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Cultura

La Pandemia del III millennio e l’opportunità per un esperimento psicopolitico: come passare da #iostoacasa a #ioescodacasa

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Una premessa: queste poche righe vogliono essere una semplice, sicuramente opinabile riflessione sulla psicologia della comunicazione. Chiedo in partenza perdono per eventuali indelicatezze per chi “saluta i propri cari prima del dovuto per il Covid 19”, o Sars 2, per usare le parole di un politico ex europeo. È l’incubo globale del 2020, un anno che trasformerà il nostro inconscio collettivo. Ciò, però, già era accaduto più volte nella storia, e l’arte aveva immaginato scenari analoghi.

Gli artisti ispirano la realtà, o la anticipano: un cervello libero registra informazioni, per poi connettere spunti non facilmente visibili agli altri. Per essere brevi, e vicini nel tempo, Jung “sognava” il secondo conflitto mondiale, i pittori disegnavano il disastro, Orwell e Dick prefiguravano un futuro controllo sociale legato alla tecnologia, tanta cinematografia hollywoodiana prevedeva epidemie, catastrofi climatiche.

Gli artisti su cui vorrei qui soffermarmi sono due, perché hanno sperimentato la psicologia delle folle, rappresentandola: Orson Welles e William Golding, con la trasmissione radiofonica “La Guerra dei Mondi” il primo, con il romanzo “il Signore delle Mosche” il secondo.

Una riuscita prova sulla capacità dei media di influenzare la psiche, quella della Guerra dei Mondi, una grande, forse terribile prova sul controllo sociale “Lord of the Flies”.

Partiamo con ordine, prima di arrivare al nostro 2020, quello che in tanti vedevano come l’anno del cambiamento, al centro delle agende di tanti paesi e delle Nazioni Unite, a 10 anni data dall’agenda 2030 dei Sustainable Development Goals, al centro dell’attenzione politica per le votazioni in un buon 30 percento del pianeta.

Partiamo con ordine, dicevo sopra: corre il 1938, due anni al conflitto mondiale, quando il ventitreenne regista statunitense mette in scena una simulazione di un attacco extraterrestre al Pianeta Terra, con un adattamento sulla radio CBS del romanzo pubblicato mezzo secolo prima da Wells. Non si trattava di una prova psicologica, ma di una semplice lettura dell’opera all’interno di una trasmissione settimanale sui romanzi celebri.

È il risultato che ci interessa: “sei minuti dopo che eravamo andati in onda le case si svuotavano e le chiese si riempivano; da Nashville a Minneapolis la gente alzava invocazioni e si lacerava gli abiti per strada. Cominciammo a renderci conto, mentre stavamo distruggendo il New Jersey, che avevamo sottovalutato l’estensione della vena di follia della nostra America” dichiarava Welles, in una successiva pubblicazione.

Sarà un caso che il suo primo film, considerato tra i più grandi nella storia del cinema, viene prodotto proprio in seguito a quel successo, e la vicenda narrata del magnate dell’editoria viene intitolata “Quarto Potere” nella versione italiana?

La definizione della stampa come “quarto potere” risale, addirittura, all’Inghilterra di fine settecento, per arrivare a quella di “fabbrica del consenso”, con l’avvento della televisione. Costruire un messaggio a partire dalle due emozioni primordiali, la paura e il desiderio, consente di guidare le opinioni e, conseguentemente, le scelte del pubblico; queste sono banalità per chiunque, nella società dell’informazione attuale. Ma, penserà qualcuno, come usare la fabbrica del consenso nella “società della disinformazione” alimentata dal digitale e, in futuro, manovrabile con le intelligenze artificiali? Sì, perché oggi ognuno è un medium, e il quarto potere non è più inevitabilmente diretto dall’alto, ma potrebbe essere influenzato dalla voce dei tanti.

E’ qui che viene in aiuto il Signore delle Mosche: la prova provata di come messaggi precisi per trovare una soluzione in gruppo muovano i gruppi verso la radicalizzazione. Una breve premessa: l’opera è il frutto di sperimentazioni su classi di studenti di un docente di scuola primaria che, proprio durante la Seconda Guerra, prova a dividere i bambini in due schieramenti, lasciandoli con il compito di prendere una decisione importante, per ritrovarli inevitabilmente in lotta tra loro.

Auschwitz, Polonia. Filo spinato del campo di sterminio di Birkenau (ph Mario Laporta)

Il romanzo che ne deriva, oltre a fruttare il Premio Nobel all’insegnante, divenuto poi scrittore di fama, è alla base di tanti test psicologici successivi, che dimostrano come il senso di appartenenza, preesistente o indotto, porti gli uomini a irrazionali scelte di difesa di quelle che divengono proprie idee, anche se non di interesse prima dell’esperimento.

E se i media tradizionali, che oggi sono anche digitali, creassero il messaggio centrale, magari agendo sull’emozione più facile da indurre, quella della paura, collegandola all’istinto di conservazione? Come nella Guerra dei Mondi, proponiamo lo spauracchio della fine del mondo.

Ma c’è una possibilità: armarsi per lottare contro l’invasore.

Dare armi, o risvegliare le coscienze in tal senso, può essere un rischio per la stabilità sociale. Che accadrebbe, però, se agire fosse divenire inattivi, fermarsi, stare in attesa in poltrona? Diamo il compito da svolgere alle classi: state a casa, perché là fuori è pericoloso.

Gli audaci, però, sceglierebbero di uscire. Ma ci sarà qualcosa a cui tutti tengono, nella cultura italiana? Mammà e papà: tocca loro, e trasformiamo il popolo in un esercito. Pericolo scampato, non avremo un esercito contro, ma a nostro favore: chi esce mette a rischio mamma e papà, uccide i nonni. Creiamo il meme, il ritornello che allinei tutti: #iostoacasa

Hai capito? Non sono loro a obbligarmi, sono io a scegliere. È bello, riscopro i valori, recupero il tempo; a sistemare il mio portafogli e il lavoro ci penserà lo Stato: è un’occasione.

E se volessi uscire, se avessi un’opinione contraria? Ci sarebbero gli altri a biasimarmi: il controllo sociale sarà il miglior deterrente.

Ascoltare attentamente il messaggio di due grandi artisti, la cui ispirazione risale al periodo della Seconda Guerra, per spiegare la psicologia di una nazione intera durante un terzo conflitto mondiale.

Torniamo, così, al 2020, quell’anno che tutti aspettavamo per cambiare le abitudini, creare le basi per uno sviluppo veramente sostenibile, entrare in un’era di nuova giustizia sociale. Papa Francesco aveva organizzato un grande dialogo su nuovi modelli per l’economia, in quella Assisi del Santo da cui prende il nome pontificale, e un Global Compact per l’educazione, perché le future generazioni avessero una coscienza di ecologia integrale; quella definizione di Global Compact delle Nazioni Unite che raccoglie da 20 anni, anniversario nel 2020, quasi ventimila imprese per il rispetto “dei diritti umani e del lavoro, della salvaguardia dell’ambiente e della lotta alla corruzione”. A 10 anni dall’agenda 2030, con una significatività simbolica della data e dei numeri che la compongono, si celebra il cinquantesimo del più grande movimento civile della storia dell’uomo, che accadde nel 1970 proprio in nome del pianeta terra: l’Earth Day, con 20 milioni di manifestanti a chiedere una nuova giustizia ambientale negli Stati Uniti d’America. Oggi sono Greta e i Fridays for Future, le generazioni del futuro, che manifestano per risvegliare le coscienze collettive verso una soluzione all’emergenza climatica.

Questo stesso anno si apre con un attacco statunitense all’Iran, conseguenti sconvolgimenti in un’area già traviata, con rivolte che si acutizzano a tutte le latitudini, un incendio in Australia che dura, in realtà, dal giugno 2019, ma di cui il quarto potere dei media dà risalto proprio a ridosso del periodo natalizio. Una stima di un miliardo di animali morti, con emissioni che aumentano l’effetto serra, quel fenomeno che ora è chiamato “climate change”, sino a determinare, sulla scia di un fenomeno che si è innescato da anni, un “vicino” Polo Sud che tocca temperature di 20 gradi. Scioglimento dei ghiacci,  piogge insolite sui deserti del continente africano che ne conseguono, creando un habitat ideale per la sovra-riproduzione di locuste, con conseguenti carestie degne dell’Apocalisse.

Avrebbe dovuto essere un anno di cambiamenti, ma nessuno avrebbe mai immaginato tanto; in questo scenario internazionale si accende, nel centro nevralgico della fabbrica del mondo, Wuhan, un’epidemia legata a un virus, che diviene pandemia globale a marzo.

Nulla quaestio sulla tragedia originata dal Corona Virus Disease 2019; una piccola riflessione, però, si dovrebbe aprire sull’occasione che un disastro può offrire per influenzare le scelte e indirizzare la geopolitica internazionale, da un lato, le scelte interne, dall’altro: la psicopolitica del III millennio.

Laddove l’emergenza climatica non è sufficiente, quando le morti per guerra e per carestie ci sono distanti, la paura per noi e per i nostri cari ha funzionato, creando enormi prigioni domiciliari al mondo, mentre merci e denaro continuano a circolare liberamente.

Quando potremo dire #ioescodicasa?

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Cambio al vertice della Scala, arriva Ortombina

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Se ne va Dominique Meyer e arriva Fortunato Ortombina, resta Riccardo Chailly fino al 2026 per poi passare il testimone, anzi la bacchetta, a Daniele Gatti: sulla futura guida della Scala “finalmente è arrivata una decisione”. “Finalmente” è l’aggettivo usato dal sindaco di Milano Giuseppe Sala in apertura della conferenza stampa con cui ha annunciato la scelta come sovrintendente di Ortombina, a conclusione di una vicenda lunga oltre un anno, andata avanti a indiscrezioni, veti, decreti legge e colpi di scena. “Una soluzione eccellente, frutto di una collaborazione istituzionale” ha detto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, con cui inizia “una fase nuova” che segna il ritorno di un sovrintendente italiano dopo tre stranieri. “Abbiamo fatto tutto per il bene della Scala” ha assicurato Sala.

Mantovano, classe 1960, diplomato al Conservatorio di Parma, laureato in Lettere, studioso di musicologia, Ortombina è stato professore d’orchestra e corista del Regio di Parma, la lavorato all’Istituto di Studi Verdiani, e poi in vari teatri italiani prima di approdare proprio alla Scala dove è stato coordinatore artistico dal 2003 al 2007. Dal 2007 è alla Fenice di Venezia inizialmente come direttore artistico e poi dal 2017 anche come sovrintendente. Una duplice carica che probabilmente manterrà anche a Milano. Sulle sue competenze nessuno ha avuto da ridire. Forse l’unica perplessità è che “passerà dal guidare una gondola a un transatlantico”, come ha ironizzato qualcuno nei corridoi. Anche la Cgil ha riconosciuto le sue “capacità” in una nota in cui però esprime “preoccupazione” per la progettualità a lungo periodo del teatro. Ortombina al Piermarini inizierà dal primo settembre il lavoro come sovrintendente designato affiancando nella fase iniziale il sovrintendente in carica Dominique Meyer.

Il mandato del manager francese, ufficialmente partito nel giorno in cui il teatro ha chiuso per covid nel 2020, terminerà il prossimo 28 febbraio. Lui sarebbe voluto rimanere più a lungo perché, come ha detto nel marzo del 2023, dopo aver messo “a posto la Ferrari” avrebbe voluto “guidarla un po’”. Almeno un anno era la proposta uscita dall’ultimo cda. Ma dopo il confronto con il ministro Sangiuliano, alla fine gli è stato proposto di restare quattro mesi in più, fino al 1 agosto quando compirà 70 anni (una scelta, ci ha tenuto a precisare Sala, slegata dal decreto legge che prevede quella come età massima per i sovrintendenti e che per la Scala, in virtù della sua autonomia, non vale).

Meyer ha assicurato che resterà al suo posto fino alla fine del mandato, mentre rifletterà sulla proposta della proroga. Chi rimarrà fino a metà 2026 è il direttore musicale Riccardo Chailly, che inaugurerà le prossime due stagioni (il prossimo 7 dicembre con La Forza del destino e nel 2025 con Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Sostakovic) prima di lasciare il compito nel 2026 a Gatti. Sul suo arrivo c’è già l’accordo anche se formalmente sarà Ortombina a proporre al cda la sua nomina a direttore musicale. E dovrà essere Ortombina anche a proporre la nomina di un direttore generale, figura cancellata da Meyer ma che Sala ha consigliato al futuro sovrintendente di ripristinare. La proposta comunque non sarà fatta a questo cda, in scadenza a febbraio, ma al futuro. E anche sulla nomina dei nuovi consiglieri si giocherà una partita importante. Ma questa è un’altra storia.

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Pompei, scoperto salone decorato ispirato alla guerra di Troia

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Un imponente salone da banchetto, dalle eleganti pareti nere, decorate con soggetti mitologici ispirati alla guerra di Troia, e’ uno degli ambienti recentemente portati alla luce durante le attivita’ di scavo in corso nell’insula 10 della Regio IX di Pompei  e oggi completamente visibile in tutta la sua maestosita’. Un ambiente raffinato nel quale intrattenersi in momenti conviviali, tra banchetti e conversazioni, in cui si respirava l’alto tenore di vita testimoniato dall’ampiezza dello spazio, dalla presenza di affreschi e mosaici databili al III stile, dalla qualita’ artistica delle pitture e dalla scelta dei soggetti. Il tema dominante sembra essere quello dell’eroismo, per le raffigurazioni di coppie di eroi e divinita’ della guerra di Troia, ma anche del fato e al tempo stesso della possibilita’, sovente non afferrata, che l’uomo ha di poter cambiare il proprio destino. Oltre a Elena e Paride, indicato in un’iscrizione greca tra le due figure con il suo altro nome “Alexandros”, appare sulle pareti del salone la figura di Cassandra, figlia di Priamo, in coppia con Apollo. Nella mitologia greca Cassandra era conosciuta per il suo dono di preveggenza e per il terribile destino che le impedisce di modificare il futuro. Nonostante la sua capacita’ di vedere oltre il presente, nessuno crede alle sue parole, a causa di una maledizione che Apollo le infligge per non essersi concessa a lui, e dunque non riuscira’ a impedire i tragici eventi della guerra di Troia, che aveva predetto. Dopo essere stata stuprata durante la presa di Troia, finira’ come schiava di Agamennone a Micene. La presenza frequente di figure mitologiche nelle pitture di ambienti di soggiorno e conviviali delle case romane aveva proprio la funzione sociale di intrattenere gli ospiti e i commensali, fornendo spunti di conversazione e riflessione sull’esistenza.

“Lo scavo nella Regio IX, progettato nell’ambito del Grande Progetto Pompei e portato avanti sotto la direzione Zuchtriegel, e’ la dimostrazione di quanto uno scavo ben fatto nella citta’ vesuviana possa continuare ad accrescere la conoscenza di uno dei luoghi piu’ importanti che ci sia pervenuto dall’antichita’. Nuove ed inedite pitture, nuovi dati sull’enorme cantiere che era Pompei al momento dell’eruzione, nuove scoperte sull’economia e sulle forme di produzione. Una messe straordinaria di dati che sta cambiando l’immagine codificata finora della citta’ antica. Un plauso a tutta la squadra interdisciplinare che con passione e professionalita’ sta portando avanti le ricerche”, ha affermato il direttore generale Musei, Massimo Osanna. “Le pareti erano nere per evitare che si vedesse il fumo delle lucerne sui muri. Qui ci si riuniva per banchettare dopo il tramonto, la luce tremolante delle lucerne faceva si’ che le immagini sembrassero muoversi, specie dopo qualche bicchiere di buon vino campano – ha sottolineato il direttore del Parco archeologico du Pompei, Gabriel Zuchtriegel – Le coppie mitiche erano spunti per parlare del passato e della vita, solo apparentemente di carattere meramente amoroso. In realta’, parlano del rapporto tra individuo e destino: Cassandra che puo’ vedere il futuro ma nessuno le crede, Apollo che si schiera con i troiani contro gli invasori greci, ma pur essendo un Dio non riesce ad assicurare la vittoria, Elena e Paride che con il loro amore politicamente scorretto sono la causa della guerra, o forse solo un pretesto, chi sa. Oggi, Elena e Paride siamo tutti noi: ogni giorno possiamo scegliere se curarci solo della nostra vita intima o di indagare come questa nostra vita si intrecci con la grande storia, pensando per esempio, oltre a guerre e politica, all’ambiente, ma anche al clima umano che stiamo creando nella nostra societa’, comunicando con gli altri dal vivo e sui social”.

Il salone misura circa 15 metri di lunghezza per sei di larghezza e si apre in un cortile che sembra essere un disimpegno di servizio, a cielo aperto, con una lunga scala che porta al primo piano, priva di decorazione. Sotto gli archi della scala e’ stato riscontrato un enorme cumulo di materiale di cantiere accantonato. Qualcuno aveva disegnato a carboncino sull’intonaco grezzo delle arcate del grande scalone, due coppie di gladiatori e quello che sembra un enorme fallo stilizzato. L’attivita’ di scavo nell’insula 10 della Regio IX e’ parte di un piu’ ampio progetto di messa in sicurezza del fronte perimetrale tra l’area scavata e non, di miglioramento dell’assetto idrogeologico, finalizzato a rendere la tutela del vasto patrimonio pompeiano (piu’ di 13 mila ambienti in 1070 unita’ abitative, oltre agli spazi pubblici e sacri) piu’ efficace e sostenibile. Lo scavo nell’area finora ha restituito due abitazioni collegate tra di loro, casa con panificio e fullonica (lavanderia), che prospettavano su via Nola e le cui facciate furono gia’ portate alla luce alla fine del ‘800. Alle spalle di queste due case, stanno emergendo in questa fase di scavo sontuosi ambienti di soggiorno affrescati, anche in questo caso interessati al momento dell’eruzione da importanti interventi di ristrutturazione

 

 

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Cronache

Tornano le visite a Bunker di Mussolini a Villa Torlonia

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Sei metri sotto i prati ormai fioriti del parco – sopra la testa quattro metri di cemento armato – trema il pavimento sotto i piedi e suonano le sirene mentre il frastuono delle bombe risuona tra le pareti curve come quelle di un sommergibile. E’ il momento più emozionante della visita al Rifugio Antiaereo e al Bunker di Villa Torlonia, a Roma, che da domani tornano aperti al pubblico. Costruiti per Mussolini, che nella tenuta lungo la via Nomentana prese la residenza nel 1929, finirono per essere usati invece dai cittadini romani per difendersi dai bombardamenti.

A lungo non visitabili, riaprono dopo due anni con un nuovo allestimento che è un viaggio nel sottosuolo della villa, ma anche nei giorni della guerra, quando la Capitale fu devastata da una pioggia di bombe. Nessuna coincidenza tra l’inaugurazione e le crisi internazionali di questi giorni, ha detto il sindaco Roberto Gualtieri: “Non credo che quando il progetto è partito ci fossero le terribili guerre che ci sono oggi – ha commentato nel corso della presentazione alla stampa – Però ricordare le tragedie della guerra è sempre importante, e oggi lo è ancora di più”. La mostra, curata da Federica Pirani e Annapaola Agati, con la collaborazione dell’assessorato capitolino alla Cultura, della Soprintendenza Capitolina e l’organizzazione di Zetema, è un’occasione per fare luce su una delle pagine più buie e drammatiche della città, colpita da 51 bombardamenti aerei tra luglio 1943 e maggio 1944. Il nuovo percorso parte da un video che racconta la vita vissuta nello sfarzo di Villa Torlonia dal dittatore fascista mentre portava l’Italia verso la guerra. Nelle sale successive, grazie ai contributi dell’istituto Luce, rivive il periodo storico dei bombardamenti. Tre sale sono dedicate alla vita nei rifugi con delle proiezioni sincronizzate.

Le due prospettive di chi bombarda e di chi è bombardato convergono in una sala dove sul pavimento sono proiettate le immagini riprese dagli aerei in azione, e sulle pareti Roma in macerie: “Il punto di vista dell’aviatore – ha spiegato la curatrice Pirani – e quello dei romani attoniti che guardano le rovine. Che sono di Roma, ma potrebbero essere quelle di Beirut, o di Jenin”. Poi, attraverso una ripida scala, si scende al bunker vero e proprio, lasciato spoglio da oggetti e proiezioni. In questo spazio è simulata una incursione aerea, attraverso la riproduzione dei suoni: sirene, aerei in avvicinamento, detonazioni, e le vibrazioni del terreno. Risalire su, al verde abbagliante della Villa in primavera, è un sollievo.

“Un luogo impegnativo, era giusto fosse accessibile, è un altro tassello del recupero dei luoghi della storia della città – ha commentato il sindaco Gualtieri – L’allestimento punta non solo a rendere conoscibile ‘filologicamente’ questo luogo ma a conoscere quelle pagine drammatiche della guerra, del fascismo e del suo capo, che è stato deposto e ci ha lasciato questo luogo, e che ha portato l’Italia nella più grande tragedia”. Fino all’orrore delle leggi razziali: “Il contrappasso della memoria vuole – ha ricordato Gualtieri – che a pochi metri da qui, sempre a Villa Torlonia, nascerà il Museo della Shoah, a memoria del più grande crimine che il regime fascista e nazista perpetrarono”. Per il via ai cantieri è solo questione di tempo: “Sono terminati i sondaggi, già c’è stata una aggiudicazione e il governo ha stanziato risorse – ha concluso il sindaco – Appena avremo il cronoprogramma lo comunicheremo”.

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