I cannoni tuonano ancora nel Vicino Oriente: straziano le carni, straziano i cuori. Ma straziano soprattutto le mente, se posso dire, annunciando ogni volta con funesta arroganza l’inanità della ragione.
Il fallimento della politica.
Ero un bambino, e già sentivo gli echi di questa storia di troppi diritti non riconosciuti e di violenza. Poi da ragazzo ho sentito levarsi terribili venti di guerra, che portavano nomi presto divenuti sinistri: “Sei Giorni”, “Kippur”, “Sinai”. Ho visto sulle mappe costruirsi le geografie della segregazione: Cisgiordania, Striscia di Gaza. E quindi morti, bombardamenti, occupazioni, effimere sospensioni delle ostilità, ma anche faccende da imparare rapidamente se davvero volevamo capire quella realtà: “intifada”, terrorismi, rappresaglie, stragi, arsenali, persino bombe atomiche. E sigle, si capisce: Hamas, Fatah….
E, sopra ogni cosa, “colonizzazioni” e “territori”: credo che qui stia, nel piccolo della mia vicenda umana, una delle radici per cui mi sono interessato di Geografia ed ho potuto apprezzare il senso sconcertante di un libro come quello di Y. Lacoste, “La géographie ça sert, d’abord, a faire la guerre” (1976) e le serrate argomentazioni che andavano svolgendo in Italia Massimo Quaini e Pasquale Coppola, sull’agire politico come agire territoriale, anche in rapporto a quel che era accaduto e accadeva, in quegli anni, in Vietnam. Studiosi che ci hanno lasciato troppo presto, ai quali bisognerebbe urgentemente ritornare.
Abbiamo imparato a capire le differenze tra sionismo e giudaismo, che non tutti gli “ebrei” sono uguali. E che non tutti gli “arabi” sono uguali e che non tutti i musulmani sono uguali. E che ogni generalizzazione, proveniente dall’unao dall’altra parte, equivale a una semplificazione, a un arretramento della volontà di fare chiarezza tanto sui presupposti ideologici quanto sulle responsabilità, e quindi di contribuire al processo di pace.
Abbiamo imparato a capire che se volevi intendere quel che accadeva a Gerusalemme dovevi guardare, il più delle volte, a Washington. Abbiamo appreso la necessità di decodificare dietro ogni esplosione il segno, antecedente o successivo, di una strumentalizzazione da parte di qualche potenza straniera: dall’Iran alla Russia, dalla Cina alla Turchia, dagli USA all’Egitto, dal Qatar alla Francia.
E abbiamo dovuto amaramente constatare che ogni volta che sorgeva una speranza di pace -Ytzhak Rabin, Anwar al-Sadat- c’era una mano assassina, negli avversi campi, pronta a spegnerla.
Sono diventato vecchio ormai. E siamo ancora lì. Ancora. E forse peggio di allora, perché nel frattempo le cose si sono incancrenite e nuove generazioni sono nate e cresciute nelle circostanze malate che hanno creato reciproci avversari: “figure del nemico”, prim’ancora che persone in carne e ossa. Irriducibili antagonisti. Irreversibili portatori di sospetto e, talvolta, di odio.
La pace che aspettiamo da tanti e tanti anni, passa attraverso un ripensamento urgente delle culture politiche che hanno preteso di gestire la territorialità mediorientale come conflitto arcaico di “sangue e suolo”. E quindi, da entrambe le parti principali in causa, la scelta della democrazia come metodo di governo e il ripudio della teocrazia come fonte di ispirazione di alcunché, né vicina né lontana. L’arresto immediato e incondizionato delle colonizzazioni, sotto controllo internazionale.. Lo smantellamento dell’assurda geografia che Israele ha creato nell’antica Palestina, rendendo la vita impossibile alle popolazioni insediate. Il ripudio della violenza come metodo per la risoluzione dei conflitti interni tra le organizzazioni palestinesi per il controllo dei territori. Con il conseguente abbandono del terrorismo come minaccia (nei confronti di Israele e dei Paesi anche solo sospettati di appoggiarlo) e insieme come arma di ricatto nei confronti di tutto il popolo palestinese, praticamente tenuto in ostaggio dalle minoranze armate.
E che la comunità internazionale, infine, sia anche per il Vicino Oriente, una vera “Comunità” che lavora concordemente per la pace. Creando le condizioni per la ricomposizione del conflitto, e smettendola di comportarsi come in uno stadio, facendo il tifo per gli uni o per gli altri e rendendo così largamente inoperose le risoluzioni di buona volontà delle Nazioni Unite.
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
Un terremoto di magnitudo 5,7 ha colpito venerdì al largo degli isolotti greci di Strophades nel Mar Ionio (ovest), secondo l’Osservatorio Euro-Mediterraneo, ma al momento sembra non aver causato vittime o danni gravi, secondo i media. “La scossa tellurica è stata registrata alle 09.12 ora locale ad una profondità di 20 km in una regione dove i terremoti sono frequenti”, ha dichiarato il sismologo Gerassimos Papadopoulos alla televisione pubblica Ert.
Secondo Gerassimos Papadopoulos, al terremoto sono seguite due scosse di assestamento di magnitudo 2,9 e 4,5. La scossa è stata avvertita anche nella vicina isola di Zante e nella penisola del Peloponneso. L’Osservatorio di Atene aveva inizialmente segnalato due terremoti successivi di magnitudo 5,2 e 5,7, ma Gerassimos Papadopoulos non ha escluso “un errore di sistema” e ha riferito di un unico terremoto di magnitudo 5,7 sulla scala Richter.
Le Strophades sono costituite da due isolotti, uno disabitato e l’altro che ospita un monastero. La Grecia è situata su importanti faglie geologiche e i terremoti si verificano frequentemente, soprattutto in mare, ma di solito non causano vittime o danni gravi. L’ultimo terremoto fatale di magnitudo 7 in Grecia è avvenuto il 30 ottobre 2020 nel Mar Egeo, tra l’isola greca di Samos e la città di Smirne (Turchia occidentale).
La situazione delle donne in Afghanistan continua a peggiorare. Con un annuncio shock, i talebani hanno detto che inizieranno a lapidare a morte in pubblico le donne accusate di adulterio, rivendicando il diritto di far rispettare la sharia (la legge islamica). Nel proclamarlo con un messaggio vocale trasmesso dalla tv di Stato, il leader supremo, Hibatullah Akhundzada, ha voluto avvertire principalmente coloro che, in Occidente, criticano il governo talebano, che Akhundzada controlla di fatto da Kandahar, attraverso editti basati sulla sua interpretazione rigorosa dell’Islam. Nel messaggio il mullah, che nessuno ha mai visto, ha definito i difensori dei diritti umani occidentali “rappresentanti del diavolo”.
“Voi dite che è una violazione dei diritti delle donne quando le lapidiamo. Ma presto attueremo la punizione per l’adulterio”, ha detto. “Fustigheremo le donne in pubblico. Le lapideremo in pubblico. Sono tutte cose che vanno contro la vostra democrazia, ma continueremo a farlo”, ha proseguito. Il leader supremo ha giustificato la mossa come il proseguimento della lotta dei talebani contro le influenze occidentali. “Il nostro lavoro non si è concluso con la conquista di Kabul, ma è appena iniziato”, ha aggiunto. La notizia è stata accolta con orrore, ma non con sorpresa, dai gruppi per i diritti delle donne afghane, secondo i quali lo smantellamento di ogni diritto e protezione residua per i 14 milioni di donne e ragazze del Paese è ormai quasi completato.
Secondo Safia Arefi, avvocata e responsabile dell’organizzazione afghana ‘Women’s Window of Hope’, l’annuncio dei talebani è stato favorito dal silenzio della comunità internazionale. “Con questo annuncio, è iniziato un nuovo capitolo di punizioni e le donne afghane stanno vivendo una profonda solitudine”, ha detto Arefi, citata dal Guardian. “Ora nessuno è al loro fianco per salvarle dalle punizioni talebane. La comunità internazionale ha scelto di rimanere in silenzio di fronte a queste violazioni dei diritti delle donne”, ha aggiunto.
I talebani hanno ripreso il potere nell’agosto del 2021, in seguito al crollo del governo sostenuto a livello internazionale e al ritiro di tutte le truppe occidentali guidate dagli Stati Uniti dopo quasi 20 anni di coinvolgimento nella guerra afghana. Da allora il regime ha bloccato l’istruzione femminile oltre le scuole elementari e ha imposto crescenti restrizioni alla partecipazione delle donne nei luoghi di lavoro pubblici e privati, impedendo loro di lavorare con l’Onu e altre organizzazioni umanitarie. Ma il mullah giustifica queste misure affermando di seguire la cultura afghana e i principi islamici.
La depressione Nelson continua a fustigare il Portogallo. La giornata di ieri è stata particolarmente difficile, con fenomeni climatici estremi che hanno provocato disagi e preoccupazione tra i portoghesi, i quali tuttavia non hanno mancato di testimoniare i fenomeni attraverso le loro reti sociali. Nel pomeriggio un tornado si è manifestato vicino al ponte Vasco da Gama, il più lungo dei due che a Lisbona collegano le sponde dell’estuario del Tago. Il vento forte ha obbligato anche a invertire la rotta di diversi aerei in fase di atterraggio nell’aeroporto Humberto Delgado. Ma la capitale portoghese non è stata l’unica a registrare fenomeni climatici rari. Le basse temperature, per esempio, hanno provocato delle inusuali nevicate all’isola Terceira, nell’arcipelago delle Azzorre. Il maltempo, dicono i meteorologi, si protrarrà in Portogallo almeno fino a Pasqua.