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Cronache

Procura, Visintin aggredì e soffocò Liliana Resinovich

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Dopo quattro anni, la svolta che si aspettava nella complessa e intricata vicenda di Liliana Resinovich, sembra arrivata: fatta salva l’innocenza di chiunque fino a quando una sentenza non è passata in giudicato, oggi la pm titolare dell’inchiesta, Ilaria Iozzi, accusa Sebastiano Visintin, il marito di Liliana, di aver “aggredito e soffocato Liliana Resinovich”. Non lo fa pubblicamente ma lo scolpisce nella richiesta di incidente probatorio, anticipata dal quotidiano Il Piccolo. E indica anche un luogo e uno spazio temporale: secondo la pubblico ministero, in ossequio alla perizia depositata di recente da Cristina Cattaneo e altri periti, Liliana sarebbe stata uccisa dal marito “nel parco dell’ex ospedale psichiatrico”.

Dove cioè sarebbe stata trovata il 5 dicembre 2022, avvolta in due sacchi di quelli grandi neri utilizzati per i rifiuti solidi urbani. Come recita la perizia, Liliana, piccola e mingherlina, “all’interno del parco dell’ex Opp, in prossimità di via Weiss, all’altezza del civico 21”, avrebbe subito “afferramenti, compressioni, percosse, urti e graffi, tutti indirizzati in diverse sedi del capo, alla mano destra, al torace ed agli arti”. Gesti e azioni che ne cagionavano “la morte avvenuta mediante soffocazione esterna diretta (asfissia meccanica esterna), quale conseguenza di afferramento e compressione del volto della vittima”.

E come sostiene la perizia, tutto questo sarebbe avvenuto il 14 dicembre 2021″, vale a dire il giorno della sua scomparsa. L’incidente probatorio è stato richiesto in ordine all’assunzione della testimonianza di Claudio Sterpin, l’amico di Liliana con il quale sembra lei dovesse andare a convivere. La richiesta di incidente probatorio, precisa Il Piccolo, è stata depositata il 21 maggio scorso alla gip del Tribunale di Trieste Flavia Mangiante.

La convinzione della pm è diametralmente opposta alle conclusioni cui era giunta la Procura in precedenza, quando cioè era avvalorata la tesi del suicidio, sebbene molti elementi sembrassero strani. Come ad esempio le modalità della morte: Liliana fu trovata con la testa avvolta in due sacchetti di quelli trasparenti utilizzati per gli alimenti fissati con un cordino alla gola. E il corpo all’interno dei due sacchi per i rifiuti. Di recente Sergio Resinovich, suo fratello, è tornato più volte a chiedere che l’inchiesta venisse approfondita, come aveva fatto fin dall’inizio. Non si esclude che, dopo molti esami di vario tipo eseguiti, oggi la pm sia in possesso di elementi nuovi oppure abbia fatto una valutazione diversa di fattori già conosciuti.

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Cronache

La piccola orsa trovata in Molise ha completato lo svezzamento

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L’orsetta Nina, trovata a maggio da sola nei pressi di Pizzone (Isernia) è stata trasferita in un ambiente più simile alle condizioni naturali in cui dovrà vivere una volta libera. Lo ha reso noto il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con un post sui canali social. “Nina era stata trovata nei pressi di Pizzone (Isernia) all’inizio di maggio – si legge nel post – allevata con l’obiettivo di essere reintrodotta in natura non appena le condizioni lo permetteranno. Sabato scorso, i tecnici del Parco, biologi e veterinari, hanno provveduto a trasferire Nina in una nuova struttura.

L’orsetta ha completato con successo lo svezzamento, seguendo il protocollo sviluppato con il supporto di esperti internazionali, sia europei sia nordamericani. Ora può vivere in un ambiente più adatto alle sue esigenze attuali, molto più simile a ciò che incontrerà una volta tornata libera. Si tratta di un ampio recinto immerso nella natura, dove potrà continuare a crescere e prendere peso”. Nel post si ricorda anche che il nome dato all’orsetta “è stato selezionato dopo il concorso lanciato in occasione della seconda edizione della giornata dedicata all’orsa Amarena. Abbiamo deciso di accogliere la proposta degli studenti dell’Istituto Comprensivo “Gesuè” di San Felice a Cancello (Caserta), che hanno suggerito proprio il nome Nina”.

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Cronache

Omicidio Giulia Tramontano, legali di Impagnatiello: nessun agguato, fu un errore dettato dal narcisismo

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Non un agguato pianificato, ma un delitto “maldestro”, frutto di “errori” e di una personalità narcisistica incapace di sopportare il crollo della propria immagine. È questa la linea della difesa di Alessandro Impagnatiello, l’ex barista dell’Armani Café condannato all’ergastolo per l’omicidio della compagna Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, assassinata a Senago il 27 maggio 2023.

Mercoledì si apre il processo d’appello davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Milano. L’avvocata Giulia Geradini, che difende l’imputato, chiederà di riformare la sentenza di primo grado, sostenendo che l’omicidio non fu premeditato ma la conseguenza tragica di una relazione doppia che Impagnatiello “avrebbe voluto interrompere”, ma che non è riuscito a gestire, sopraffatto dalla necessità di preservare un’immagine pubblica costruita con cura.

Le richieste della difesa: escludere le aggravanti

La difesa punta a escludere le aggravanti della premeditazione e della crudeltà, non riconosciute dal gip Angela Laura Minerva già nella convalida del fermo, e chiederà il riconoscimento delle attenuanti generiche. Se accolte, queste richieste potrebbero ridurre la condanna a 30 anni.

Secondo l’avvocata, non ci sarebbe “alcuna prova” di un omicidio studiato nei dettagli: la dinamica sarebbe invece “grossolana e maldestra”, come dimostrerebbe il modo in cui Impagnatiello ha cercato di disfarsi del cadavere — bruciandolo con alcol e benzina — e di simulare la scomparsa della 29enne per quattro giorni, spostandone il corpo tra il box, la cantina e l’auto prima di abbandonarlo in un’intercapedine.

L’accusa: 37 coltellate e un corpo dato alle fiamme

La ricostruzione fatta dalla Corte in primo grado parla di 37 coltellate inferte tra le 19.05 e le 19.30 del 27 maggio. Un gesto di violenza estrema, seguito dal tentativo di cancellare ogni traccia, mentre il corpo della giovane, scopertasi poco prima tradita da una collega del compagno, veniva occultato per giorni.

A sostenere l’accusa in aula sarà la sostituta procuratrice generale Maria Pia Gualtieri, che si opporrà alla richiesta della difesa e chiederà la conferma dell’ergastolo.

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Cronache

Attentati a commissariato e caserma CC per vendetta, un arresto

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Arrestato il presunto autore degli attentati incendiari avvenuti a febbraio scorso nelle sedi della compagnia carabinieri di Castel Gandolfo e del commissariato di polizia di Albano Laziale, vicino Roma. I carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Frascati, del ROS, e gli agenti della Digos di Roma hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Velletri su richiesta della Procura, nei confronti di un 34enne di origine egiziana, regolare sul territorio nazionale e con precedenti di polizia. E’ accusato di strage politica, ovvero commessa allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato. Il movente sarebbe legato a un rancore profondo e persistente nei confronti delle forze dell’ordine locali, maturato nell’ambito di vicende personali.

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