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Esteri

La Francia ha perso la testa, la polizia arresta 150 ragazzini e li tiene sotto la minaccia delle armi. Parigi blindata, un portavoce dei gilet gialli in piazza domani: non venite, si temono morti

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La quarta manifestazione dei “gilet gialli” che si terrà domani a Parigi e nel resto della Francia fa paura. Si temono gravissimi incidenti. C’è anche chi ha invocato legge marziale per fermare un colpo di Stato. Certo è che la democrazia a Parigi è messa dura prova. Ad alimentare la tensione che è già altissima ora c’è un video che provoca indignazione e  proteste. É stato diffuso dall’account Twitter “Violences policières”. Un sito che però registra  casi di possibili abusi da parte delle forze dell’ordine. Va verificato e va compreso. Il video mostra l’arresto di 151 liceali, tra i quali molti minorenni, a Mantes-la-Jolie, una cittadina di periferia a una cinquantina di chilometri a nord-ovest della capitale. Si vedono i ragazzi messi in fila, in ginocchio, con le mani dietro la nuca, alcuni faccia al muro, sotto il controllo dei poliziotti che hanno armi spianate. L’immagine evoca tutto eccetto che una democrazia evoluta e compiuta qual è sicuramente quella francese. In questo video si sente chiaramente un uomo pronunciare la frase “Voilà une classe qui se tient sage» (ecco una classe che si comporta bene), mentre sullo sfondo un poliziotto raccomanda di non abbassare la testa e guardare davanti. Secondo alcune testimonianze i ragazzi sono stati costretti a rimanere in quella posizione per ore.

I ragazzi appartengono a due licei di Mantes-la-Jolie che dista 500 metri l’uno dall’altro, il Saint Exupéry e il Jean-Rostand. Da martedì erano i corso incidenti e scontri con le forze dell’ordine, con cassonetti della spazzatura incendiati e sassaiole contro i poliziotti che hanno risposto con i gas lacrimogeni, nell’ambito di una protesta dei licei che sta portando a centinaia di occupazioni in tutta la Francia. Da oltre un anno molti studenti contestano la riforma della scuola superiore e dell’accesso alle università, e il movimento dei “gilet gialli” ha ridato spinta alle loro rivendicazioni. A Mantes-la-Jolie ieri sono state date alle fiamme due auto, ammassate bombole di gas che per fortuna non sono esplose, e lanciati di nuovo sassi contro i poliziotti, che alla fine hanno deciso di fermare tutti i liceali trovati per strada. “Queste immagini sono impressionanti ma nessun ragazzo è stato ferito né maltrattato, e non abbiamo registrato alcuna denuncia”, ha detto il prefetto del dipartimento delle Yvelines, Jean-Jacques Brot.

Molte reazioni sono indignate. Gli aggettivi si sprecano: agghiacciante, inammissibile, vergognose, umilianti. La polizia dovrà rendere conto in Parlamento per quelle immagini. Non hanno alcun giustificazione. Ora, però, ci si prepara allo sciopero di domani. La speranza è che sia una giornata di democrazia. Ma in Francia, grande democrazia, ci hanno abituato anche a grandi rivolte e a pagine di violenza.  Per domani, Parigi si preparava alla manifestazione tenendo saracinesche giù su Champs Elysées e dintorni, spettacoli cancellati e partite di calcio posticipate, misure eccezionali. E il portavoce dei moderati della protesta che ha paura che la cosa sia sfuggita di mano che dice: restate a casa temiamo morti.

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Esteri

Presidenziali in Cile: la comunista Jeannette Jara e il conservatore José Kast volano al ballottaggio

La candidata comunista Jeannette Jara e l’ultraconservatore José Kast si sfideranno al ballottaggio del 14 dicembre. Fuori la destra tradizionale, exploit del populista Franco Parisi.

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La corsa alla presidenza del Cile si restringe a due nomi: Jeannette Jara, candidata del Partito Comunista, e José Kast, rappresentante del Partito Repubblicano e figura di riferimento dell’ultradestra. Con il 40% dei voti scrutinati, gli analisti considerano irreversibile il vantaggio dei due candidati, destinati a sfidarsi nel ballottaggio del 14 dicembre.

Jara in testa, Kast subito dietro

Secondo i dati del Servizio Elettorale (Servel), Jara guida il primo turno con il 26,45% delle preferenze, seguita da Kast con il 24,46%. Una sfida polarizzata tra programmi opposti, a cui si aggiunge un inaspettato terzo posto: il populista Franco Parisi, che conquista il 18,62% superando sia la destra tradizionale di Evelyn Matthei che l’ultradestra di Johannes Kaiser.

Il Paese diviso in tre aree

Dai primi risultati emerge un Cile spaccato territorialmente:

  • Sud: forte presenza per Kast, che domina nelle regioni meridionali.

  • Area metropolitana: prevale Jara.

  • Nord: exploit di Parisi, capace di intercettare il voto scontento e antisistema.

La destra promette di ricompattarsi

Nonostante la divisione al primo turno tra Kast, Kaiser e Matthei, i commentatori osservano una schiacciante affermazione complessiva delle destre. Per il ballottaggio è già stata annunciata la convergenza: un sostegno reciproco che potrebbe favorire Kast nella corsa verso La Moneda.

Kast: terzo tentativo per il “duro” della politica cilena

Kast, dichiaratamente simpatizzante di Augusto Pinochet, tenta per la terza volta l’ingresso al palazzo presidenziale. Il suo programma punta sulla repressione della criminalità e sul contrasto all’immigrazione clandestina, temi centrali per l’elettorato cileno.

Matthei riconosce la sconfitta e appoggia Kast

Evelyn Matthei ha ammesso subito la propria uscita di scena, congratulandosi con Kast. Con il 27% dei seggi scrutinati, la leader della destra tradizionale è ferma al 13,07%. “Andrò personalmente al comitato elettorale di José Kast per congratularmi”, ha dichiarato.

Il Cile si prepara ora a un ballottaggio che riflette una polarizzazione profonda: tra la sinistra comunista e un’ultradestra determinata a riunificare il proprio fronte.

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Capire la crisi Ucraina

Trump annuncia nuove sanzioni: “Puniremo ogni Paese che fa affari con la Russia. Possibile l’inserimento dell’Iran”

Donald Trump annuncia una legge repubblicana per sanzionare “severamente” ogni Paese che faccia affari con la Russia e apre alla possibilità di includere anche l’Iran.

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Il presidente americano Donald Trump ha dichiarato che i repubblicani stanno lavorando a una nuova legge capace di introdurre sanzioni automatiche e “severe” contro qualsiasi Paese che intrattenga rapporti commerciali con la Russia. L’annuncio arriva direttamente dalla Casa Bianca, dove il leader statunitense ha parlato ai giornalisti chiarendo la direzione della politica estera americana.

“È stata una mia idea”: la linea dura del presidente Usa

Trump ha sottolineato che l’iniziativa nasce da una sua proposta: “Come sapete, l’ho suggerito io. Qualsiasi Paese che faccia affari con la Russia sarà sanzionato severamente”. Una posizione che conferma l’orientamento sempre più duro dell’amministrazione verso Mosca, in un contesto internazionale già segnato da tensioni commerciali e militari.

Nella lista potrebbe finire anche l’Iran

Il presidente non ha escluso nuovi sviluppi: “Potrebbero aggiungere anche l’Iran”, ha affermato. Una possibilità che amplierebbe ulteriormente il raggio d’azione della legge e irrigidirebbe il confronto con Teheran, già nel mirino delle politiche restrittive dell’amministrazione americana.

Una mossa che accende il dibattito internazionale

Le nuove misure, se approvate, andrebbero a modificare in profondità i rapporti tra Stati Uniti e numerosi Paesi partner, con impatti diretti su scambi commerciali, equilibri diplomatici e sicurezza internazionale. Il dibattito, intanto, è già partito sia negli Usa sia nelle capitali che intrattengono ancora rapporti economici con Mosca.

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Zelensky in Europa: accordi con Grecia, Francia e Spagna per superare l’inverno di guerra

Zelensky torna in Europa e ottiene aiuti da Atene, Parigi e Madrid: gas per l’inverno, un accordo storico sulla difesa con Macron e nuovi sostegni dalla Spagna.

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Volodymyr Zelensky è tornato in Europa in uno dei momenti più difficili dall’inizio della guerra. L’offensiva russa prosegue, mentre gli aiuti Ue restano bloccati e quelli Usa dipendono dalle oscillazioni della politica di Donald Trump. In questo quadro di incertezza, Grecia, Francia e Spagna hanno scelto di tendere la mano all’Ucraina.

L’intesa energetica con la Grecia

Ad Atene, prima tappa del tour, Zelensky ha puntato tutto sull’emergenza energetica. Il governo di Kyriákos Mitsotákis ha assicurato una fornitura di gas da gennaio a marzo 2026, per un valore di due miliardi di euro. Il finanziamento sarà coperto grazie ai partner europei.

Il Gnl arriverà in Ucraina tramite la Grecia, ma la provenienza è americana: una triangolazione che divide la partita energetica con Washington. Atene, intanto, rafforza il ruolo di hub europeo del Gnl diretto verso l’Europa centrale e orientale.

Parigi prepara un accordo “storico”

La tappa decisiva sarà Parigi: Zelensky firmerà con Emmanuel Macron un «accordo storico» sulla difesa. I dettagli non sono ancora pubblici, ma il presidente ucraino ha anticipato un rafforzamento dell’aviazione da combattimento, della difesa aerea e di altre capacità militari.

Un passo avanti notevole della Francia, in una fase in cui il sostegno europeo a Kiev appare in stallo.

Madrid chiude il tour

L’ultima tappa sarà Madrid, altro partner considerato «forte» da Zelensky. In programma anche una visita al Reina Sofia, dove è esposto il Guernica di Picasso: nel 2022 Zelensky paragonò il massacro di Mariupol proprio alla tragedia della città spagnola.

La guerra continua senza sosta

Mentre Zelensky cerca sostegni in Europa, la guerra in Ucraina resta feroce. Mosca rivendica la conquista di due villaggi nella regione di Zaporizhzhia. A Pokrovsk gli ucraini resistono, ma in inferiorità numerica.

Secondo Kiev, negli ultimi sette giorni la Russia ha sganciato 980 bombe sull’intero Paese. Una sola notizia positiva sul fronte umanitario: il rilascio di 1.200 prigionieri ucraini dalle carceri russe.

L’appello alla pace

Dal Vaticano, Papa Leone XIV ha rinnovato il suo appello: «Non possiamo abituarci alla guerra e alla distruzione». Anche il presidente Sergio Mattarella, da Berlino, ha richiamato l’urgenza della pace.

Ma un negoziato appare lontano. Yuri Ushakov, consigliere di Vladimir Putin, ha confermato contatti con gli Usa basati sul vertice di Anchorage tra Trump e lo Zar. Un punto di partenza che potrebbe non favorire né l’Ue né Kiev.

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