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La Lega blinda Siri, il M5S lo attacca, Conte è stufo: gli parlo e decido io

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Il destino politico del sottosegretario leghista Armando Siri scuote profondamente l’alleanza di governo, al cui interno ormai si respira un clima di aperto scontro elettorale, a un mese dal voto europeo. Matteo Salvini lo difende a spada tratta ‘blindando’ il suo ruolo all’interno del governo. I Cinque Stelle, invece, continuano a chiederne la testa, non mollando un centimetro e ribadendo che non ci sarà “sulla legalità nessun dietrofront”. Nel mezzo il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che da un lato assicura che sara’ lui a prendere la decisione finale, dall’altro fa sapere di aver bisogno ancora qualche giorno, annunciando che avra’ un faccia a faccia con lo stesso Siri al suo ritorno dalla Cina. Tutto fermo, dunque, sino al 29 aprile. Ma se la decisione finale non arrivera’ prima di domenica prossima, la polemica tra i Cinque Stelle e la Lega ha ormai raggiunto livelli mai visti prima, intersecandosi con l’altro fronte di scontro, quello sul decreto ‘Salva Roma’. Di prima mattina, dopo il durissimo scontro notturno in Consiglio dei Ministri, il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano, alza il tiro chiedendo esplicitamente le dimissioni di Siri ma parlando anche di criminalita’ organizzata. “Adesso – attacca Di Stefano – stiamo superando ogni limite, una difesa incondizionata che inizia a preoccuparci. Ogni giorno leggiamo dettagli che fanno tremare. Dalla corruzione alle mazzette, passando per legami con personaggi mafiosi”. Un cenno alla mafia che provoca la reazione durissima del segretario federale: “Non accostate mai il mio nome e quello della Lega alla mafia. Chi parla di Lega – contrattacca Salvini – deve sciacquarsi la bocca perche’ con la mafia non abbiamo nulla a che vedere”. In prima linea contro Siri anche Luigi Di Maio che chiede a Salvini “un ulteriore atto di fiducia”.

Armando Siri. Il sottosegretario ai Trasporti che avrebbe dovuto far inserire nel Def del 2018 norme per far retroagire incentivi per aziende che si occupano di energie alternative

“La Lega – aggiunge il capo politico 5S – dimostri la propria estraneita’ a questi fatti presunti allontanando Siri dal governo. Perche’ altrimenti io comincio a preoccuparmi”. Anche Danilo Toninelli pressa i leghisti osservando che “se Armando Siri facesse parte del M5s sarebbe gia’ stato messo fuori dal governo, invece nella Lega continua a parlare”. Beppe Grillo, in una lettera al “Fatto” rincara le critiche al responsabile dell’Interno definendo Salvini un ministro “a sua insaputa”. “Io ce la sto mettendo tutta – la replica del leader leghista – ma se Grillo ha qualche idea in piu’ o ha i super poteri, il Viminale accoglie idee e proposte da parte di tutti”. Persino Silvio Berlusconi affila le armi contro Salvini, osservando che se non stacca la spina al governo diventa “corresponsabile di chi sta portando l’Italia al baratro”. Scontro M5s-Lega anche sui migranti irregolari: Salvini dice che sono 90mila, cifra smentita dagli alleati che ricordano come nel contratto si parlasse di 500mila. In mezzo a questo marasma di batti e ribatti, prende la parola, e soprattutto l’iniziativa, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Dopo aver fatto sapere che avrebbe parlato con Siri oggi, e incontrato al suo ritorno dalla Cina, decide di affrontare la questione davanti alle telecamere. Nel corso di una breve passeggiata dopo pranzo per un caffe’ fuori Palazzo Chigi, il premier mette i suoi paletti sulla vicenda, ribadendo che sara’ lui a decidere dopo il faccia a faccia. Ma che per ora “nessuno puo’ infangare il nome di Siri” per un avviso di garanzia. “Lo ascoltero’, lo guardero’ negli occhi e prendero’ le mie decisioni tenendo conto del principio di innocenza a cui come giurista sono molto sensibile. Tuttavia – sottolinea Conte – preciso che esiste un principio di etica pubblica, per cui e’ possibile prendere una decisione anche prima di una sentenza definitiva”. La replica di Salvini. “Io aspetto la magistratura. Siamo in un Paese civile dove non si e’ colpevoli o innocenti in base a un’occhiata. Ne’ io ne’ il premier – puntualizza – facciamo il giudice, l’avvocato o il magistrato”.

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Cronache

Processo Cospito, sentenza definitiva: 23 anni di carcere

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La Corte di Cassazione ha emesso una decisione definitiva riguardo ai ricorsi presentati dalle difese di Alfredo Cospito e Anna Beniamino, confermando le pesanti condanne per i loro presunti ruoli nell’attentato alla ex caserma allievi carabinieri di Fossano nel 2006. I due sono stati giudicati colpevoli di “devastazione, saccheggio e strage”, oltre ad altri reati connessi all’attività di un’associazione sovversiva.

Alfredo Cospito dovrà scontare una pena di 23 anni di reclusione, mentre Anna Beniamino è stata condannata a 17 anni e 9 mesi di reclusione. Con questa decisione della Cassazione, le condanne diventano irrevocabili, mettendo definitivamente fine a un lungo processo legale che ha coinvolto i due anarchici.

 

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Esteri

Il vice del ministro della Difesa russo Shoigu arrestato per tradimento

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E’ uno scandalo dai contorni oscuri quello che in queste ore scuote le forze armate russe nel pieno del conflitto in Ucraina, con Mosca impegnata in una sfida cruciale con il campo occidentale. Una Corte della capitale ha confermato l’arresto del vice ministro della Difesa Timur Ivanov, responsabile delle costruzioni e della manutenzione delle strutture militari. L’accusa di aver ricevuto una tangente appare tutto sommato lieve in un ambiente in cui la corruzione, secondo le denunce delle opposizioni, è diffusa. Normale dunque che qualcuno sollevi dubbi sui reali motivi di una simile iniziativa in un momento tanto delicato, al punto da arrivare a parlare di una accusa di tradimento. Il sito d’inchieste Vazhnye Istorii (‘Storie importanti’) afferma di avere saputo da due fonti dei servizi d’intelligence interni Fsb che la versione della corruzione è stata creata “solo per l’opinione pubblica”. “Nessuno lo avrebbe arrestato per questo”, ha affermato una delle fonti, secondo la quale al Cremlino i veri risvolti della vicenda erano “noti da molto tempo”.

Ivanov, insomma, sarebbe sospettato proprio di tradimento, ma le autorità avrebbero preferito non renderlo noto per non rischiare un danno d’immagine dalle conseguenze imprevedibili. L’avvocato del vice ministro, Murad Musayev, ha recisamente smentito e il portavoce del Cremlino ha parlato di pure “speculazioni”. “Ci sono un sacco di voci differenti su questa faccenda, ma ovviamente dobbiamo affidarci alle informazioni delle autorità investigative e alla fine, ovviamente, alla decisione dei giudici”, è stato l’invito di Dmitry Peskov. La Corte del distretto di Basmanny che ha confermato l’arresto per Ivanov e per un imprenditore suo amico, Serghei Borodin, ha disposto che i due rimangano in custodia cautelare almeno fino al 23 giugno.

Il vice ministro è stato già trasferito nel carcere di Lefortovo. Per l’accusa di corruzione Ivanov, che si è presentato in aula indossando la divisa militare e proclamandosi innocente, rischia fino a 15 anni di reclusione. L’avvocato Musayev, preannunciando che presenterà ricorso per chiederne il rilascio, sostiene che non si parla di denaro, bensì di lavori gratuiti realizzati da aziende edili nelle proprietà immobiliari del vice ministro in cambio di favori. Ivanov, che ha 48 anni e ricopre l’incarico dal 2016, era stato tra l’altro tirato in ballo nel 2022 in un’inchiesta della Fondazione anticorruzione dell’oppositore Alexei Navalny. Sul fronte del conflitto ucraino si registra intanto una importante novità. Per la prima volta in oltre due anni una delegazione russa e una ucraina hanno avuto un incontro faccia a faccia in Qatar, dove hanno concordato lo scambio di 48 bambini, 29 che torneranno in Ucraina e 19 in Russia.

Ad annunciarlo è stata Maria Llova-Belova, la commissaria russa per i diritti dell’infanzia. Mosca ha sempre respinto le accuse di avere deportato minori ucraini contro il volere dei familiari, un’accusa che è costata alla stessa Llova-Belova e al presidente Vladimir Putin un ordine di arresto della Corte penale internazionale. Il sito dell’opposizione Meduza ha intanto denunciato che il Patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa e sostenitore delle politiche di Putin, ha imposto una sospensione di tre anni a un sacerdote che ha tenuto una funzione commemorativa sulla tomba di Alexei Navalny alla fine di marzo, 40 giorni dopo la morte. Il religioso è Dmitri Safronov, chierico della chiesa dell’Intercessione della Santa Vergine sulla collina di Lyschikova a Mosca. Meduza precisa che nell’ordine del Patriarca non sono spiegate ufficialmente le motivazioni della decisione.

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Premierato: ecco cosa prevede il ddl Casellati

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Con l’approvazione del mandato al relatore in Commissione Affari costituzionali si delinea il testo della riforma del premierato elettivo. Ecco i cardini principali della riforma costituzionale che però sul punto centrale, l’elezione diretta del premier, contiene solo alcuni principi rinviando il resto ad una legge ordinaria.

PREMIER ELETTO: “Il presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni.

Le elezioni delle Camere e del presidente del Consiglio hanno luogo contestualmente”.

LIMITE A DUE MANDATI: Si può essere eletti premier “per non più di due legislature consecutive, elevate a tre qualora nelle precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi”.

SISTEMA ELETTORALE: Una legge ordinaria disciplinerà “il sistema per l’elezione delle Camere e del presidente del Consiglio, assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività”.

NOMINA E REVOCA DEI MINISTRI: “Il presidente della Repubblica conferisce al presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo; nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri”. Nell’attuale costituzione non c’è il potere di revoca dei ministri.
FIDUCIA: “Entro dieci giorni dalla sua formazione il governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia”. Se non viene approvata la mozione di fiducia, “il presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il governo”. Quindi il premier eletto può fare un nuovo tentativo con un altra squadra di ministri, o anche cercando un’altra maggioranza. “Qualora anche in quest’ultimo caso il governo non ottenga la fiducia delle Camere, il presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”.

CRISI DI GOVERNO: Se il governo, nel corso della legislatura, viene sfiduciato “mediante mozione motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere”. “In caso di dimissioni del presidente del Consiglio eletto, previa informativa parlamentare, questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone”. “Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio”. In entrambi i casi il nuovo governo può avere una maggioranza diversa da quella uscita della urne. L’articolo sulle crisi di governo – il 4 del ddl Casellati – potrebbe essere riformulato in Aula.

ADDIO SENATORI A VITA: E’ abrogato il potere del Quirinale di nominare cinque senatori a vita. Quelli attualmente in carica mantengono il loro incarico. Non viene invece toccato l’articolo che stabilisce che i presidenti della Repubblica al termine del settennato diventano senatori a vita.

CONTROFIRMA: E’ abolita la controfirma del governo in una serie di atti del presidente della Repubblica: nomina del presidente del Consiglio, la nomina dei giudici della Corte Costituzionale, la concessione della grazia e la commutazione delle pene, il decreto di indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi al Parlamento e il rinvio delle leggi alle Camere.

ELEZIONE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: Per eleggere il capo dello Stato occorre il quorum dei due terzi dei grandi elettori non più nei primi tre scrutini, bensì nei primi sei.

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