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La Svizzera insiste, ‘pronti a ospitare Trump-Putin’

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Dopo la Slovacchia si fanno avanti Serbia e soprattutto Svizzera: è ormai partita la corsa per ospitare quello che si configura come il faccia a faccia più atteso degli ultimi anni, il vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin. L’appuntamento è tutt’altro che fissato e vede per ora il disaccordo dell’Ue, ma entrambi i presidenti hanno dato la propria disponibilità. “Lo stiamo organizzando”, ha anticipato Trump pochi giorni fa mentre il Cremlino ha confermato che non ci sono “condizioni preliminari” per l’avvio del dialogo. In questo contesto il luogo dell’incontro appare una scelta cruciale. E la Svizzera, forte della sua neutralità e di un passato che l’ha vista teatro di alcuni dei principali vertici della storia recente, si è fatta avanti.

“Dopo il vertice di Bürgenstock, l’Ucraina, la Russia e gli Stati Uniti sono stati regolarmente informati della nostra disponibilità a sostenere qualsiasi sforzo diplomatico per stabilire la pace”, ha spiegato al quotidiano elvetico Le Temps Nicolas Bideau, portavoce del Ministero degli Esteri di Berna, aggiungendo che le autorità elvetiche, oltre a mettere a disposizione il loro territorio, non svolgeranno alcun ruolo nell’iniziativa. Poche ore dopo è stato il presidente serbo Alexandar Vucic ad uscire allo scoperto, dicendosi interessato a ospitare il vertice tra il futuro presidente americano e lo Zar.

“La Serbia ha uno dei più alti livelli di sostegno a Trump tra i Paesi europei, pur mantenendo un forte favore pubblico per Putin, il che potrebbe renderla un terreno neutrale adatto per un incontro di così alto profilo”, ha sottolineato Vucic, che nei giorni scorsi ha invece protestato contro il presidente Joe Biden per le sanzioni imposte da Washington al gruppo petrolifero serbo Nis. Svizzera e Serbia si aggiungono alla Slovacchia, che a fine dicembre – dopo la visita del primo ministro Robert Fico a Mosca – si era proposta per prima per ospitare i colloqui di pace sulla guerra in Ucraina. Tutti e tre i Paesi, c’è da dire, aderiscono alla Corte Penale Internazionale che il 17 marzo del 2023 ha spiccato un mandato di arresto internazionale proprio per Putin, per i crimini di guerra in Ucraina.

La corsa ad ospitare il faccia a faccia è, in ogni caso, un chiaro indizio che, per Volodymyr Zelensky, molto potrebbe cambiare dopo il 20 gennaio. Nonostante la cattura dei due soldati nordcoreani (che Kiev ha proposto di scambiare con i prigionieri ucraini in mano ai russi), non sono settimane semplici per il presidente ucraino, che affronta crescenti criticità sul terreno. Mosca ha annunciato di aver conquistato due villaggi, uno nella regione di Kharkiv e l’altro nell’Oblast di Donetsk.

A Pokrovsk, città militarmente strategica del Dombass, l’esercito ucraino ha ammesso che la situazione è difficile e che il nemico, ormai alle porte, ha isolato il centro abitato rispetto all’esterno. Il presidente ucraino continua a ricevere il fermo sostegno dell’Ue e lo stesso è accaduto nel corso della sua recente visita a Roma, ma l’arrivo di Trump darà forza a chi, come Ungheria e Slovacchia, vuole la fine della guerra. E in Germania, la costante crescita di AfD in vista del voto del 23 febbraio rappresenta un altro, funesto, campanello d’allarme per Kiev.

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La Francia consegna a Kiev i primi caccia Mirage 2000

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La Francia ha consegnato i primi caccia Mirage 2000 all’Ucraina: lo fa sapere il governo di Parigi. Il Mirage 2000 sarà il secondo caccia di fabbricazione occidentale ad entrare nelle forze armate di Kiev dopo l’F-16. Il ministro francese delle Forze armate, Sébastien Lecornu, ha annunciato nei mesi scorsi su X che i Mirage 2000 per l’Ucraina saranno equipaggiati con sistemi elettronici di autodifesa e subiranno modifiche specifiche che consentiranno loro di condurre missioni aria-terra.

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Santorini e il rischio sismico: cosa sta accadendo sull’isola?

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Migliaia di persone stanno abbandonando le loro case per paura dei terremoti che da giorni scuotono l’isola greca di Santorini, conosciuta nell’antichità come Thera. La domanda sorge spontanea: c’è un rischio imminente di eruzione?

Secondo gli esperti, per il momento non ci sono segnali evidenti di un’imminente attività vulcanica, ma la zona rimane geologicamente molto attiva e qualsiasi sviluppo va monitorato con attenzione.

Lo sciame sismico e la struttura tettonica

L’attuale sciame sismico si sta concentrando a Nord-Est dell’isola, nella zona del bacino di Anhydros, un’area geologicamente complessa che si estende fino all’isola di Amorgos. Si tratta di un’area caratterizzata da importanti faglie tettoniche, già responsabili in passato di terremoti di forte intensità, come quello del 1956, stimato tra 7.2 e 7.8 di magnitudo Richter.

Sebbene la presenza di fluidi profondi possa influenzare l’attività sismica, la posizione degli eventi fa ritenere che l’origine sia principalmente tettonica, piuttosto che vulcanica.

Il vulcano di Santorini: storia e pericoli

La storia geologica di Santorini è segnata da un evento catastrofico: l’eruzione del 1650 a.C., una delle più violente della storia umana. L’intera isola esplose, svuotando la sua camera magmatica dopo giorni di forti terremoti. Gli abitanti riuscirono quasi tutti a mettersi in salvo, ma la città di Akrotiri fu completamente sepolta sotto strati di cenere vulcanica, diventando una sorta di Pompei dell’Età del Bronzo.

L’eruzione provocò uno tsunami che colpì duramente anche Creta, contribuendo, secondo alcune teorie, al declino della civiltà minoica. Le ceneri di quella devastante esplosione arrivarono fino in Egitto, influenzando miti e leggende, e forse persino il racconto biblico delle piaghe d’Egitto.

Il rischio attuale: terremoti e costruzioni antisismiche

Attualmente, non ci sono prove che il vulcano di Santorini sia prossimo a una nuova eruzione. Le autorità monitorano parametri fondamentali come:

  • Temperatura e composizione delle fumarole
  • Rigonfiamento del suolo
  • Attività sismica profonda

Se il vulcano dovesse dare segni di risveglio, i sistemi di sorveglianza permetterebbero di prevedere con anticipo un’eventuale eruzione. Tuttavia, è impossibile escludere completamente la possibilità di una sua riattivazione in futuro.

Il vero pericolo, al momento, è l’edilizia. In caso di terremoti di forte intensità, non è il sisma in sé a uccidere, ma il crollo di edifici costruiti senza criteri antisismici. Con l’aumento del turismo negli ultimi decenni, si teme che alcune costruzioni possano non essere state realizzate secondo standard di sicurezza adeguati.

Conclusione: nessun allarme, ma massima attenzione

Al momento non c’è un pericolo immediato di eruzione, ma Santorini rimane una zona ad altissimo rischio sismico e vulcanico.

Le autorità stanno valutando eventuali evacuazioni come misura precauzionale, ma se le costruzioni fossero state realizzate seguendo le giuste norme, oggi non ci sarebbe alcun bisogno di fuggire.

La Terra è in continuo movimento e Santorini è uno dei luoghi dove la geodinamica si manifesta più chiaramente. Resta da vedere se, nei prossimi giorni, lo sciame sismico si attenuerà o se sarà il segnale di una nuova fase di attività del vulcano.

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Ue valuta di colpire le Big Tech in caso di dazi Usa

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Colpire al cuore le Big Tech americane, usando uno strumento che, non a caso, era stato pensato durante il primo mandato di Donald Trump. E’ questo il “bazooka” al quale starebbe pensando la Commissione Ue nel caso il presidente americano concretizzasse la sua minaccia sui dazi. A rivelarlo al Financial Times sono stati due funzionari Ue vicini al dossier precisando un dato abbastanza evidente nei corridoi delle istituzioni comunitarie: al momento qualsiasi tipo di ritorsione è affidata al campo delle ipotesi. Nella Direzione Trade di Palazzo Berlaymont, l’aria è, per usare un eufemismo, caldissima.

In attesa di Trump sul tavolo dei funzionari comunitari ci sono più modelli teoricamente percorribili, a seconda di quanta forza Bruxelles voglia imprimere alla sua risposta. In questo quadro, una ritorsione contro le Big Tech sarebbe certamente una replica ferma e netta alla guerra dei dazi di Trump. Anzi, la sola circolazione delle possibili ritorsioni di Bruxelles, nella strategia della Commissione, potrebbe essere già un anticipo della trattativa che verrà. L’appiglio giuridico per colpire le Big Tech sarebbe in questo senso lo Strumento Anti-Coercizione (Aci), varato dalla Commissione ben oltre quattro anni fa – nel pieno della guerra commerciale con gli Usa di Trump – ma entrato in vigore solo alla fine del dicembre 2023.

Lo strumento offre alla Commissione un’ampia gamma di possibili contromisure quando un Paese si rifiuta di eliminare la coercizione. Queste includono l’imposizione di tariffe, restrizioni al commercio di servizi e agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale legati al commercio, nonché restrizioni all’accesso agli investimenti diretti esteri e agli appalti pubblici. L’obiettivo è limitare e combattere la coercizione economica con finalità politiche di Paesi terzi. Anche per questo, negli anni di Joe Biden alla Casa Bianca, l’Aci è stato usato come deterrente nei confronti della Cina e non degli Usa.

Ursula von der Leyen, in ogni caso, non ha nessuna intenzione di chiudere le porte al dialogo con Trump. Un dialogo che, tuttavia, ad oggi resta assente. I contatti tra Bruxelles e Washington stentano a decollare, all’orizzonte non si intravede alcun incontro tra i vertici Ue e il presidente americano. Di certo, in Europa accanto alla prudenza d’ordinanza si sta facendo spazio l’intenzione di fare di tutto per farsi rispettare. Anche perché la linea della Commissione è che l’economia europea e quella americana “si completano molto bene” e non c’è un alcun atteggiamento iniquo da parte dell’Ue. Stando ai dati del 2023 sul fronte del beni l’Ue ha incassato un surplus di quasi 156 miliardi di euro rispetto agli Usa, mentre nei servizi gli Stati Uniti hanno avuto un surplus di 104 miliardi. Complessivamente (beni e servizi) il surplus a favore di Bruxelles è stato di quasi 52 miliardi di euro, ha puntualizzato Palazzo Berlaymont.

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