E’ già cominciata la fase discendente del Presidente ucraino? E quanto è ripida? Da alcune settimane le indicazioni ci dicono che sì, la parabola di V. Zelensky è entrata in una sua fase calante. Intanto perché, come si è visto dal rapporto sui social di NewsWhip (Axios) pubblicato nei primi di giugno, le interazioni nei social media (like, commenti, condivisioni) concernenti gli articoli pubblicati sull’Ucraina sono cadute drasticamente. Passando nel periodo 24/2-31/5 (2022) da 109 milioni per settimana a 4.8 milioni. I video pubblicati su Istagram passano da 19 milioni a 345.000. Dal suo canto, la copertura mediatica della guerra on line è passata dai 520.000 articoli della prima settimana ai 70.000 delle più recenti. Del resto, il programma quotidiano di approfondimento di E. Mentana ha chiuso i battenti al centesimo giorno di guerra: “Ci sono molte altre cose che accadono…”. Sul suo giornale online, “Open”, le 10 notizie più lette non riguardano la guerra. Del resto, tra aprile e maggio -quando il cuore di tutti sembrava battesse per Mariupol- l’interesse per la guerra è stato -per ben 6 settimane- 6 volte inferiore alla vicenda Depp-Heard, secondo NewsWhip. Cioè: su 7 persone in cerca di “news”, una le trovava in Ucraina e sei andavano a cercarsele da qualche altra parte, trovandole, se possiamo dire, nelle “petites histoires” di una coppia di Hollywood.

Ma proseguiamo. La Francia pone questioni a raffica: sulla “comunità politica europea”, ad esempio, che Kiev legge in chiave anti-ucraina per quel che riguarda l’adesione all’UE. La quale adesione, sembra a Parigi, non ha bisogno di accelerazioni, ma di approfondite analisi dei dossier e meditate valutazioni di cosa può succedere all’UE sul piano politico, in caso di adesione di questo o quel nuovo Paese: Ucraina compresa. Una posizione ben diversa da quella di U. von der Leyen, Presidente della Commissione, che ha fatto, anche nel suo viaggio a Kiev dei giorni scorsi, le promesse di “strada aperta” all’adesione che Zelensky voleva sentirsi fare.
Ma E. Macron, primo in Europa sulla scia dell’eredità politica di A. Merkel, afferma anche che “bisogna non (continuare a) umiliare Putin”. Provocando un’alzata di scudi in Ucraina ove si dice in sostanza che con questa pretesa di “non umiliare Putin”, l’Europa umilia se stessa.

Punti di vista, si capisce. E nondimeno si misura qui tutta la distanza delle culture politiche che si confrontano su questa crisi al fine di gestirla e, sperabilmente, di risolverla. Vi è, da un lato, la cultura politica negoziale, che è espressa dai principali Stati dell’Unione, anche se non sembra appartenere alle istituzioni di Bruxelles, dove U. von del Leyen e C. Michel sembrano fare a gara per esprimere il loro allineamento sulle posizioni di Kiev e del “fronte Biden”, vale a dire gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la NATO. Vi è, dall’altro lato, la cultura politica conflittuale che Kiev esprime con due parole d’ordine che rimbombano da mesi nel mondo, grazie alla “televisione cerimoniale” di Zelensky: “più armi all’Ucraina” e “più sanzioni contro la Russia”.
Resta inteso che non c’è solo la Francia, in Europa, a sviluppare una posizione riflessiva nei confronti dell’Ucraina. C’è anche, da sempre e ben più critica, l’Ungheria. La quale interpreta i suoi interessi nazionali in modo sostanzialmente autonomo dalle politiche dell’Unione, sia per quanto riguarda la geopolitica interna che quella esterna. Come dimostra la posizione di Orban in occasione del vertice straordinario di Bruxelles del 30 e 31 maggio scorsi. Una posizione ondivaga certamente e condita di dichiarazioni di fedeltà all’Unione, che però si è concretamente tradotta nel duplice appoggio alla Russia sulle sanzioni energetiche e su quelle comminate ad personam al Patriarca ortodosso moscovita Kirill.

Ma certamente il segnale più inquietante, per Zelensky e per tutti noi, viene dalle dichiarazioni rese da Biden a Los Angeles la scorsa settimana. Abbiamo analizzato la questione ieri, su questo giornale (https://www.juorno.it/putin-biden-zelensky-il-triangolo-della-paura/) e non ci torniamo. Ma è di una gravità estrema sentir dire a Biden che gli USA sapevano che l’invasione russa era imminente, che avevano avvisato Kiev di quel che si preparava in Russia, ma che, nondimeno, Zelensky “non aveva ascoltato”. Gli ucraini rispondono che no, sono stati “i nostri partner” (gli USA? l’UE?) che non hanno saputo ascoltare Kiev: la quale chiedeva, poco felicemente, delle “sanzioni preventive” contro la Russia.
Temo che quest’ultima vicenda indichi una certa accentuazione della discesa della parabola di Zelensky. C’è da augurarsi, pertanto, che non sentiremo più il disco rotto “più armi, più sanzioni” con cui si è espressa fino ad oggi la cultura conflittuale dell’Ucraina. E che cominceremo a sentire, invece, qualche proposta kievana di soluzione politica della crisi, mettendo in campo una cultura negoziale che, per ora, il Pese ha mostrato di non avere.

Insomma, il potenziale d’aiuto emotivo e politico all’Ucraina, sacrosanto, si converta alla pace. Decisamente. Appoggi senza riserva alcuna il negoziato, anche in termini di elaborazione di una piattaforma che potrebbe ben partire dal Piano di Pace presentato dall’Italia all’ONU il mese scorso, prima che se ne perdano definitivamente le tracce.
E senza dimenticare il generoso apporto economico-finanziario e tecnologico dell’Occidente a sostegno:
- prima di tutto, dei milioni di profughi – in grandissima maggioranza donne e bambini- che questa sciagurata guerra ha generato, e che devono rientrare rapidamente in una loro vita normale;
- quindi della ricostruzione fisica del territorio: case, strade e ferrovie, ospedali e scuole, fabbriche e porti che la guerra ha ridotto in macerie;
- infine, del rafforzamento delle istituzioni democratiche. E ciò a presidio di un riflessivo ingresso senza scorciatoie dell’Ucraina nell’UE. Come pure, se un problema del genere veramente esiste, a presidio dell’unica denazificazione possibile –politica e giuridica- prima che a qualcuno venga in mente di portare, dovunque sia, la democrazia e l’antifascismo a suon di bombe. Come si vede tra le cause del conflitto russo-ucraino e come fin troppo spesso è successo in questi trent’anni che ci separano dalla caduta del muro di Berlino.
