L’assassinio, certo. Ma peggio ancora dell’assassinio ci fu prima il sequestro, poi la tortura, quindi l’omicidio e poi lo scioglimento del corpo nell’acido per far sparire il corpo del reato. Per non dare alla famiglia di Giuseppe Di Matteo, 12 anni, mai nemmeno una tomba, un posto dove poter andare a piangere il loro bambino. L’omicidio di Giuseppe Di Matteo, 12 anni, diede il via all’era sanguinaria e terroristica di Totò Reina. L’orrore per l’omicidio del figlio del collaboratore di Giustizia Santino Di Matteo non sarà facile da smaltire. Il racconto del sequestro del bambino nel novembre 1993, la sua reclusione in una gabbia per 26 mesi, infine lo strangolamento e le modalità brutali scioglimento nell’acido del corpo più volte è stato ascoltato nelle aule di giustizia. I Corleonesi che uccidono i bambini si è detto. I sicari di Brancaccio. I macellai di questo quartiere difficile di Palermo sono stati ora condannati a un risarcimento di 2,2 milioni di euro. Soldi da versare alla mamma del bimbo, Francesca Castellese, e al fratello più piccolo, Nicola. Il Tribunale civile di Palermo, dal giudice Paolo Criscuoli, uno dei siciliani appena eletti al Csm, ha stabilito il quantum di una condanna ad un risarcimento per un omicidio. Il giudice non prende in considerazione il padre della vittima, Santino Di Matteo, il collaboratore di giustizia che Cosa Nostra voleva far tacere con il sequestro del figlio. I registi di questa pagina dell’orrore furono Totò Riina e i fratelli Giovanni ed Enzo Brusca.

Santino Di Matteo. La mafia voleva far tacere il pentito sequestrando suo figlio Giuseppe di appena 12 anni



Una richiesta di risarcimento danno che puntava sui diretti responsabili già condannati per l’omicidio: i boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, Benedetto Capizzi, Cristoforo Cannella, Francesco Giuliano, Luigi Giacalone e Gaspare Spatuzza, quest’ultimo pentito risultato prezioso in tanti processi fra Palermo e Caltanissetta. A loro sarà addebitato il risarcimento. Essendo mafiosi che non disporrebbero più di beni perchè sequestrati dallo Stato, la somma del risarcimento arriverà dal fondo speciale dello Stato per le vittime di mafia. Soldi che non allevieranno la pena di una madre, Francesca Castellese, in passato durissima col marito: «Non lo perdono mai, la colpa sua se io ho perso il mio bambino”. E a chi le chiedeva se avesse sbagliato a pentirsi, la donna ha sempre risposto “ha sbagliato non a pentirsi ma prima, a essere un mafioso”. Parole ripetute più e più volte dalla Castellese anche in incontri pubblici con giovani impegnati nell’antimafia militante quando viene chiamata a ricordare la crudeltà dei mafiosi quando uccisero il figli0 ventisei mesi dopo averlo sequestrato al maneggio di Altofonte.
Le scuderie in cui fu sequestrato il bambino con uno stratagemma da fiction. Quattro mafiosi travestiti da finti poliziotti arrivati al maneggio. La promessa che lo avrebbero portato dal padre in località segreta, come ha spesso ricordato nelle aule di giustizia Gaspare Spatuzza, uno dei sequestratori oggi pentito. “Agli occhi del bambino siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi. Lui era felice, diceva “Papà mio, amore mio””. Dopo 26 mesi, i macellai eseguirono l’ordine partito dal carcere il giorno in cui dalla tv lo stesso Brusca, forse non a caso chiamato dai suoi picciotti ‘u verru (il porco), aveva saputo della sua condanna al primo ergastolo per l’omicidio dell’ esattore Ignazio Salvo, incastrato sempre da Di Matteo. Il pentito Di Matteo non aveva ritrattato, il figlio di 12 anni veniva ucciso dopo 26 mesi di sequestro e poi sciolto nell’acido.