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La ginnastica in acqua aiuta le donne in gravidanza

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Fare ginnastica in acqua, elemento che rende l’attivita’ sicura data l’assenza di gravita’, puo’ essere di grande aiuto per le donne che aspettano un bambino.Un recente studio pubblicato sul Journal of Obstetric, Gynecologic & Neonatal Nursing – riporta il sito www.inabottle.it – ha dimostrato che le mamme in dolce attesa che hanno svolto esercizi acquatici dalla ventesima alla trentasettesima settimana di gestazione avevano quasi 13 volte piu’ probabilita’ di avere un perineo intatto dopo il parto.

I ricercatori dell’ospedale universitario San Cecilio di Granada, guidati dall’ostetrica Raquel Rodriguez Blanque, hanno voluto approfondire in che modo l’aerobica in acqua aiuti a rafforzare il perineo e i muscoli maggiormente stressati durante il travaglio. Per lo studio sono stati confrontati 65 donne incinte che hanno preso parte a un programma di “esercizio acquatico”, consistente in 45 minuti di attivita’ aerobica tre volte alla settimana, e 64 neomamme in dolce attesa che non svolgevano alcuna attivita’ motoria.

Dopo il parto, i ricercatori hanno scoperto che le donne che si esercitavano in acqua durante la gravidanza avevano 12,5 volte piu’ la possibilita’ di avere un perineo intatto rispetto alle altre. Inoltre e’ emerso che l’85,9% di coloro che non hanno completato il programma acquatico ha usato analgesici durante il travaglio, rispetto al 72,3% di coloro che hanno fatto esercizi in acqua. I ricercatori sperano che il loro studio porti a includere esercizi in acqua nelle linee guida da seguire per le donne in maternita’.

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La Corte costituzionale conferma i limiti ai mandati dei sindaci

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Non è manifestamente irragionevole la scelta legislativa di stabilire, a seconda della dimensione demografica dei Comuni, un limite ai mandati consecutivi dei sindaci, sempre che essa realizzi un equo contemperamento tra i diritti e i principi costituzionali coinvolti da tale scelta. Lo afferma la Corte costituzionale (con sentenza n. 196) che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, proposte dalla Regione Liguria, nei confronti di una disposizione del decreto-legge n. 7 del 2024, che ha modificato la disciplina del Testo unico degli enti locali.

Con tale disposizione, il legislatore ha previsto che per i sindaci dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti non vi sia alcun limite ai mandati; che per i sindaci dei Comuni con popolazione compresa tra 5.001 e 15.000 abitanti il limite di mandati consecutivi sia pari a tre. Infine, che per i sindaci dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti resti fermo il limite di due mandati consecutivi. In particolare, la Regione Liguria riteneva che la nuova disciplina violasse diversi parametri costituzionali, considerando irragionevole la previsione di due o tre mandati consecutivi a seconda del dato dimensionale del Comune.

Di qui la richiesta di estendere anche ai sindaci dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti il limite di tre mandati consecutivi. La Corte ha ribadito che la previsione del numero massimo dei mandati consecutivi è una scelta normativa idonea a bilanciare l’elezione diretta del sindaco con l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali. Il punto di equilibrio tra tali contrapposti interessi costituzionali deve essere fissato dal legislatore, ed è sindacabile solo se manifestamente irragionevole.

“L’attuale art. 51, comma 2, del t.u. enti locali pone limiti diversi ai mandati consecutivi secondo una logica graduale, sul presupposto che tra le classi di Comuni nei quali si articola l’attuale disciplina vi siano rilevanti differenze, in ordine agli interessi economici e sociali che fanno capo agli stessi: si tratta di un esercizio non manifestamente irragionevole della discrezionalità legislativa, che intende realizzare un equo contemperamento tra i diritti e i principi costituzionali che vengono in considerazione”, conclude la Consulta.

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Grillo alla guerra sul simbolo, alt di Conte: la pagherà

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Tenere unita la comunità pentastellata e avvertire Beppe Grillo sui rischi di un’azione legale. Questi i due obiettivi dell’intervento social del presidente M5s Giuseppe Conte, che parla al Movimento dopo la chiusura della votazione bis sullo Statuto. La base ha confermato la cancellazione del ruolo del garante. E il leader invita tutti a “guardare avanti, quel che è stato è stato”. L’ex premier, ora più che mai, prova a serrare le fila con un appello alla coesione. “Il M5s è la casa democratica di tutti”, dice. Anche di chi si è astenuto, e di chi, con il suo voto, si è schierato dalla parte del fondatore. Una fetta non trascurabile di iscritti, a cui il presidente tende la mano.

“Non è più l’epoca delle cacciate e delle espulsioni”, scandisce. Guardando al futuro, però, i toni si fanno più muscolari. Danilo Toninelli, qualche ora prima della diretta social del leader, conferma i sospetti: “Grillo impugnerà il simbolo e lo farà diventare suo con un’azione legale”. Conte non scansa la questione. Anzi, avverte: “chi si azzarda a intralciare il M5s troverà una solida barriera legale, pagherà gli avvocati, anche i nostri, la lite temeraria, e pure i danni”.

Dopo mesi di conflitto aperto sulla Costituente, tutto lascia presagire che la battaglia si sposterà in tribunale. Con Grillo pronto alla sfida da lui stesso adombrata. Il suo entourage è convinto che “andrà avanti”. “Il simbolo è di sua proprietà al 100%”, incalza Toninelli. Ma quello sul contrassegno, potrebbe non essere l’unico fronte della guerra legale. Dall’inner circle grillino si moltiplicano gli attacchi diretti alla procedure di voto e alle modalità della Costituente, a partire dalla cancellazione degli iscritti della scorsa estate. E c’è chi non esclude che un’impugnazione parallela possa interessare anche questi aspetti.

“Grillo è sempre stato imprevedibile e lo sarà ancora”, avvisa chi lo conosce bene. E il presidente Conte non lascia cadere la questione. “Falsità e calunnie, tutto è stato trasparente”, spiega. Sulla cancellazione degli iscritti, chiarisce: “si è rispettata una clausola statutaria”. Sulla piattaforma di voto, lancia una frecciata a Roberto Casaleggio: “è gestita da terzi, non come Rousseau”. Poi, l’affondo: “chi rimesta nel torbido o fa un azione in giudizio, la pagherà”.

“Io ho l’onore di questa comunità e la difenderò con le unghie e con i denti”, è l’opposizione ‘fisica’ del leader. Che si dimostra sicuro. “Abbiamo adottato tutte le cautele del caso, studiato tutte le conseguenze e non abbiamo nessun timore”, è l’avvertimento. “Con un team di avvocati, – aggiunge – abbiamo spiegato a chi ha tentato di danneggiarci che è un grave danno all’azione del M5s, e chi l’ha fatto ha pagato le conseguenze”. Da una parte, Conte mostra i denti e gioca la carta della deterrenza in vista di una guerra legale con Grillo. Dall’altra, il leader dedica una minima parte del suo lungo discorso allo scontro con il garante. Si dice deluso dagli attacchi velenosi e dal sabotaggio della Costituente. Ricorda “l’aut aut” del fondatore e spiega: alla “logica del caminetto, ho preferito la comunità”.

Non a caso, al centro dell’intervento ci sono proprio gli iscritti, e Conte non evita di citare gli 8 mila nuovi arrivi dell’ultimo mese. “Il M5s non scimmiotterà gli altri partiti, cambiamo il Paese”, suona la carica. La sfida del rilancio, passa dalle proposte della Costituente. Etica pubblica, “contro i signori delle tessere”, e appello “contro il riarmo in Ue”, in primis. Con la contesa lanciata ai dem sul “vero progressismo”. Ma la sfida è anche quella di evitare scissioni e fuoriuscite. Tra i grillini, si fa largo una convinzione: “siamo pochi, ma ci stiamo coagulando”. Le chat sono infuocate, però il futuro resta incerto. C’è chi parla di liste alle amministrative, chi di associazioni, chi di fondazioni. “Domani, o magari dopodomani, nascerà qualcosa di nuovo, aspettiamo l’azione legale di Beppe”, sono le parole di Toninelli. Che lasciano intuire un percorso ancora in nuce. “Non vedo le ragioni politiche di una scissione, la si fa per perseguire l’autocrazia e respingere la democrazia del M5s?”, taglia corto Conte.

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Salta il taglio dell’Irpef, scende l’Ires per chi assume

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Niente da fare, al momento, per un ulteriore taglio dell’Irpef: la misura si affronterà solo “dopo il consolidamento dei conti”. Ma spazio a “aggiustamenti” su due misure caldeggiate dagli alleati: l’Ires premiale per chi reinveste e assume, chiesta dal mondo delle imprese e da Forza Italia, insieme all’innalzamento del tetto di reddito dipendente per la flat tax, misura bandiera della Lega.

Nelle due ore di riunione con gli alleati – in un clima che viene descritto come tranquillo – Giorgia Meloni insieme a Giancarlo Giorgetti definisce i margini di modifica alla legge di bilancio. Che si punta a chiudere in tempi stretti, entro Natale. Modifiche che vanno incontro alle richieste dei partiti ma nei limiti di una coperta che resta, comunque, piuttosto corta. Se la Lega chiedeva, quindi, un aumento da 30mila a 50mila euro del tetto del reddito da dipendente sotto il quale si può accedere alla flat tax si deve accontentare di un incremento a 35mila euro.

Per quanto riguarda l’Ires premiale l’ipotesi – secondo quanto riferiscono alcune fonti – sarebbe quella di ridurre l’aliquota al 24% tra i 3 e i 5 punti, con un costo massimo di 400 milioni che verrebbe in parte coperto da banche e assicurazioni. FdI, dal canto suo, incassa la flat tax al 5% sugli straordinari degli infermieri e la riduzione del minimo contributivo per i nuovi artigiani e commercianti. Le risorse, del resto, sono limitate. E dunque, nonostante lo sforzo messo in campo con il concordato e con quello bis, che si chiude giovedì, non c’è spazio per ora per l’abbassamento di due punti della seconda aliquota Irpef dal 35 al 33%. Un punto fermo messo in chiaro nel vertice servito per mettere in sicurezza il percorso della manovra in Parlamento dopo lo scontro sul canone Rai e le polemiche degli ultimi giorni proprio sul concordato.

Nella riunione a Palazzo Chigi, tra l’altro, è presente anche il viceministro all’Economia Maurizio Leo sotto attacco nei giorni scorsi da parte della Lega per le lettere inviate dell’Agenzia delle entrate alle partite Iva, definite da Matteo Salvini “dai toni inquisitori”. Vicenda chiusa, almeno per il momento. Mentre la Lega, uscita sconfitta nello scontro con FI sul canone Rai, la spunta su un’altra battaglia storica: quella per l’annullamento delle multe da 100 euro per chi non ha ottemperato agli obblighi vaccinali al tempo della pandemia Covid. Nel milleproroghe approvato in Cdm si prevede addirittura di rimborsare quanti le abbiano già pagate. Tra le novità che entreranno nella legge di bilancio e che vengono confermate dal vertice di maggioranza anche l’esenzione dalla stretta sul turn over per le forze dell’ordine, gli enti locali, il personale Ata e i ricercatori.

E una misura promossa da FdI per il riconoscimento del sostegno economico agli specializzandi dell’area non medica, che potrebbe sbloccare la retribuzione del tirocinio per specializzandi come odontoiatri, psicologi, fisici, chimici, veterinari, farmacisti e biologi. Restano sul piatto ancora alcune norme che potrebbero entrare nel corso del dibattito in commissione. Tra queste la dote familiare di 500 euro per le attività extrascolastiche per i figli ma anche il voucher per le scuole paritarie così come l’innalzamento delle detrazioni per le spese scolastiche da 500 a 8mila euro, sul quale Noi Moderati è in pressing.

Domani alle 15 è prevista una nuova riunione sulla manovra, questa volta con i relatori del provvedimento, il presidente della commissione Bilancio della Camera, il Mef e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani: obiettivo definire più nel dettaglio le nuove misure. Da mercoledì poi si dovrebbe iniziare con le votazioni. Nel frattempo è aperto il confronto tra le opposizioni sulle – poche – risorse destinate alle minoranze della quota per le modifiche parlamentari. Si tratta di 50 milioni del tesoretto di 120 milioni previsto dalla legge di bilancio. Non è certo che i partiti di opposizione si compattino su una sola misura come accadde per lo scorso anno. M5s – viene infatti spiegato – potrebbe smarcarsi dagli altri con una indicazione diversa per la propria quota.

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