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La paranza dei bambini di Gomorra che terrorizzava i luoghi della movida: 14 baby criminali presi. Accade a Milano

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Si muovevano in branco nelle notti dell’Arco della Pace, uno dei luoghi della movida di Milano, puntavano la vittima piu’ indifesa e colpivano con una violenza gratuita e ingiustificata. Gip e investigatori ripetono in piu’ occasioni la parola “branco” descrivendo la Babygang del centro, come a rimarcare una dinamica di gruppo bestiale, in cui non c’e’ singolo ma un unico corpo che agisce compatto. Undici maschi e tre femmine, ruoli diversi ma tutti feroci allo stesso modo, in una struttura orizzontale senza capi. Sono undici gli episodi contestati nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere destinata a nove minorenni (otto in cella e uno in comunita’) e nel fermo per cinque maggiorenni, entrambi provvedimenti eseguiti stamattina dai carabinieri del comando provinciale di Milano. L’indagine coordinata dalla procura dei Minorenni di Milano, e svolta dai militari della stazione di Porta Sempione, e’ partita nel febbraio scorso ed e’ stata chiamata “Paranza” in riferimento alla violenza degli adolescenti descritta nel libro di Roberto Saviano “La paranza dei bambini”.

Del resto il modello dei giovani criminali milanesi era fatto di pistole, soldi e odio per le divise. Un immaginario da “Gomorra” che si ripete sui profili social dei ragazzi, alcuni dei quali compaiono nel video di due giovanissimi trapper locali circondati da adolescenti tra i palazzi popolari del quartiere Barona. Mostrano pistole, coltelli e cani ringhiosi imitando i video girati nella periferia napoletana come Scampia. In molti hanno precedenti anche gravi tra cui furto, rapina, lesioni, scippo aggravato dall’odio razziale. “Nonostante l’eta’ – si legge nel provvedimento firmato da Marilena Chessa – si sono dimostrati capaci di agire con un’efferatezza sprezzante di ogni legalita’ e di qualsiasi rispetto per le vittime” nei cui confronti si sono comportati “con una tale violenza da denotare grande pericolosita’ sociale”. Il comandante del reparto operativo dei carabinieri, Luigi Manzini, ha sottolineato che “non c’e’ un allarme Baby gang”, facendo riferimento agli arresti di ieri dei rapinatori minorenni che agivano nella zona di Abbiategrasso.

Eppure il giudice ricalca le osservazioni della procura e indica “il grave allarme sociale” a Milano per la Baby gang. Oltre a parlare di “fatti molto gravi”, evidenzia il modus operandi: “L’uso anche di armi – per esempio a spranghe o bottiglie – la scelta delle persone offese (normalmente adolescenti), il luogo, la distanza ravvicinata tra le rapine, l’agire in branco secondo un metodo prestabilito”. Il gruppo avvicinava le vittime prescelte “con un pretesto”, spesso erano le ragazze a fare il primo passo chiedendo una sigaretta al malcapitato. Lo racconta una 19enne aggredita il 9 aprile: “Improvvisamente una di queste due si avventa verso di me per colpirmi con uno schiaffo ma riesco ad evitare e reagisco con uno spray al peperoncino che avevo nella mia tasca. Riesco a fermare una delle due ragazze, a questo punto con tutto il nostro gruppo cercavamo di allontanarci verso l’uscita della piazza ma le ragazze, che nel frattempo si riprendevano, insieme ai propri amici ci raggiungevano e conseguentemente avveniva una rissa dove io venivo colpita piu’ volte da quattro di queste ragazze che mi buttavano a terra e mi causavano una prognosi di sette giorni”.

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L’ipnosi in sala operatoria per due anziane a Torino

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L’ipnosi in sala operatoria si consolida come una risorsa in più per combattere il dolore in sala operatoria. Per la prima volta a Torino, all’ospedale delle Molinette, due donne in età avanzata (75 anni e 79 anni) sono state sottoposte a un intervento in ipoanestesia, una pratica che alla Città della Salute definiscono “l’ultima frontiera degli approcci destinati a garantire ai pazienti un trauma chirurgico sempre minore”. L’ipoanestesia, che ha già preso piede in numerosi Paesi europei per operazioni di chirurgia complessa, è considerata una valida alternativa all’anestesia generale: non pretende un carico pesante di farmaci invasivi, modula la percezione del dolore e, soprattutto, allontana la percezione del bisturi, riducendo lo stress emotivo. Effetti che, a quanto pare, si riverberano anche sul recupero post operatorio, più rapido ed efficace, con conseguente riduzione dei tempi di ricovero.

Nel caso delle due pazienti torinesi si è trattato di abbinare l’ipnosi all’anestesia locale per poi procedere, tramite delle ‘tradizionali’ incisioni al collo di minima entità (2,5-3 cm), all’asportazione di tumori benigni delle paratiroidi. L’intervento ha richiesto la composizione di un’equipe composta da specialisti di varie discipline: Maurizio Bossotti (responsabile della Chirurgia tiroidea-paratiroidea del Dipartimento di Chirurgia Generale e Specialistica della Città della Salute di Torino, diretto dal professor Mario Morino) è stato affiancato da Pietro Soardo e Valentina Palazzo, specializzanda in Chirurgia Generale ed ipnologa, e dagli anestesisti del gruppo di Roberto Balagna.

In Italia il ricorso all’ipnosi clinica è una realtà da diverso tempo e in diversi ambiti. Nel 2020 l’ospedale San Paolo, a Savona, se ne servì a scopo analgesico su un uomo sottoposto a un intervento al cuore, mentre nel 2022 fu il San Michele di Cagliari ad impiegarla nel corso di un trapianto di fegato: il paziente, dopo una serie di incontri preparatori, venne ‘risvegliato’ in stato di ipnosi in sala operatoria anziché in rianimazione, cosa che scongiurò una quantità di complicazioni. Nel 2023, ad Ancona, un tumore cerebrale fu asportato con procedura awake: il paziente, sveglio e cosciente, indossò un visore che lo inondò di immagini e musiche capaci di ridurre l’ansia pre e post operatoria. La sedazione digitale è stata utilizzata al ‘Ferrari’ di Castrovillari (Cosenza) per coronarografie e impianti di peacemaker.

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Abusi su 13enne, spedizione punitiva amici contro l’ex

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Non si è ribellata quando lui le ha imposto un rapporto sessuale perché “avevo paura che lui mi lasciasse”. Protagonista di questa brutta storia che arriva da Genova una ragazzina di 13 anni che ha raccontato di esser stata obbligata ad avere rapporti con il suo fidanzato del tempo, di due anni più grande, nella sua casa quando i genitori non c’erano. Una storia che durava da qualche mese e che è stata scoperta dalla polizia intervenuta per la chiamata al 112 dell’ex fidanzatino della vittima, accerchiato dagli amici della ragazzina intenzionati a portare a termine una vera e propria spedizione punitiva. Tutto nasce un pomeriggio di qualche tempo fa quando la ragazzina va a casa del fidanzatino che ha, appunto, 15 anni.

I genitori di lui non ci sono e avvengono gli abusi. Lei non lo lascia perché ha paura che lui l’abbandoni poi l’infatuazione è finita e lei racconta tutto ai suoi amici. Amici che, dopo essersi radunati, in tutto una decina di ragazzi tra i 13 e i 16 anni, imbastiscono una specie di spedizione punitiva a casa dell’ex. Quel giorno il 15enne è solo nell’appartamento al primo piano del condominio in cui abita con i genitori.

Quando arrivano gli amici della ragazzina iniziano a dare pugni contro le sue finestre e uno cerca addirittura di entrare in casa. Il ragazzo si spaventa, prende un coltello da cucina e poi chiama il 112. Quando la polizia interviene ci vuole un po’ per capire cosa stesse succedendo e che cosa aveva portato a quella reazione esasperata di un gruppo di giovanissimi. I ragazzini amici della vittima vengono tutti identificati e accompagnati negli uffici della polizia: ovviamente ciascuno racconta quello che sa e quello che invece gli è stato solo riferito ma sarà la ragazzina di 13 anni a dover raccontare il retroscena.

Tra l’altro, la vittima aggiunge che aveva tentato di parlarne a casa con i genitori ma che aveva avuto scarso successo. Genitori che, convocati e sentiti dalla polizia, affermano: “Ci aveva accennato qualcosa, ma pensavano fossero questioni tra ragazzi”. Tutta la vicenda adesso è sottoposta a indagini della procura presso il tribunale dei Minori, Un fascicolo in cui un quindicenne è accusato di violenza sessuale aggravata. E negli ultimi giorni la vittima è stata sentita durante un incidente probatorio, fornendo – secondo quanto appreso – ‘significative conferme’.

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Arcivescovo Napoli ad amministratori: bisogna fare di più

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La Costituzione “ci obbliga ad adempiere le nostre funzioni “con onore e disciplina” e l’onore non può che essere quello del “dovere della verità e dell’impegno per la giustizia” non solo formale ma anche sostanziale. In un territorio che, pur cercando faticosamente di adottare “un diverso paradigma”, soffre ancora di tante diseguaglianze e in tante periferie umane e sociali si attendono opportunità civili e dignitose, chi ha responsabilità pubblica ha il dovere di fare di più e bandire ipocrisie e luoghi comuni. Ancora troppa ricchezza mal distribuita, ancora troppo lavoro nero, ancora la prepotenza della criminalità organizzata, sirena per chi, con scarse opportunità, in particolare i giovani, anela al cambiamento del proprio status sociale, cerca scorciatoie”. Lo ricorda nella lettera ai fedeli della diocesi partenopea per l’Avvento 2024 l’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, che nel prossimo concistoro del 7 dicembre sarà creato Cardinale.

“A noi, il Cristo che viene, ci chiede quel gesto di amore di cui parlò Paolo Borsellino, nella chiesa di Sant’Ernesto, a Palermo il 23 giugno 1992, in occasione del trigesimo della strage di Capaci, ricordando Falcone “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione…. Per amore!” E tali parole richiamano alla mente l’attualità del documento diffuso proprio a Natale dell’anno precedente, il 1991, in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana da don Peppino Diana e dai parroci della forania di Casal di Principe, per spingere a prendere coscienza del problema mafioso, ‘Per Amore del mio popolo'”, prosegue ancora l’arcivescovo di Napoli.

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