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Cultura

La scommessa del professor Turco: trasformare Facebook da veicolo di odio a propulsore di cultura e dibattito

Angelo Turco è geografo africanista, studioso di teoria ed epistemologia della geografia, giá Prorettore ed oggi professore emerito all’Università IULM di Milano. Per Juorno, di cui è editorialista, aveva ideato alcuni mesi fa il corso digitale “Epistemologia della pandemia. Come funziona la mente dei ricercatori che provano a battere il Covid 19”. Oggi presenta un suo progetto editoriale che punta a trasformare Facebook in un luogo di dibattito culturale e non solo come sfogatoio delle peggiori pulsioni umane. Ci racconta tutto in questa intervista.

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Ha scritto un libro insieme ai suoi followers di Facebook.  Angelo Turco, geografo africanista, studioso di teoria ed epistemologia della geografia, giá Prorettore ed oggi professore emerito all’Università IULM di Milano. Per Juorno, di cui è editorialista, aveva ideato alcuni mesi fa il corso digitale “Epistemologia della pandemia. Come funziona la mente dei ricercatori che provano a battere il Covid 19”. Un tentativo di spiegare, nel caos mediatico scatenato dal Covid-19, come il sapere scientifico viene prodotto e poi diffuso presso il grande pubblico. Adesso il professor Turco potrebbe aver inaugurato un nuovo modo di produzione del sapere. “Geografie pubbliche – Le ragioni del territorio in dieci itinerari social” (edito da Com Nuovi Tempi) nasce infatti dal confronto e dall’interazione del docente con la comunità digitale che lo segue su Facebook. Dieci percorsi che beneficiano dei post e dei commenti degli utenti sulla bacheca del professor Turco. Il risultato finale dell’esperimento è un affresco corale, una scommessa vinta, un modo nuovo di usare i social per produrre conoscenza attraverso il confronto fra idee e posizioni diverse.

Professor Turco, come nasce l’idea di questo libro?

L’idea nasce dentro Facebook ed è una scommessa: provare che Facebook possa rappresentare uno strumento intelligente in grado di trasmettere informazioni, riflessioni argomentate, emozioni, sentimenti. Il mio profilo social è partito nel 2019 con 0 amici; agli inizi del 2020 eravamo 1600. Consideri inoltre che io pubblico un post al giorno, che richiede un tempo di lettura di quattro, sei minuti, mentre il livello di attenzione medio degli utenti per un post è di una decina di secondi. Allora significa che il pubblico di Facebook è differenziato: c’è chi è disposto a fare un investimento di tempo e di attenzione di molto superiore alla media. Ho capito quindi che ne valeva la pena. Un numero crescente di persone ha investito quel tempo e pian piano ha dato vita ad una comunità. Ho ritenuto che i contenuti prodotti da questo scambio meritassero di essere diffusi attraverso modalità anche non digitali.

Quali temi sono affrontati nel libro?

Il libro è all’insegna di un concetto che noi studiamo da tempo ma che non avevamo ancora applicato ai social network: la transmedialità, cioè la possibilità di far transitare dei contenuti da un medium ad un altro, in questo caso dal digitale al cartaceo. Questo percorso è già di per sé singolare, perché di solito il transito avviene nella direzione opposta, dai vecchi ai nuovi media, dal cartaceo al digitale. All’insegna dunque di questa transmedialità, abbiamo raccolto alcuni dei temi emersi durante l’anno, che trattano argomenti anche molto diversi fra loro: la geopolitica, le donne, le metamorfosi del capitalismo contemporaneo, il cinema, la Campania, il Sannio, luoghi a cui sono estremamente legato, infine l’Africa, la mia terra d’elezione e la mia vera seconda patria. Il libro non rappresenta un punto d’arrivo, ma piuttosto un punto di partenza per nuove avventure intellettuali.

C’è un filo conduttore che lega i dieci percorsi?

Non c’è un filo conduttore esplicito, ma una competenza digitale tacita, che si sviluppa a partire dall’esperienza su Facebook mia e degli altri utenti. Sono amici reali, in carne ed ossa, anche se non li conosco tutti personalmente. Il nostro è un esperimento nuovo; sono quindi curioso di vedere come andrà sul mercato. L’editore ha creduto nel progetto e generosamente mette il libro in prevendita promozionale a dieci euro, per chi lo ordina online. Una somma alla portata di tutti. Sabbiamo bene che oggi le persone fanno fatica a leggere e ad acquistare libri, ma noi ci abbiamo voluto provare perché pensiamo che questo sia un libro anticonvenzionale ed originale. Un caso unico in Italia, per quel che ne so. Anzi, invito i lettori di Juorno a segnalarmi, se ne hanno notizia, altri esperimenti del genere.

Pensa di aver inaugurato una nuova forma di produzione del sapere?

Penso di sì. In questo libro sono riportati gli scritti degli utenti, i loro post e commenti. Facebook di solito è incline ad ospitare soprattutto figurazioni e simboli; molto degli scambi che avvengono sulla piattaforma sono costituiti infatti da foto, video, emoji, simboli figurativi. Qui, pur trattandosi di un mix scrittura-figurazione, il nucleo della comunicazione è la scrittura. Siamo dentro una pentola fermentante che mi auguro possa avere un futuro.

Si parla tanto dell’uso perverso dei social, che diventano spesso strumenti di istigazione all’odio, veicoli di fake news. Progetti come il suo possono rappresentare l’altra faccia della medaglia, l’uso virtuoso di queste piattaforme?

Assolutamente sì. Uno degli aspetti ideologici fondamentali di questa esperienza risiede nel fatto che noi per portare avanti le nostre posizioni ci affidiamo al ragionamento, alla riflessione documentata ed argomentata, senza negare l’emotività, che però non si traduce mai in quelle gratuite ed aggressive istigazioni all’odio. Una buona educazione allo scambio di comunità può limitare o addirittura eliminarle del tutto. Ci sono, chiaramente, visioni differenti su uno stesso argomento, ma ogni dissenso è ammesso se viene argomentato ed espresso con educazione.

Quali conclusioni trae da un lavoro del genere? È soddisfatto del risultato finale?

Io sono soddisfatto, il libro però non è solo mio ma anche di altre centinaia di persone, per cui prima di pronunciarmi in maniera definitiva vorrei vedere il riscontro degli utenti, capire di che vita vivrà questo libro. Vediamo se Facebook come libro riesce a manifestare una nuova vitalità attraverso l’adesione al progetto di un pubblico significativo. Stiamo sfidando il mercato e contiamo di vincere.

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Il link sottostante  rinvia direttamente allo store dell’Editore. Un Editore illuminato e coraggioso che ha deciso di sostenere questo progetto, mettendolo in vendita promozionale a 10€.
Per quanti volessero comperare il libro, basta cliccare sotto e seguire le normali procedure di un acquisto in rete protetto.

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Cambio al vertice della Scala, arriva Ortombina

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Se ne va Dominique Meyer e arriva Fortunato Ortombina, resta Riccardo Chailly fino al 2026 per poi passare il testimone, anzi la bacchetta, a Daniele Gatti: sulla futura guida della Scala “finalmente è arrivata una decisione”. “Finalmente” è l’aggettivo usato dal sindaco di Milano Giuseppe Sala in apertura della conferenza stampa con cui ha annunciato la scelta come sovrintendente di Ortombina, a conclusione di una vicenda lunga oltre un anno, andata avanti a indiscrezioni, veti, decreti legge e colpi di scena. “Una soluzione eccellente, frutto di una collaborazione istituzionale” ha detto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, con cui inizia “una fase nuova” che segna il ritorno di un sovrintendente italiano dopo tre stranieri. “Abbiamo fatto tutto per il bene della Scala” ha assicurato Sala.

Mantovano, classe 1960, diplomato al Conservatorio di Parma, laureato in Lettere, studioso di musicologia, Ortombina è stato professore d’orchestra e corista del Regio di Parma, la lavorato all’Istituto di Studi Verdiani, e poi in vari teatri italiani prima di approdare proprio alla Scala dove è stato coordinatore artistico dal 2003 al 2007. Dal 2007 è alla Fenice di Venezia inizialmente come direttore artistico e poi dal 2017 anche come sovrintendente. Una duplice carica che probabilmente manterrà anche a Milano. Sulle sue competenze nessuno ha avuto da ridire. Forse l’unica perplessità è che “passerà dal guidare una gondola a un transatlantico”, come ha ironizzato qualcuno nei corridoi. Anche la Cgil ha riconosciuto le sue “capacità” in una nota in cui però esprime “preoccupazione” per la progettualità a lungo periodo del teatro. Ortombina al Piermarini inizierà dal primo settembre il lavoro come sovrintendente designato affiancando nella fase iniziale il sovrintendente in carica Dominique Meyer.

Il mandato del manager francese, ufficialmente partito nel giorno in cui il teatro ha chiuso per covid nel 2020, terminerà il prossimo 28 febbraio. Lui sarebbe voluto rimanere più a lungo perché, come ha detto nel marzo del 2023, dopo aver messo “a posto la Ferrari” avrebbe voluto “guidarla un po’”. Almeno un anno era la proposta uscita dall’ultimo cda. Ma dopo il confronto con il ministro Sangiuliano, alla fine gli è stato proposto di restare quattro mesi in più, fino al 1 agosto quando compirà 70 anni (una scelta, ci ha tenuto a precisare Sala, slegata dal decreto legge che prevede quella come età massima per i sovrintendenti e che per la Scala, in virtù della sua autonomia, non vale).

Meyer ha assicurato che resterà al suo posto fino alla fine del mandato, mentre rifletterà sulla proposta della proroga. Chi rimarrà fino a metà 2026 è il direttore musicale Riccardo Chailly, che inaugurerà le prossime due stagioni (il prossimo 7 dicembre con La Forza del destino e nel 2025 con Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Sostakovic) prima di lasciare il compito nel 2026 a Gatti. Sul suo arrivo c’è già l’accordo anche se formalmente sarà Ortombina a proporre al cda la sua nomina a direttore musicale. E dovrà essere Ortombina anche a proporre la nomina di un direttore generale, figura cancellata da Meyer ma che Sala ha consigliato al futuro sovrintendente di ripristinare. La proposta comunque non sarà fatta a questo cda, in scadenza a febbraio, ma al futuro. E anche sulla nomina dei nuovi consiglieri si giocherà una partita importante. Ma questa è un’altra storia.

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Cultura

Pompei, scoperto salone decorato ispirato alla guerra di Troia

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Un imponente salone da banchetto, dalle eleganti pareti nere, decorate con soggetti mitologici ispirati alla guerra di Troia, e’ uno degli ambienti recentemente portati alla luce durante le attivita’ di scavo in corso nell’insula 10 della Regio IX di Pompei  e oggi completamente visibile in tutta la sua maestosita’. Un ambiente raffinato nel quale intrattenersi in momenti conviviali, tra banchetti e conversazioni, in cui si respirava l’alto tenore di vita testimoniato dall’ampiezza dello spazio, dalla presenza di affreschi e mosaici databili al III stile, dalla qualita’ artistica delle pitture e dalla scelta dei soggetti. Il tema dominante sembra essere quello dell’eroismo, per le raffigurazioni di coppie di eroi e divinita’ della guerra di Troia, ma anche del fato e al tempo stesso della possibilita’, sovente non afferrata, che l’uomo ha di poter cambiare il proprio destino. Oltre a Elena e Paride, indicato in un’iscrizione greca tra le due figure con il suo altro nome “Alexandros”, appare sulle pareti del salone la figura di Cassandra, figlia di Priamo, in coppia con Apollo. Nella mitologia greca Cassandra era conosciuta per il suo dono di preveggenza e per il terribile destino che le impedisce di modificare il futuro. Nonostante la sua capacita’ di vedere oltre il presente, nessuno crede alle sue parole, a causa di una maledizione che Apollo le infligge per non essersi concessa a lui, e dunque non riuscira’ a impedire i tragici eventi della guerra di Troia, che aveva predetto. Dopo essere stata stuprata durante la presa di Troia, finira’ come schiava di Agamennone a Micene. La presenza frequente di figure mitologiche nelle pitture di ambienti di soggiorno e conviviali delle case romane aveva proprio la funzione sociale di intrattenere gli ospiti e i commensali, fornendo spunti di conversazione e riflessione sull’esistenza.

“Lo scavo nella Regio IX, progettato nell’ambito del Grande Progetto Pompei e portato avanti sotto la direzione Zuchtriegel, e’ la dimostrazione di quanto uno scavo ben fatto nella citta’ vesuviana possa continuare ad accrescere la conoscenza di uno dei luoghi piu’ importanti che ci sia pervenuto dall’antichita’. Nuove ed inedite pitture, nuovi dati sull’enorme cantiere che era Pompei al momento dell’eruzione, nuove scoperte sull’economia e sulle forme di produzione. Una messe straordinaria di dati che sta cambiando l’immagine codificata finora della citta’ antica. Un plauso a tutta la squadra interdisciplinare che con passione e professionalita’ sta portando avanti le ricerche”, ha affermato il direttore generale Musei, Massimo Osanna. “Le pareti erano nere per evitare che si vedesse il fumo delle lucerne sui muri. Qui ci si riuniva per banchettare dopo il tramonto, la luce tremolante delle lucerne faceva si’ che le immagini sembrassero muoversi, specie dopo qualche bicchiere di buon vino campano – ha sottolineato il direttore del Parco archeologico du Pompei, Gabriel Zuchtriegel – Le coppie mitiche erano spunti per parlare del passato e della vita, solo apparentemente di carattere meramente amoroso. In realta’, parlano del rapporto tra individuo e destino: Cassandra che puo’ vedere il futuro ma nessuno le crede, Apollo che si schiera con i troiani contro gli invasori greci, ma pur essendo un Dio non riesce ad assicurare la vittoria, Elena e Paride che con il loro amore politicamente scorretto sono la causa della guerra, o forse solo un pretesto, chi sa. Oggi, Elena e Paride siamo tutti noi: ogni giorno possiamo scegliere se curarci solo della nostra vita intima o di indagare come questa nostra vita si intrecci con la grande storia, pensando per esempio, oltre a guerre e politica, all’ambiente, ma anche al clima umano che stiamo creando nella nostra societa’, comunicando con gli altri dal vivo e sui social”.

Il salone misura circa 15 metri di lunghezza per sei di larghezza e si apre in un cortile che sembra essere un disimpegno di servizio, a cielo aperto, con una lunga scala che porta al primo piano, priva di decorazione. Sotto gli archi della scala e’ stato riscontrato un enorme cumulo di materiale di cantiere accantonato. Qualcuno aveva disegnato a carboncino sull’intonaco grezzo delle arcate del grande scalone, due coppie di gladiatori e quello che sembra un enorme fallo stilizzato. L’attivita’ di scavo nell’insula 10 della Regio IX e’ parte di un piu’ ampio progetto di messa in sicurezza del fronte perimetrale tra l’area scavata e non, di miglioramento dell’assetto idrogeologico, finalizzato a rendere la tutela del vasto patrimonio pompeiano (piu’ di 13 mila ambienti in 1070 unita’ abitative, oltre agli spazi pubblici e sacri) piu’ efficace e sostenibile. Lo scavo nell’area finora ha restituito due abitazioni collegate tra di loro, casa con panificio e fullonica (lavanderia), che prospettavano su via Nola e le cui facciate furono gia’ portate alla luce alla fine del ‘800. Alle spalle di queste due case, stanno emergendo in questa fase di scavo sontuosi ambienti di soggiorno affrescati, anche in questo caso interessati al momento dell’eruzione da importanti interventi di ristrutturazione

 

 

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Cronache

Tornano le visite a Bunker di Mussolini a Villa Torlonia

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Sei metri sotto i prati ormai fioriti del parco – sopra la testa quattro metri di cemento armato – trema il pavimento sotto i piedi e suonano le sirene mentre il frastuono delle bombe risuona tra le pareti curve come quelle di un sommergibile. E’ il momento più emozionante della visita al Rifugio Antiaereo e al Bunker di Villa Torlonia, a Roma, che da domani tornano aperti al pubblico. Costruiti per Mussolini, che nella tenuta lungo la via Nomentana prese la residenza nel 1929, finirono per essere usati invece dai cittadini romani per difendersi dai bombardamenti.

A lungo non visitabili, riaprono dopo due anni con un nuovo allestimento che è un viaggio nel sottosuolo della villa, ma anche nei giorni della guerra, quando la Capitale fu devastata da una pioggia di bombe. Nessuna coincidenza tra l’inaugurazione e le crisi internazionali di questi giorni, ha detto il sindaco Roberto Gualtieri: “Non credo che quando il progetto è partito ci fossero le terribili guerre che ci sono oggi – ha commentato nel corso della presentazione alla stampa – Però ricordare le tragedie della guerra è sempre importante, e oggi lo è ancora di più”. La mostra, curata da Federica Pirani e Annapaola Agati, con la collaborazione dell’assessorato capitolino alla Cultura, della Soprintendenza Capitolina e l’organizzazione di Zetema, è un’occasione per fare luce su una delle pagine più buie e drammatiche della città, colpita da 51 bombardamenti aerei tra luglio 1943 e maggio 1944. Il nuovo percorso parte da un video che racconta la vita vissuta nello sfarzo di Villa Torlonia dal dittatore fascista mentre portava l’Italia verso la guerra. Nelle sale successive, grazie ai contributi dell’istituto Luce, rivive il periodo storico dei bombardamenti. Tre sale sono dedicate alla vita nei rifugi con delle proiezioni sincronizzate.

Le due prospettive di chi bombarda e di chi è bombardato convergono in una sala dove sul pavimento sono proiettate le immagini riprese dagli aerei in azione, e sulle pareti Roma in macerie: “Il punto di vista dell’aviatore – ha spiegato la curatrice Pirani – e quello dei romani attoniti che guardano le rovine. Che sono di Roma, ma potrebbero essere quelle di Beirut, o di Jenin”. Poi, attraverso una ripida scala, si scende al bunker vero e proprio, lasciato spoglio da oggetti e proiezioni. In questo spazio è simulata una incursione aerea, attraverso la riproduzione dei suoni: sirene, aerei in avvicinamento, detonazioni, e le vibrazioni del terreno. Risalire su, al verde abbagliante della Villa in primavera, è un sollievo.

“Un luogo impegnativo, era giusto fosse accessibile, è un altro tassello del recupero dei luoghi della storia della città – ha commentato il sindaco Gualtieri – L’allestimento punta non solo a rendere conoscibile ‘filologicamente’ questo luogo ma a conoscere quelle pagine drammatiche della guerra, del fascismo e del suo capo, che è stato deposto e ci ha lasciato questo luogo, e che ha portato l’Italia nella più grande tragedia”. Fino all’orrore delle leggi razziali: “Il contrappasso della memoria vuole – ha ricordato Gualtieri – che a pochi metri da qui, sempre a Villa Torlonia, nascerà il Museo della Shoah, a memoria del più grande crimine che il regime fascista e nazista perpetrarono”. Per il via ai cantieri è solo questione di tempo: “Sono terminati i sondaggi, già c’è stata una aggiudicazione e il governo ha stanziato risorse – ha concluso il sindaco – Appena avremo il cronoprogramma lo comunicheremo”.

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