L’omicidio brutale a Pesaro di Marcello Bruzzese, 51 anni, pesa e peserà sulle nostre coscienze. Quest’uomo è stato assassinato nel giorno di Natale in una strada di Pesaro, sotto l’abitazione dove viveva con la famiglia, perché era il fratello di un mafioso calabrese che tempo fa aveva deciso di collaborare con la giustizia. Marcello Bruzzese era a Pesaro per questo motivo. Era a Pesaro suo malgrado, inserito in un programma di protezione. Evidentemente il programma che lo Stato aveva scelto per quest’uomo ha garantito tutto (forse la casa, forse un lavoro o altro) eccetto la protezione visto che due sicari (presumibilmente arrivati dalla Calabria) sono arrivati fino a Pesaro per spegnere la vita di quest’uomo al solo scopo di dire al fratello pentito di ‘ndrangheta che se non tace altri suoi congiunti moriranno.
Questo omicidio, che a taluni può apparire come un agguato isolato, un morto qualunque che tra qualche ora archivieremo come l’ennesimo crimine violento, ha invece una funzione pedagogica. La mafia ha mandato un segnale ai collaboratori di giustizia (ex mafiosi passati armi e bagaglio dalla parte dello Stato): chiudete la bocca che se non riusciamo a scannare voi, eliminiamo i vostri congiunti.
E questo è quello che accade in un ambiente mafioso, paramafioso, ex mafioso le cui dinamiche non sono sempre di facile lettura. Comunque sia e comunque la pensiate se lo Stato non protegge le persone che decidono di collaborare, la sua credibilità subisce colpi pesanti.
C’è un altro ambiente in cui lo Stato, quanto a credibilità, è ai minimi storici. Da settimane ci sono decine di testimoni di giustizia che sono stati abbandonati al loro destino senza alcuna spiegazione. I testimoni di giustizia sono persone perbene che hanno assistito alla commissione di reati e invece di girarsi dall’altra parte, invece di scegliere la strada del “quieto vivere”, hanno deciso di raccontare la commissione di questo reato alla magistratura ed hanno contribuito all’arresto e alle condanne di centinaia di persone che hanno commesso crimini spesso anche assai gravi, spessissimo reati di mafia. Dunque c’è una differenza importante tra collaboratori di giustizia (ex mafiosi pentitisi in cambio di premi) e testimoni di giustizia (persone perbene che hanno assistito alla commissione di reati) che si stanno pentendo di aver collaborato con lo Stato perchè sono stati abbandonati.
Delitto di Natale a Pesaro, ucciso in pieno centro il fratello di un collaboratore di giustizia della ‘Ndrangheta calabrese
Molti di questi testimoni di giustizia, infatti, in questi anni hanno denunciato e fatto sgominare intere bande di mafiosi. Lo Stato in cambio di queste testimonianze di giustizia, nella fase preliminare delle indagini, ha usato i testimoni di giustizia per eseguire arresti e portare alla sbarra gli autori di crimini, spesso crimini mafiosi. In questo lasso di tempo lo Stato ha assicurato ai testimoni di giustizia protezione (anche servizi di scorte importanti là dove necessario), una casa lontano dal luogo in cui hanno denunciato mafiosi, protezione, anche un lavoro là dove necessario. Da mesi, questi testimoni di giustizia, sono stati abbandonati. “Spremuti come limoni e poi buttati” è questa l’espressione che usano per dare una immagini di come si sentono trattati dallo Stato. Di questi testimoni di giustizia ce ne sono decine che vivono nel terrore che prima o poi qualcuna delle persone che hanno fatto condannare possano rintracciarli e ucciderli. E a giudicare da quello che è accaduto a Pesaro al fratello di un pentito di mafia calabrese, diventa difficile vivere per chi aveva scelto di aiutare lo stato a sconfiggere le mafie.
La domanda è: alla luce di quel che sta accadendo, che cosa succederà nei prossimi giorni, settimane, mesi a queste persone che quotidianamente protestano al Viminale per l’assenza di misure di protezione, abbandono sul posto di lavoro, nessun aiuto economico, nessun supporto?
Avremo ancora altri imprenditori che denunciano i loro estorsori? Ci saranno ancora semplici cittadini disposti a deporre contro i criminali in un’aula di tribunale? I testimoni di giustizia che hanno già scelto di farlo si ripresenteranno in un’aula di giustizia a denunciano malavita e atti mafiosi? Ci saranno ancora persone che sceglieranno di dire addio ad un’esistenza dignitosa, niente più lavoro, niente più rapporti con i familiari, niente più contatti con la terra d’origine, una vita da fantasmi per aiutare lo Stato a debellare le organizzazione mafiose?
A giudicare da quello che accade, dalle storie quotidiane che leggiamo di questi testimoni di giustizia, la situazione è tragica. “È tragica ma non è seria” avrebbe detto Ennio Flaiano,
C’è persino chi si sente un cadavere ambulante. È il caso del testimone di giustizia Gennaro Ciliberto. Lui racconta degli appalti per la costruzione di ponti autostradali (molti cadono e fanno stragi), pezzi di autostrade, viadotti, caselli (l’azienda Autostrade allo stato sembra essere parte lesa) ad aziende o in odore di camorra o controllate da uomini della camorra. Quest’uomo per anni scortato, oggi che si è aperto un processo a Roma con gravi reati accertati dai pm di piazzale Clodio, è stato abbandonato a se stesso. Ed allora le domanda che questo testimone di giustizia si fa, e ci pone, sono: che cosa mi devo aspettare ora che c’è un processo grazie alle mie testimonianze e lo Stato mi ha abbandonato? Forse un sicario che viene a cercarmi per chiudermi la bocca? E se mi chiudono la bocca il processo apertosi a Roma che fine farebbe?