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Cronache

La storia di un’amicizia speciale: Giulia Muscariello e Chiara Memoli, un legame indissolubile

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Ci sono destini legati da un filo così spesso che niente potrà mai spezzare. Giulia Muscariello e Chiara Memoli (nella foto in evidenza) lo sanno bene, perché la loro amicizia ha superato prove difficili, resistendo al tempo e alla distanza. Le due ragazze hanno condiviso ogni tappa importante della loro vita, dall’infanzia alla laurea, dimostrando come un legame possa diventare la forza che aiuta a superare le sfide più dure.

La tragica notte del 2020: l’incidente che ha cambiato la vita di Giulia

La vita di Giulia Muscariello, una ragazza dai lunghi capelli chiari di 22 anni, cambiò per sempre nella notte tra il 30 e il 31 luglio 2020. Seduta su un muretto insieme alla sua amica Chiara Memoli, a Cava de’ Tirreni (Salerno), le due ragazze stavano chiacchierando quando furono sorprese dal rombo di un’auto. Giulia capì subito il pericolo imminente e, in un gesto di puro altruismo, spinse Chiara in salvo, ma non fece in tempo a salvare se stessa. L’auto la travolse, causando l’amputazione della sua gamba sinistra all’altezza della coscia.

Il giorno zero e il lungo cammino verso la rinascita

Quello fu il “giorno zero” per Giulia Muscariello, che si svegliò in ospedale con una nuova realtà da affrontare. Al suo fianco, come sempre, c’era Chiara, che lanciò subito una raccolta fondi per sostenere le cure della sua amica. La storia della loro amicizia e del gesto di generosità di Giulia arrivò persino al Quirinale, dove il Presidente Sergio Mattarella la nominò Alfiere della Repubblica.

Il traguardo della laurea: Giulia e Chiara, ancora insieme

Oggi, a distanza di quattro anni da quel tragico evento, entrambe le ragazze hanno raggiunto un importante traguardo: la laurea. Giulia si è laureata in Lettere moderne all’Università di Salerno, mentre Chiara ha completato il suo percorso in Ingegneria biomedica a Torino. Nonostante la distanza dovuta alle loro scelte universitarie, l’amicizia tra le due ragazze non è stata scalfita nemmeno un po’. Le abbiamo viste in prima fila a celebrare i successi l’una dell’altra, dimostrando quanto sia forte il loro legame.

Chiara e la scelta di studiare Ingegneria biomedica

Ma c’è di più. Chiara Memoli ha scelto di studiare Ingegneria biomedica ispirata dall’incidente della sua amica. “Dopo l’incidente di Giulia, ho cominciato a capire quanto un ingegnere potesse fare per migliorare la vita di una persona con protesi. È grazie a lei che ho deciso di seguire questa strada”, racconta Chiara. Ora, iscritta alla magistrale in Strumentazione biomedica, Chiara sogna di poter aiutare Giulia a migliorare le sue protesi e renderle sempre più funzionali e confortevoli.

Giulia e la sua rinascita

Con il suo 110 e lode in tasca, Giulia ha iniziato un nuovo percorso alla Sapienza di Roma, iscrivendosi alla magistrale in Filologia. Nonostante le difficoltà dei primi mesi dopo l’incidente e la perdita della madre, alla quale ha dedicato la sua tesi, Giulia si è rialzata e ha dimostrato una forza straordinaria. “Mi vedo insegnante all’università, dietro una cattedra”, confessa. E quando parla del futuro, usa una parola greca che le è particolarmente cara: ananthèo, che significa “rifiorire”. Un termine che descrive perfettamente il suo percorso di rinascita.

La sfida più grande: accettare il proprio corpo

Tra le tante sfide affrontate da Giulia, quella più difficile è stata accettare il proprio corpo dopo l’incidente. “Mostrarmi, soprattutto al mare, è stata la cosa più difficile”, ammette. Ma con il tempo, ha trasformato quel che considerava un punto debole in un punto di forza, scegliendo di personalizzare le sue protesi: una rosa brillantinata per il mare e una dorata per l’uso quotidiano.

La storia di Giulia Muscariello e Chiara Memoli è un esempio straordinario di amicizia, resilienza e determinazione. Due ragazze che hanno trasformato una tragedia in una fonte di ispirazione per tutti, dimostrando che con il giusto supporto e una forza interiore inarrestabile, ogni ostacolo può essere superato.

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Cronache

Tragedia a Muggia: madre ucraina uccide il figlio di nove anni, il bambino era stato affidato al padre

A Muggia, in provincia di Trieste, una madre ucraina ha ucciso il figlio di nove anni tagliandogli la gola. Il bambino, affidato al padre dopo la separazione, era in visita alla donna.

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Una tragedia sconvolgente ha scosso la comunità di Muggia, alle porte di Trieste. Una donna di nazionalità ucraina ha ucciso il figlio di nove anni, tagliandogli la gola con un coltello all’interno della loro abitazione in via Marconi, nel centro cittadino.

L’allarme è stato lanciato nella serata di ieri dal padre del bambino, che vive fuori dal Friuli Venezia Giulia e non riusciva a mettersi in contatto con l’ex compagna. Quando la Squadra Mobile di Trieste è arrivata nell’appartamento, il piccolo era già morto.


Una famiglia seguita dal tribunale e dai servizi sociali

La vicenda familiare era nota ai servizi sociali ed era seguita anche dal tribunale minorile. Dopo la separazione, la custodia del bambino era stata affidata al padre, ma la madre aveva mantenuto il diritto di incontrare il figlio, secondo quanto stabilito dalle disposizioni del giudice.

I rapporti tra i due genitori erano difficili, come hanno riferito persone vicine alla famiglia. Ieri sera, l’incontro si è trasformato in tragedia.


Il corpo trovato in bagno, la madre in stato di choc

Quando i Vigili del Fuoco e gli agenti di polizia sono entrati nell’abitazione, il corpo del bambino era già senza vita da diverse ore e si trovava nel bagno di casa.

La donna è stata trovata in stato di choc e soccorsa sul posto. Gli inquirenti stanno ricostruendo la dinamica dei fatti e le eventuali motivazioni del gesto, mentre la Procura di Trieste ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario aggravato.

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Inchiesta sui cellulari in carcere: perquisizioni ad Avellino, 18 indagati tra detenuti ed ex detenuti

I Carabinieri di Avellino e la Polizia Penitenziaria hanno eseguito perquisizioni nel carcere “Antimo Graziano” e in altre sedi: 18 indagati per uso illecito di cellulari in carcere, uno anche per stalking.

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I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Avellino, insieme alla Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale e al Nucleo Investigativo Regionale per la Campania, hanno eseguito un decreto di perquisizione locale e personale a carico di 18 indagati, tutti detenuti o ex detenuti dell’istituto penitenziario “Antimo Graziano” di Avellino.

Gli indagati sono gravemente sospettati del reato di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti (articolo 391 ter del codice penale). In un caso si procede anche per atti persecutori (articolo 612 bis).


L’operazione nel carcere “Antimo Graziano”

Le perquisizioni, disposte dalla Procura della Repubblica di Avellino, hanno interessato le celle ancora occupate dagli indagati con l’obiettivo di rintracciare e sequestrare dispositivi elettronici e schede SIM detenuti illegalmente.

Il provvedimento nasce da un’indagine condotta dai Carabinieri di Avellino a partire da febbraio 2025, mirata a contrastare il fenomeno dell’uso di smartphone e cellulari all’interno delle carceri, spesso utilizzati per comunicazioni non autorizzate o per accedere ai social network.


La rete dei contatti e i profili social

Le investigazioni hanno rivelato una vera e propria rete di telefoni connessi, una “connected cell” che consentiva ai detenuti di mantenere rapporti continui con l’esterno. Attraverso l’analisi di tabulati telefonici e telematici, spesso riferiti a utenze intestate a soggetti fittizi, gli investigatori hanno ricostruito il circuito relazionale dei detenuti, identificando familiari e amici contattati illegalmente.

Su alcuni profili social riconducibili agli indagati sono stati trovati messaggi e immagini di rilievo investigativo, che confermano l’uso illecito dei dispositivi per comunicazioni e attività potenzialmente criminali.


Un caso di stalking tra i reati scoperti

Le indagini hanno inoltre evidenziato che i telefoni venivano utilizzati anche per commettere altri reati. In particolare, un detenuto è risultato gravemente indiziato di atti persecutori ai danni della vedova dell’uomo da lui ucciso, utilizzando lo smartphone per continuare a molestarla anche dal carcere.

L’inchiesta resta aperta, mentre la Procura di Avellino valuta ulteriori sviluppi per accertare eventuali responsabilità all’interno dell’istituto penitenziario.

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Scoperto bunker-serra di marijuana nell’Aspromonte: denunciati padre e figlio a Platì

I carabinieri scoprono un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla a Platì: coltivavano marijuana con un impianto elettrico abusivo. Denunciati padre e figlio.

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Un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla in mezzo alla vegetazione aspromontana è stato scoperto dai carabinieri della Stazione di Platì, insieme ai militari dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e del 14° Battaglione “Calabria”, nel corso di un’operazione di controllo del territorio contro la produzione di sostanze stupefacenti.

Padre e figlio, entrambi denunciati in stato di libertà, sono ritenuti responsabili di aver realizzato una vera e propria serra “indoor” per la coltivazione di cannabis, trasformando un capanno agricolo in disuso in un sofisticato laboratorio sotterraneo.

Il cavo elettrico che ha svelato il bunker

L’operazione è scattata dopo una lunga attività di osservazione. Durante una perlustrazione in un’area rurale, i carabinieri hanno notato un cavo elettrico che si perdeva tra gli alberi. Seguendone il tracciato per centinaia di metri, sono giunti all’ingresso di un capanno apparentemente abbandonato.

Dietro un pannello basculante azionato da un sistema di contrappesi, nascosto alla vista, si celava l’accesso a un bunker sotterraneo. All’interno, i militari hanno trovato una piantagione di marijuana con piante alte tra 70 e 110 centimetri, illuminate e ventilate da un impianto elettrico e di aerazione alimentato da un allaccio abusivo alla rete pubblica.

Una serra illegale tecnologicamente avanzata

La struttura era interamente realizzata abusivamente e dotata di tutto il necessario per garantire la crescita indisturbata delle piante: trasformatori, ventilatori, lampade e sistemi di ventilazione ricreavano le condizioni ottimali di una serra professionale.
Tutto era stato studiato nei minimi dettagli per nascondere l’attività e mantenerla attiva in modo costante, lontano da occhi indiscreti.

L’operazione dei carabinieri di Locri

L’intervento rientra in una più ampia strategia di contrasto al narcotraffico condotta dai carabinieri della Compagnia di Locri, che da tempo intensificano i controlli nelle aree più impervie dell’Aspromonte, spesso utilizzate per la produzione e lo stoccaggio di droga.

In una nota, l’Arma ha sottolineato come “la conoscenza del territorio e l’esperienza operativa dei militari restano un baluardo fondamentale contro l’illegalità”, ribadendo l’impegno quotidiano nel controllo delle zone rurali più isolate della Calabria.

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