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Cronache

La morte di Anna Siena, uccisa dal feto morto che portava nel suo grembo che i medici non hanno accertato. Il video racconto choc della mamma

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Anna Siena è morta a 35 anni su un tavolo operatorio freddo del pronto soccorso dell’ospedale Vecchio Pellegrini di Napoli. Era andata al pronto soccorso per due volte in preda a dolori lancinanti al basso ventre. Non è mai stata visitata in maniera seria, normale forse è il caso di dire. Due medici (C. V. e F. N., indagati) “l’hanno guardata su una sedia dove è rimasta per oltre 4 ore” e hanno emesso diagnosi sulla base di del dolore accusato dalla ragazza. Non una palpazione, non una visita normale per capire quali fossero le cause di un dolore così insopportabile che piegava in due una giovane di 35 anni, forte perché nel pieno della sua giovinezza” dice il legale della famiglia di Anna Siena, l’avvocato Angelo Pisani. L’esame autoptico sulla salma ha rilevato che la donna era incinta al settimo mese. Nel suo grembo portava il feto di un bimbo morto. “Se avessero fatto una visita completa, un’ecografia, una banalissima indagine strumentale forse avrebbero salvato quella povera ragazza” dice con un filo di rabbia e tanta amarezza il legale che segue la denuncia presentata dai genitori della ragazza morta. “È gente semplice, perbene, distrutti dal dolore” spiega Pisani. Ci sono due medici indagati con l’accusa di omicidio colposo. Ci sono perizie in corso anche sul feto per capire fino a che punto era possibile salvare la ragazza, se i medici hanno fatto il loro dovere o se invece hanno davvero colpe in quella morta assurda. Tutto ruota ora intorno al fatto che se i medici avessero saputo della gravidanza avrebbero potuto comportarsi in altro modo e salvare Anna. “A me sembra un modo per lavarci tutti la coscienza per quella morte. I genitori non sapevano e nemmeno Anna, zia favolosa dei bimbi della sorella , sapeva della gravidanza che in medicina è definita criptica, nascosta” racconta Pisani. “E in ogni caso una visita ed una indagine strumentale avrebbe reso la situazione chiara e salvato Anna. Per me il comportamento dei medici non è comprensibile. In ogni caso i genitori di Anna, ed io, vogliamo giustizia. Se c’è stata colpa va accertata e sanzionata in maniera dura” conclude l’avvocato Pisani. Il pm inquirente si chiama Lucio Giugliano e come ogni magistrato equilibrato deve trovare le cause del decesso e fare giustizia nell’interesse della famiglia Siena e degli stessi medici. Perché quand’anche oggi sono indagati non è detto che siano colpevoli . La loro colpa, se colpa c’è, sarà accertata da un giudice terzo. Perché essere sotto inchieste non significa essere già stati condannati. “Io sostengo che hanno poteva esser salvata e farò ogni sforzo per tenere giustizia a quei genitori che hanno perso una figlia nel fiore degli anni. E poi non vorrei che altro corrano gli stessi rischi che ha corso e pagato la povera Anna” sostiene Pisani. “Questo video racconto della mamma di Anna, Rosa Tommasecchia, altro non è che la rappresentazione di quello che questa povera donna ha vissuto in presa diretta” conclude Pisani che assieme al fratello Sergio, penalista difendono la famiglia Siena in questa inchiesta.

Anna Siena era incinta ed il feto era in putrefazione, così è morta tra dolori lancinanti in un ospedale che non le ha fatto manco una ecografia

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Choc a Nola: marito violento, giovane ‘liberata’ dai carabinieri grazie all’intervento della suocera

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Dopo anni di soprusi e maltrattamenti, la storia di terrore vissuta da una giovane donna di Nola ha finalmente trovato un epilogo in tribunale. Un giovane di 21 anni, con un passato turbolento segnato da dipendenza da droga e violenze, è stato arrestato e accusato di sequestro di persona, maltrattamenti e lesioni personali aggravate. Le aggressioni brutali, compresa una tentata strangolazione e attacchi pericolosi anche ai passanti nel centro antico di Nola, finiranno con il suo arresto.

La Procura di Nola, con l’ausilio dei carabinieri, ha condotto un’indagine lampo che ha portato alla luce gli abusi subiti dalla donna per anni. La vittima, che aveva sopportato in silenzio gli attacchi del compagno, ha trovato la forza di parlare solo dopo l’intervento della madre dell’aggressore, che l’ha convinta a cercare aiuto e cure mediche.

Durante l’ultima aggressione, la donna ha subito gravi danni all’orecchio e all’occhio, oltre a numerose altre ferite. In ospedale, il personale ha allertato le autorità, innescando una serie di eventi che hanno portato all’arresto del giovane. Nonostante il profondo legame affettivo che la legava al suo aguzzino, il quale chiudeva la porta di casa a chiave per impedirle di scappare, la donna ha finalmente deciso di rompere il silenzio.

Il Gip del Tribunale di Nola, Teresa Valentino, ha accolto la richiesta di custodia cautelare in carcere presentata dalla Procura, segnando un decisivo punto di svolta nel caso. La giovane donna ha espresso il desiderio di vedere giustizia fatta: «Chiedo che venga punito per quello che mi ha fatto», ha dichiarato, evidenziando il lungo calvario e la paura che ha vissuto, temendo anche per la sicurezza della sua famiglia.

Questa vicenda sottolinea la tragica realtà della violenza domestica e l’importanza di supportare le vittime nel trovare la forza di parlare e denunciare i loro aggressori. L’arresto del giovane non solo mette fine a un ciclo di violenza, ma serve anche come monito sulle conseguenze legali che attendono coloro che sceglieranno di perpetrare tali crimini.

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Tony Colombo e Tina Rispoli restano in carcere, confermate in Cassazione le accuse di camorra

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La Corte di Cassazione ha recentemente respinto le richieste di scarcerazione per il cantante neomelodico Tony Colombo e sua moglie Tina Rispoli, implicati in un’inchiesta del pool antimafia. La coppia è accusata di avere legami con il clan Di Lauro, operante nella zona di Scampia-Secondigliano.

Le indagini, condotte dai pm Maurizio De Marco e Lucio Giugliano, puntano a dimostrare come Colombo e Rispoli, nonostante non appartengano direttamente a una famiglia mafiosa, siano profondamente inseriti nelle dinamiche criminali del clan. I giudici della quinta sezione della Suprema Corte hanno sottolineato la “totale condivisione di intenti” tra i coniugi e la loro “estrema pericolosità”, evidenziata dal loro “perdurante e costante inserimento nei contesti illeciti”.

L’accusa si concentra anche sulla gestione di un capannone industriale associato a Vincenzo Di Lauro, con arresti confermati anche per lui dalla Cassazione, e sulla condivisione di un marchio commerciale legato alla moda e all’abbigliamento. Le prove raccolte includono intercettazioni telefoniche e ricostruzioni finanziarie effettuate dalle forze dell’ordine.

Il deputato Francesco Emilio Borrelli di Alleanza Verdi Sinistra ha commentato il caso, sottolineando come lui e il suo partito abbiano per anni lottato contro il sistema di Colombo e Rispoli, denunciando i loro legami con la camorra che, a suo dire, molti hanno preferito ignorare.

Questa vicenda mette ancora una volta in luce le intricate connessioni tra il mondo dello spettacolo e le organizzazioni criminali in alcune aree di Napoli, rivelando come figure pubbliche possano a volte essere coinvolte in attività illecite che sfruttano la loro visibilità per operazioni economiche dubbie. La decisione della Corte di Cassazione rappresenta un passo significativo nel tentativo delle autorità di combattere il crimine organizzato, dimostrando che nessuno è al di sopra della legge, anche quando si tratta di figure note al grande pubblico.

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Processo per usura e racket ai clan di Napoli Ovest, l’assenza per paura dei commercianti

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Napoli ovest è ancora una volta teatro di un processo che mette in luce la profonda infiltrazione della camorra nelle attività quotidiane dei cittadini. Il processo, che ha avuto inizio ieri con la prima udienza preliminare, vede coinvolte venti persone, identificate dalla Procura come membri del clan Vigilia. Questo gruppo, a lungo dominante nel rione Traiano per il controllo delle piazze di spaccio, è ora accusato di estorsione e usura nei confronti di commercianti locali.

Il giudice per le udienze preliminari ha preso in esame il caso, che rivela come un commerciante di via Epomeo sia stato costretto a pagare fino a 15mila euro in diverse rate sotto minaccia. Queste pratiche estorsive non sono isolate, ma parte di una strategia di radicamento criminale che ha visto i cittadini, indicati come vittime dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Napoli, sottomessi a tassi usurari e pressioni continue.

La nota più triste di questa vicenda è l’assenza in aula delle presunte vittime, i “cittadini innocenti” che hanno subito intimidazioni e minacce. Questo silenzio è indicativo dell’atmosfera di paura che regna in alcune aree di Napoli, dove l’omertà sembra ancora prevalere. Nonostante la gravità delle accuse, nessuna delle vittime ha voluto presentarsi per rivendicare il proprio status di parte offesa.

Il processo vede anche la costituzione di parte civile da parte del Comune di Napoli e della Presidenza del Consiglio, oltre che dell’associazione Sos Impresa, rappresentata dall’avvocato Alessandro Motta. Questi soggetti cercano di sostenere il procedimento giudiziario e di offrire supporto alle vittime, spesso lasciate sole a fronteggiare la criminalità organizzata.

L’udienza è stata occasione per gli avvocati di delineare le strategie difensive, con alcuni imputati che hanno optato per il rito abbreviato, sperando in una riduzione della pena. Tuttavia, il clima di tensione non diminuisce, come dimostrano episodi recenti di violenza nella stessa area, tra cui un raid in un parco giochi che ha visto una madre ferita mentre si prendeva cura della figlia.

Il caso continuerà a giugno, con il ritorno in aula e l’attesa delle richieste di condanne per coloro che hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato. Intanto, il verdetto duro contro il clan Sorianiello, emesso nello stesso periodo, conferma l’esistenza di una rete criminale ben strutturata, capace di imporre il proprio dominio attraverso la violenza e l’intimidazione.

Questo processo non è solo un’esposizione delle dinamiche criminali di Napoli ovest, ma anche un esame della capacità della giustizia di proteggere i cittadini e di affermare l’autorità dello Stato in zone dove la legge sembra avere poco potere. Le conseguenze di questo processo saranno cruciali per la lotta alla camorra e potrebbero segnare un punto di svolta nella ripresa di controllo civile nelle aree più turbolente della città.

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