladiatoria, divenne un importante centro per il mitraismo, grazie anche alla presenza dell’Anfiteatro Campano, uno dei più grandi dell’epoca.
La struttura del Mitreo
Il Mitreo si trova in una struttura sotterranea, tipica dei templi mitraici, accessibile tramite una rampa di scale. La sala principale, lunga circa 12 metri, ha una volta a botte e lungo le pareti laterali sono presenti i posti a sedere per gli adepti. Il cuore del tempio è la raffigurazione della Tauroctonia, un affresco in cui Mitra viene rappresentato nell’atto di sacrificare un toro, simbolo di rigenerazione e fertilità.
Il simbolismo della Tauroctonia
La Tauroctonia è il simbolo centrale del culto mitraico. Nell’affresco, Mitra, vestito con un mantello svolazzante e il tipico berretto frigio, uccide un toro sacro con un pugnale. Intorno a lui sono rappresentati diversi elementi simbolici: il Sole, che osserva la scena, e i Dadofori, Cautes e Cautopates, che simboleggiano il ciclo del giorno e della notte. La scena è completata da animali come il cane, lo scorpione e il serpente, che aiutano Mitra nella sua impresa.
Funzione del Mitreo e i riti misterici
Il Mitreo era il luogo dove si svolgevano i riti misterici legati al culto di Mitra. Solo gli uomini potevano partecipare a queste cerimonie, che prevedevano un’iniziazione articolata in sette fasi. L’atmosfera del tempio, con la sua volta stellata e i lucernari che lasciavano filtrare la luce, creava un ambiente mistico che richiamava la grotta in cui, secondo il mito, Mitra aveva ucciso il toro.
Il declino del Mitraismo
Il Mitraismo raggiunse il suo apice tra il II e il IV secolo d.C., ma iniziò a declinare con l’avvento del Cristianesimo. Sebbene fosse un culto molto diffuso tra i soldati romani e le classi popolari, non riuscì a competere con la crescita del Cristianesimo, e fu definitivamente soppresso con l’imperatore Teodosio nel 394 d.C. Oggi, il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere rimane uno dei templi meglio conservati, offrendo una finestra unica su questo antico culto.
Importanza archeologica e turistica
Dal 2014, il Mitreo, insieme all’Anfiteatro Campano e al Museo Archeologico dell’antica Capua, è gestito dal Polo Museale della Campania, attirando visitatori e studiosi da tutto il mondo. La sua rilevanza storica e culturale lo rende una tappa imperdibile per chi vuole esplorare le radici del Mitraismo in Italia.
Il mondo della techno napoletana ha perso uno dei suoi padri fondatori, Rino Cerrone (nella foto a sx assieme a Capriati) , scomparso all’età di 52 anni. Il celebre produttore e DJ, considerato una leggenda nel panorama internazionale del nightclubbing, ha lasciato un segno indelebile nella scena musicale. Joseph Capriati, uno dei suoi più noti discepoli, ha espresso il proprio dolore sui social, ricordando Cerrone come un maestro e un amico, capace di supportarlo nei momenti difficili e di insegnargli tutto sulla musica.
L’eredità musicale di Rino Cerrone
Cerrone, nato nel 1972, ha influenzato generazioni di DJ, tra cui Marco Carola, Danilo Vigorito, Markantonio e lo stesso Capriati. Insieme, questi artisti hanno proiettato la scena techno napoletana sul palcoscenico internazionale. I set di Cerrone erano caratterizzati da una fusione unica di techno e progressive, con sonorità che mescolavano la precisione della techno tedesca, la magniloquenza di quella svedese e l’energia del rave londinese. Il suo stile, pur complesso, aveva radici profonde nella cultura partenopea, con un approccio che riusciva a fondere ritmi serrati ed eleganza.
Una carriera globale, ma con il cuore a Napoli
Durante la sua carriera, Cerrone ha girato il mondo, suonando a Berlino, Amsterdam, Giappone e Sudamerica. Nonostante il suo successo internazionale, ha sempre mantenuto un legame speciale con Napoli, partecipando regolarmente a eventi locali. La sua techno era apprezzata per la sua raffinatezza e la capacità di coinvolgere il pubblico con un ritmo travolgente e una tecnica impeccabile, come dimostrato dai suoi set con tre piatti che sfumavano i confini tra i generi.
Il rapporto speciale con Joseph Capriati
Il legame tra Joseph Capriati e Cerrone era quello di un fratello maggiore e maestro. Capriati ha ricordato come da giovane lo considerasse un idolo, aspettando ore solo per assistere alle sue performance all’Old River. Il loro legame si è trasformato in una profonda amicizia, con Cerrone sempre pronto a offrire supporto e consigli, tanto da diventare una figura di riferimento nella vita e nella carriera di Capriati.
Il lutto nella club culture
La scomparsa di Cerrone ha lasciato un vuoto enorme nella scena della club culture. Mentre il dolore è palpabile tra i colleghi e fan, il ricordo della sua musica e della sua persona continuerà a vivere, come desiderava lo stesso Cerrone. Nonostante la tristezza, è probabile che i fan lo onoreranno facendo ciò che lui amava di più: ballare.