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‘La zona rossa avrebbe evitato morte di 4mila persone’

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Nonostante l’impennata dei contagi tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo e lo scenario “catastrofico” acclarato, non fu istituita alcuna zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, per altro già pronti a ‘isolarsi’ per evitare di dover contare oltre 4 mila morti di Covid. E non fu applicato il piano influenzale pandemico, pur risalente al 2006: mancanza che ha comportato una catena di ritardi e omissioni che avrebbero poi determinato la “diffusione incontrollata” del virus. Una diffusione che in fece salire alla ribalta l’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano, epicentro delle pandemia nella bergamasca dove già, quasi in contemporanea con la scoperta di Paziente 1, erano stati registrati parecchi casi e anche vittime. Sono questi in sostanza i tre grandi temi messi nero su bianco dalla Procura di Bergamo nell’avviso di chiusura dell’indagine sulla gestione della prima ondata del Covid nella zona più colpita d’Italia, come testimoniano i dati e le immagini delle lunghe colonne di camion dell’Esercito con sopra le bare di chi ha perso la vita in questa tragedia che, dicono gli inquirenti, avrebbe potuto essere meno pesante.

Indagine in cui gli indagati sono 19, e tra questi l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro Roberto Speranza – per loro due è competente il Tribunale dei Ministri con sede a Brescia – il presidente della Lombardia Attilio Fontana, l’ex assessore del Welfare lombardo Giulio Gallera, e vari esponenti di rilievo del mondo della sanità italiana, come Claudio D’Amario ex dg della prevenzione del ministero, Agostino Miozzo coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico, Silvio Brusaferro, direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, e Angelo Borrelli, ex capo della Protezione Civile. Le accuse contestate a vario titolo, sono epidemia colposa aggravata, omicidio colposo, rifiuto d’atti d’ufficio e falsi. C’è stata “un’insufficiente valutazione di rischio”, ha spiegato il Procuratore Antonio Chiappani, aggiungendo che “di fronte a migliaia di morti e alle consulenze che ci dicono che potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione”. Così oggi, dopo che ieri sera erano già noti i nomi degli indagati, sono stati notificati gli avvisi di conclusione dell’inchiesta, non senza qualche polemica per il modo con cui è stato gestito il caso ‘coperto’ da un innegabile interesse pubblico: “E’ vergognoso che una persona che è stata sentita a inizio indagine come informata dei fatti scopra dai giornali di essere stata trasformata in indagato. – ha sbottato Fontana – E’ una vergogna sulla quale non so se qualche magistrato di questo Paese ritiene di indagare. Sicuramente non succederà niente”. Secondo la ricostruzione di inquirenti e investigatori, riportata nell’atto, la mancata istituzione della zona rossa avrebbe causato “la diffusione dell’epidemia” in Val Seriana con un “incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero di decessi in meno che si sarebbero verificati” qualora fosse stata disposta dal 27 febbraio 2020 o da Conte o da Fontana.

L’allora presidente del Consiglio, invece, assieme ai componenti del Cts, nelle riunioni del 29 febbraio e 1 marzo 2020, si sarebbe “limitato a proporre (…) misure meramente integrative, senza ancora una volta, prospettare di estendere” la decisione già adottata nel Lodigiano, “nonostante l’ulteriore incremento del contagio” e “l’accertamento delle condizioni che (…) corrispondevano allo scenario più catastrofico”. In merito alla mancata applicazione del piano pandemico esistente si imputa a Brusaferro di aver proposto non tanto la sua “attuazione” bensì “azioni alternative, così impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste”. Accusa, questa di cui risponde tra l’altro Speranza con gli allora suoi tecnici e, per non aver applicato il piano regionale Gallera e l’ex dg del Welfare Luigi Cajazzo. Infine il capitolo che riguarda l’ospedale di Alzano per cui sono indagati i vertici e dirigenti della Asst di Bergamo Est: secondo l’ipotesi non furono adottate misure per contenere il virus e il suo pronto soccorso venne chiuso e poi riaperto senza l’adeguata sanificazione. Ciò ha comportato un accelerazione dei contagi e la morte pure di qualche medico. “Ritengo di aver agito con la massima umiltà nel confronto con gli esperti” e “con il massimo senso di responsabilità e il massimo impegno”, è ritornato a commentare in serata Conte. “Ci sono delle verifiche giudiziarie in corso, ben vengano. Risponderò nelle sedi opportune ma non vi aspettate da me show mediatici”.

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Reggio Calabria, arresti in Francia e Germania per immigrazione clandestina

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I Carabinieri di Reggio Calabria hanno smantellato una cellula che ricollocava i migranti: un’indagine partita dal territorio e sviluppata grazie alla cooperazione internazionale, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia reggina diretta da Giovanni Bombardieri. Gli investigatori dell’Arma hanno dato esecuzione, in Francia e Germania, ad una misura cautelare personale in carcere nei confronti di 4 cittadini afghani, ritenuti a vario titolo responsabili di favoreggiamento pluriaggravato dell’immigrazione clandestina e di esercizio abusivo dell’intermediazione finanziaria. Sono stati sequestrati, inoltre, il veicolo utilizzato per il trasporto dei migranti e il denaro profitto del reato.

Immigrazione clandestina, operazione dei Carabinieri di Reggio Calabria

L’indagine è stata sviluppata avvalendosi dei canali di cooperazione internazionale, con particolare riguardo a Eurojust, sul lato giudiziario, che ha coordinato l’esecuzione di diversi ordini di indagini europei, comprese attività intercettive all’estero, nonché le rogatorie internazionali, così come – in maniera omologa per lo scambio di polizia – Europol ha fornito apporto di analisi e il contributo delle banche dati in uso all’Ufficio europeo di polizia.
A collaborare i carabinieri reggini, in Germania, il Direttorato per la lotta al crimine della Bundespolizei e, in Francia, la Police Nationale, le Brigate Mobili di ricerca della Direzione Centrale della Polizia di frontiera di Bordeaux e Marsiglia.

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La Regione Lazio revoca il patrocinio al Roma Pride 2023

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Lo scontro sull’utero in affitto incendia anche il Roma Pride. La sfilata dell’orgoglio Lgbtqi+ in programma il 10 giugno per le vie della Capitale è segnata dalla decisione della Regione Lazio di revocare il patrocinio all’evento. L’amministrazione regionale capitanata da Francesco Rocca ribadendo in ogni caso “il proprio impegno sui diritti civili” non può “né potrà mai, essere utilizzata a sostegno di manifestazioni volte a promuovere comportamenti illegali, con specifico riferimento alla pratica del cosiddetto utero in affitto”.

La decisione sembrerebbe essere stata presa proprio contro la strumentalizzazione ideologica sulla gestazione per altri. A tuonare contro il patrocinio inizialmente dato alla manifestazione è stata l’associazione Pro Vita: “Ci chiediamo se il centrodestra non sia in preda ad una schizofrenia”, aveva affermato Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus. “Apprezziamo che la Regione abbia deciso di sottrarsi alla trappola dei pregiudizi ideologici, prendendo di fatto le distanze politiche da quanti in Parlamento in questi giorni vorrebbero rendere la nascita delle nostre figlie e dei nostri figli reato universale, perseguendo la gestazione per altri anche se realizzata all’estero”, aveva invece dichiarato Mario Colamarino, presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli e portavoce del Roma Pride. E se ora Pro Vita plaude, il portavoce del Roma Pride attacca Rocca: “Siamo ormai alla farsa ‘Pro Vita ordina e la politica esegue'”, ha afferma Colamarino, annunciando però che non toglieranno il logo della Regione Lazio dal sito della manifestazione. La decisione di revocare il patrocinio per il Roma Pride in programma sabato prossimo “si è resa necessaria e inevitabile a seguito delle affermazioni, dei toni e dei propositi contenuti nel manifesto dell’evento intitolato ‘Queeresistenza’, consultabile pubblicamente sul sito della kermesse. Tali affermazioni violano le condizioni esplicitamente richieste per la concessione del patrocinio precedentemente accordato in buona fede da parte di Regione Lazio”.

Anche alla luce delle parole di Colamarino che per la regione ha sostanzialmente strumentalizzato il sostegno inizialmente dato. Immediata la condanna delle opposizioni alla scelta della Regione, Pd in testa. Con il sindaco Roberto Gualtieri che ha assicurato il patrocinio del Campidoglio e che sarò in piazza per il Pride, come previsto. La Regione Lazio che definisce il Pride una “manifestazione volta a promuovere comportamenti illegali” sancisce con questo “la propria uscita dal mondo civile”, ha attaccato Ivan Scalfarotto, senatore di Azione-Italia Viva. Della stessa linea il deputato del Pd Alessandro Zan, responsabile diritti della segreteria nazionale dem, definendo il ritiro del patrocinio da parte della Regione Lazio è una “schizofrenia di odio e discriminazione”.

Si schiera invece con la linea di Rocca il leader della Lega Matteo Salvini che twitta: “Sostegno alla propaganda dell’utero in affitto? No, grazie”. Sulla stessa linea il vice presidente della Camera, esponente di FdI, Fabio Rampelli: “Ha fatto bene il presidente Rocca”, ha detto Rampelli. Mentre, per Forza Italia Giovani la “revoca” del patrocinio è errata, ed è un “grande regalo alla sinistra”. Regione o non Regione, la marcia Lgbtqi+ ci sarà e si snoderà per le vie della Capitale il 10 giugno. E con ironia il portavoce del Roma Pride ringrazia “Pro vita per averci offerto un servizio di ufficio stampa gratuito. Grazie a loro siamo certi ci sarà una folla oceanica che crede nei diritti, nell’uguaglianza e nella laicità”.

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Incidenti stradali: morto calciatore del vivaio del Livorno

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È morto il calciatore appena 18enne delle giovanili del Livorno Anwar Megbli che era ricoverato all’ospedale Cisanello di Pisa da ieri mattina dopo un incidente stradale. Il giovane calciatore, definito una promessa dagli addetti ai lavori, intorno alle 5.30 del mattino di domenica era stato tamponato da un’auto mentre in sella al suo motorino insieme a un amico, anche lui ricoverato in gravi condizioni all’ospedale di Livorno, stavano percorrendo un tratto della variante Aurelia nelle vicinanze di Donoratico (Livorno).

I due ragazzi sono stati tamponati da un’auto alla cui guida c’era un 30enne, e in seguito al violento impatto sono stati sbalzati a terra. Cordoglio del Livorno Calcio per la scomparsa del 18enne, che giunge dopo la dichiarazione di decesso a conclusione della procedura per l’accertamento di morte cerebrale: “No, non si può morire a 18 anni – si legge in una nota -. Oggi, in seguito a un tragico incidente stradale tra San Vincenzo e Donoratico nella notte tra sabato e domenica, ha perso la vita Anwar Megbli, attaccante classe 2005 degli Juniores nazionali dell’Unione sportiva Livorno 1915, nella scorsa stagione aggregato alla prima squadra in diverse occasioni”. “Tutta la società – prosegue la nota – esprime le più sentite condoglianze alla famiglia in questo momento di profondo dolore. Ciao campione. Sarai sempre con noi”.

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