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La fotografia napoletana, un giro per conoscerla in quattro tappe

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La scuola di strada che ha accompagnato in tutto il mondo i fotogiornalisti napoletani

Cominciare un lungo percorso a tappe è sempre molto difficile, si possono nascondere insidie, si può incappare in tragitti che sembravano agevoli, ma che possono rivelarsi spinosi, si può scegliere una strada, non rendendosi conto della bellezza e del valore di altre,  ma bisogna, in tutti i casi e sempre, che si parta, non solo per arrivare al traguardo, ma per cercare di arrivarci con le stesse forze e la stessa lucidità con le quali si da il primo colpo di pedale. In questo tour sulla fotografia napoletana, spero di non perdere la bussola, dalla quale mi farò indicare la strada per una analisi dello stato dell’arte in città e del suo recente passato.

Quindi, premesso che la Fotografia è una sola, ma ha al suo interno vari campi di intervento, dove i fotografi più si identificano e nei quali più operano anche per opportunità lavorative e di conoscenza, la prima tappa del nostro viaggio non poteva che partire da uno dei segmenti della fotografia più praticato in città e che vede impegnati da sempre un numero di fotografi che se si volesse stilare una classifica sarebbero  secondi, ma solo  per cifra ai colleghi del  settore cerimonialistico, principe assoluto in città e pioniere in Italia del quale parleremo nell’ultima tappa, proprio per omaggiarlo e tentare di chiudere un ipotetico cerchio su questo nostro tour.

Parleremo quindi di Foto-Giornalismo, che in una città come Napoli è l’equivalente di cronaca, cronaca nera e copertura quotidiana degli avvenimenti cittadini e dell’hinterland.

Immensa l’esperienza dei foto-giornalisti napoletani impegnati per la  copertura quotidiana dei pochi giornali che hanno animato il mercato editoriale cittadino. Il Mattino prima di tutto, ma poi il Roma, la Repubblica, il Corriere del Mezzogiorno, Cronache di Napoli, per elencare quelli ancora esistenti, ai quali si devono aggiungere Paese Sera, il Giornale di Napoli, l’Unità e le piccole parentesi, quasi inavvertite dell’Indipendente e della Voce di Montanelli. Pochi quotidiani, ma enorme bacino di fatti di cronaca, ai quali, i fotogiornalisti napoletani hanno dovuto tener fronte creando uno stile di ripresa e di relazioni inimmaginabile in altre città e realtà nazionali.

Dagli anni del pionerismo e delle guerre mondiali al terremoto del 1980

Cominciamo da un precursore del fotogiornalismo, partiamo dal fotocronista Ferdinando Lembo, che documenta la prima guerra mondiale tra le truppe e gli ufficiali del generale Diaz, ma del quale non sono stati più’ rinvenuti i negativi pare per una brutta storia di furti ed usurpazioni, come ci racconta il pronipote Gianmaria Lembo, collezionista e storico della fotografia fine ‘800 inizio ‘900. Il suo avo, Ferdinando Lembo, dopo la guerra diverrà un notissimo fotografo d’arte e dal quale partiremo nella prossima tappa per parlarvi della fotografia artistica napoletana. Vennero poi, nell’immediato prebellico della seconda guerra mondiale  Riccardo Carbone  e i fratelli Troncone, che insieme a Parisio, poi passato ad altri settori, hanno documentato la fase prebellica ed il dopoguerra,  costretti poi all’evacuazione dalla città, rimasero impossibilitati a riprendere gli orrori della guerra. In città rimasero i fotocronisti come lo era stato Ferdinando Lembo, ed  lo erano Antonio Beuf, del quale rimane un corposo archivio di proprietà sempre dello storico Gianmaria Lembo e Alfredo Foglia, capostipite che vedrà il figlio, anch’esso Alfredo e oggi Pio, fotografi del Museo Archeologico Nazionale e fotografo di moda il secondo. Foglia  seguiva il corpo dei Vigili del Fuoco al quale sono rimasti, pare ancora secretati,  tutti i negativi del fotogiornalista, anche in virtu’ di un accordo che prevedeva il silenzio piu’ propiamente detto “censura” sugli accadimenti e le sconfitte e le distruzioni che gli alleati infliggevano al regime, difficilmente ha potuto mostrare qualche stampa.  C’erano anche i  giovani fratelli Ruggieri, Antonio e Gabriele    (papà di Toty, il quale lascia il fotogiornalismo per entrare  nel settore della moda), al quale dedichiamo la controcopertina di questa prima tappa dove esprime il sorriso che ha sempre accompagnato il lavoro dei professionisti di questa città.  Gabriele Ruggieri fu attivo durante la documentazione dei bombardamenti, infatti  sono storici i suoi scatti della Basilica di  Santa Chiara distrutta dalle bombe, seguito poi nello scorrere degli anni dai fratelli Sansone, dai maestri  Caio Carruba e Luciano D’Alessandro e poi ancora da Mario Riccio e da Ciccio Iovane, che mise in piedi, la prima agenzia fotogiornalistica indipendente di Napoli, Alfa Press, rivolta al mercato nazionale e fucina di fotografi come, Antonietta de Lillo, Sergio del Vecchio, Gea Evangelista Enzo Barbieri, Massimo Iovane e Gianni Fiorito, quest’ultimo, oggi ricercato fotografo di cinema immancabile occhio fotografico di scena di Paolo Sorrentino. Ambiente cinematografico molto vivo anche in città, ambiente che ha affascinato anche altri due fotogiornalisti napoletani, Mario Spada e  Eduardo Castaldo. Ci piaceva utilizzare, per Alfa Press il termine  indipendente per distinguerla dall’ANSA che aveva e ha tutt’ora una redazione fotografica in città, che in quegli anni era gestita da Alfredo Monachella, poi dimenticata dalla Agenzia Nazionale fino agli anni ’90 quando è stata riattivata con Ciro Fusco e che si avvale della collaborazione esterna di Cesare Abbate.  Negli anni ’80 Massimo Cacciapuoti fotogiornalista di razza con tantissime pubblicazioni nazionali, con le sperimentazioni sulla fotografia di strada. Gia’ esplorava quella che sarebbe poi, in questi tempi, divenuta la tanto in voga street-photography.

Era la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, in questo contesto, caratterizzato dai fenomeni contrabbando, guerre di camorra, grandi fatti di cronaca  come la strage di via Caravaggio e ovviamente il terremoto in Irpinia, si consolidavano anche altre realtà fotogiornalistiche, come PressFoto e FotoSud, rispettivamente legate a Paese Sera e il Mattino, maggior quotidiano cittadino e allora attestato come uno dei più venduti quotidiani nazionali. PressFoto formata da Gaetano Castanò e Franco Esse, già guardava al mercato internazionale avendo stipulato un contratto di fornitura con la Associated Press, mentre invece FotoSud, formata da Guglielmo Esposito, Peppino di Laurenzio, Mario Siano e Antonio Troncone, rimaneva all’interno del mercato italiano, collaborando con Giacomino foto e poi con l’agenzia Contrasto. Queste due agenzie napoletane, oggi si puo’ dire che sono state la spina dorsale del fotogiornalismo di cronaca in città e il riferimento per tanti fotografi che hanno voluto intraprendere questa attività. Altre piccole realtà in quegli anni hanno tentato di penetrare questo settore, ma sono stati tutte sperimentazioni finite per l’egocentrismo dei protagonisti e per la presunzione di poter affrontare un strada  che presuppone sacrifici enormi sia familiari che relazionali che non tutti sono stati in grado di affrontare e portare a termine. All’ apice delle notizie in quegli anni vi è stato ovviamente il terremoto e la ricostruzione, e enorme impulso al foto-giornalismo che coniugasse cronaca e ricerca fu dato dal Mattino Illustrato, curato da Luciano D’Alessandro e dove hanno pubblicato i piu’ grandi fotografi italiani, indicando le linee ai colleghi napoletani che immediatamente recepirono e svilupparono, primo fra tutti Peppe Avallone, che divenne per vari anni il fotografo di riferimento in Italia per il prestigioso New York Times. A fine anni ‘80, inizio  anni ’90 con un naturale ricambio generazionale altre agenzie hanno intrapreso questo percorso, per lo piu’ nella provincia di Napoli e nel salernitano, come la Fornass di Salvatore Sparavigna, la Nouvelle Presse di Serena Santoro e del suo compagno Domenico Luciano Ferrara,  l’ AGN di Renato Carbone, Nino e Renato Nicois e poi di Stefano Renna e Ciro de Luca, ma la più attiva è certamente l’agenzia Controluce di Valeria Tondi e Mario Laporta anch’essa fucina di foto-giornalisti come Salvatore Laporta, Carlo Hermann, Roberta Basile, Roberto Salomone, Giulio Piscitelli, Francesco Pischetola, e tantissimi altri tra i quali  Antonio Gibotta vincitore di  un secondo posto in una sezione del World Press Photo, firmando le foto con il suffisso Controluce. La vetrina internazionale della prima metà degli anni ’90 fu certamente il G8 (che allora era ancora G7) al palazzo Reale, dove PressFoto, FotoSud, Controluce e i Free Lance napoletani, non si fecero trovare impreparati e si confrontarono sullo stesso piano delle grandi agenzie internazionali e dei fotografi accorsi in città da tutto il mondo, riuscendo ad offrire alle testate nazionali e internazionali un prodotto fotografico di altissimo livello. Gli stessi anni ’90 si chiusero, però con una tragedia immane quale l’alluvione di Sarno e dei paesi limitrofi, dove furono travolte dal fango più di 150 vittime. Anche in questa occasione i foto-giornalisti napoletani diedero prova di grande professionalità e di enorme sensibilità nel raccontare la tragedia, compiendo anche atti di soccorso e di salvataggio come quello di cui fu protagonista Ciro Fusco.

Gli anni d’oro e l’inizio della crisi dell’editoria foto-giornalistica che non significa crisi del fotogiornalismo

La cronaca è stata sempre il bacino nel quale si è sviluppato il talento dei fotogiornalisti napoletani, velocità di apprendimento, immediata reazione e analisi del momento e dell’evento, sintesi perfetta traslata nella  documentazione visiva sono le caratteristiche che hanno sempre accompagnato tutti coloro che hanno negli anni operato in questo settore in questa città,  La rete di relazioni costruita nel corso degli anni è stata alla base di un reciproco rispetto con le realtà, anche difficili, che sono state fotografate dai protagonisti del fotogiornalismo napoletano, queste le prerogative che poi si sono rivelate utilissime nei servizi realizzati all’estero in special modo  nelle zone più calde e ostili  del mondo

Tanti, imparato questo tipo di modus operandi, poi si sono incamminati sulle strade della ricerca e del servizio fotografico a lungo termine, come Francesco Cito, che partito da Napoli sul finire degli anni ’70  ha trovato la sua consacrazione a Londra per poi trasferirsi a Milano e continuare nelle sue ricerche per il mondo, come oggi ripercorre la stessa strada Pietro Masturzo,   vincitore assoluto di un World Press Photo nel 2010, che si è diviso per molto tempo tra Roma e Milano, città dove attualmente risiede.

Questo modus operandi, cosi duro, ma  cosi integrato nel tessuto sociale della città ha fatto si che in definitiva non ci fosse una scuola fotogiornalistica napoletana, come invece sono presenti a Palermo e Roma con Letizia Battaglia e Luciano Mellace, la storia napoletana è diversa, è fatta di mestiere rubato, dove i maestri c’erano, ma non insegnavano, anzi, aspettavano che l’allievo rubasse da loro, ma prima di tutto imparasse dalla strada, dagli ambienti dove si sarebbe trovato a riprendere, dalle persone che avrebbe potuto riprendere. Una caccia, dove il cacciatore è armato di macchina fotografica e la preda non deve farsi rubare l’anima.

Oggi, memori di queste durezze, i maestri, o coloro che vengono considerati tali, riescono con piacere a condividere, chi per mera economia, altri, invece solo perché credono nel passaggio dei saperi, consci che alla fine è il discente a fare la differenza e a formare, se vuole, il suo carattere.

Se il mercato cambia ci si attrezza per non cambiare e mantenere alto lo standard

Il mercato giornalistico è cambiato, gioco-forza è cambiato anche il mercato foto-giornalistico, dopo l’orgia del “siamo tutti fotografi”,  ora si registra un ritorno alla ricerca della qualità, con un mercato distributivo completamente trasformato e quindi stabilizzato su regole completamente diverse da leggere in termini globali e non più esclusivamente locali. Oggi ci si muove su piattaforme internazionali, tenendo ben presente la particolarità di una realtà territoriale molto forte e serbatoio inesauribile  di notizie a carattere nazionale e internazionale. Molte realtà si sono organizzate in co-working per ragioni di costi, ma anche di circuitazione delle notizie, ovviamente non di quelle esclusive, che continuano ad essere ancora le più appetibili e ricercate. Presso la Fondazione Foqus, si è costituito di fatto Il Distretto Foto-Giornalistico Napoletano, formato dalla Associazione fotografi professionisti KONTROLAB, dalla NewFotoSud, dal fotografo di Repubblica Riccardo Siano e dal fotografo del Cormezzo.  NewFotoSud è composta da Antonio Di Laurenzio, Renato Esposito, Alessandro Garofalo e Sergio Siano. In Kontrolab ci sono invece Roberta Basile, Alfonso di Vincenzo, Carlo Hermann, Mario e Salvatore Laporta.

Non è una storia di famiglie e il foto-giornalismo vivrà fin quando ci saranno giovani curiosi di conoscere e documentare il mondo

Avrete notato che sono ricorrenti alcuni cognomi, cognomi che di fatto sono di famiglie di fotogiornalisti e di fotografi anche di altri settori, forse anche per questo non c’è stato bisogno o esigenza di una scuola fotografica napoletana, forse, perché il mestiere si passava in famiglia, senza bisogno di inviare l’allievo in una bottega.

Carbone, Sansone, Troncone, Ruggieri, Siano, Castanò, , di Laurenzio, Jovane,  Esposito, Laporta, sono i nomi delle famiglie più attive sul mercato fotogiornalistico napoletano, ma anche internazionale, avendo alcuni di  loro lavorato per molti anni con capisaldo come  Reuters, Associated Press, Agence France Presse, GettyImages e i maggiori magazine esteri.

Un ambiente professionale che nel corso degli anni si è evoluto e ha fatto di tutto per portare l’immagine di Napoli nel mondo con la maggiore oggettività possibile, senza scadere nei facili sensazionalismi delle immagini che il mondo editoriale cercava per rinforzare una   rappresentazione della città stereotipata e la maggior parte delle volte denigratoria tout court, ma senza nemmeno le “ruffianerie” tese a nascondere la realtà per renderla più edulcorata. Pronti a denunciare, come nel caso della crisi dei rifiuti (come non si sta vedendo in questo periodo a Roma) ma anche solerti ad esaltare le eccellenze del territorio, (come per la metropolitana più bella del mondo, titolo acquisito dopo una inchiesta fotografica sulle metropolitane nel mondo) Un ambiente professionale duro, ma sempre attento ai rapporti interpersonali e attento alle esigenze di tutti, con un grande spirito di solidarietà e con grandi aperture di genere. Non poche sono state le fotogiornaliste che hanno affrontato questa attività tra le quali Emanuela Esposito (sì, della famiglia sopracitata) Paola Morandino, che non sono piu’ in attività, ma alle quali sono subentrate Sonia Mosca e la già citata Roberta Basile e prima ancora Annalisa Piromallo, Antonietta de Lillo (ora regista cinematografica) e prima ancora Marialba Russo. Il futuro prevede una maggiore presenza femminile in questa attività, oggi si registra, con l’entrata a regime da un po’ di anni del Biennio Specialistico in fotografia dell’Accademia di belle Arti di Napoli, una prevalenza di iscrizioni e tesi di laurea di allieve come Sara Petrachi, Manuela Ricci, Martina Chirico, Imma di Lillo che insieme a Carlo Belardo, Francesco Ferone,  vanno a rinforzare la pattuglia di giovani colleghi anch’essi laureati in fotogiornalismo come Piero Quaranta,  e i pluripremiati Sandro Maddalena e Alessio Paduano, ma anche Ciro Battiloro, che con i suoi reportage sui quartieri di Napoli continua la tradizione di strada partenopea.

Tutti giovani che a differenza del passato hanno di riferimento una scuola, una scuola che pero’ non dimentica la strada e l’apprendimento da dove tutti in passato hanno attinto, costruendo la più formidabile compagine foto-giornalistica di cronaca in Italia.

 

 

Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse, Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES. Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli. Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli. Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International. Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.

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Dalle macerie turche continua a spuntare la vita

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Dieci giorni schiacciati sotto i resti di un palazzo sbriciolato, poi il miracolo. Una madre e i suoi due bambini sono stati estratti vivi oggi dopo essere rimasti sepolti per 228 ore sotto le macerie di uno degli edifici che è crollato a causa del terremoto ad Antiochia, una delle città del sud est della Turchia più colpite dal sisma. La donna viene trasportata in barella da sei persone che camminano in punta di piedi tra i detriti dei palazzi sventrati, poi i soccorritori si abbracciano e riprendono le ricerche. Quasi contemporaneamente è stata tratta in salvo, dopo 227 ore sotto le macerie, una donna di 74 anni, Cemile Kekec, a Kahramanmaras, un’altra delle città più colpite dal sisma, dove in mattinata era stata salvata anche una 45enne. Sono oltre 8.000 le persone che in Turchia sono state estratte vive dai resti dei palazzi crollati con l’urto delle due scosse di terremoto che hanno colpito il sud est del Paese e varie province nel nord della Siria, dove oggi sono arrivati camion carichi di materiale medico inviati dall’Organizzazione mondiale della Sanità. “Molto più sostegno è necessario per soddisfare i bisogni sanitari essenziali di tutte le persone”, ha comunque fatto sapere il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus. Il bilancio delle vittime per ora ha superato le 41mila persone ma è destinato ad aumentare quando le ricerche si fermeranno mentre, in Turchia, i feriti sono in tutto più di 105mila.

I soccorritori continuano a lavorare anche mentre cala la notte, ma la zona colpita dal terremoto è incessantemente interessata da scosse di assestamento, ne sono state registrate 3.858 dal giorno del sisma, il 6 febbraio, di cui quasi 400 di magnitudo tra 4 e 5, e l’agenzia turca per l’emergenza e i disastri Afad ha definito la situazione “fuori dall’ordinario”. Gli edifici in parte crollati o rimasti fortemente danneggiati a causa del violento terremoto sono 50.576 e devono essere demoliti con urgenza, ha affermato il ministro dell’Ambiente turco Murat Kurum facendo sapere che le autorità hanno ispezionato finora più di 387.000 palazzi nelle dieci province del sud est anatolico colpite dal terremoto. La città di Gaziantep ha il maggior numero di edifici che necessitano di essere demoliti subito, quasi 12.000, seguita da Hatay (10.991) e Kahramanmaras (10.777). Mentre le ricerche vanno ancora avanti, la Turchia continua a ricevere solidarietà a livello internazionale dopo che oltre 100 Paesi hanno inviato aiuti fin dal primo giorno.

Il Regno Unito si è impegnato a fornire un nuovo pacchetto di aiuti da 25 milioni di sterline (28 milioni di euro) per le popolazioni della Turchia e della Siria colpite dal sisma, portando il totale stanziato da Londra a 42,8 milioni di sterline (48 milioni di euro). Domani il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg si recherà nella capitale turca per esprimere solidarietà da parte dell’Alleanza Atlantica mentre oggi il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan ha visitato Ankara per mostrare vicinanza dopo il sisma. La Turchia ha ringraziato l’Armenia definendo la visita “significativa”. Yerevan ha mandato 100 tonnellate di aiuti umanitari per la popolazione turca colpita dal sisma mentre una squadra di 28 soccorritori armeni è al lavoro nelle zone terremotate. Già la scorsa settimana, per permettere l’arrivo di aiuti alle regioni turche colpite, era stato aperto un valico sul confine turco-armeno, chiuso da 30 anni a causa delle relazioni problematiche tra Ankara e Yerevan per varie questioni, tra cui la negazione del genocidio armeno da parte della Turchia.

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Cultura

‘Ndocciata Agnone Patrimonio Unesco, il Governo ci crede | Fotogallery di Mario Laporta

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La ‘Ndocciata di Agnone (Isernia) ha incantato il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, e il sottosegretario Vittorio Sgarbi, entrambi ieri hanno assistito all’antico rito del fuoco impegnandosi a sostenere la proposta del comune, della Proloco e dell’Unimol affinché esso sia riconosciuto come patrimonio immateriale dell’Unesco.

“Una bella proposta – ha detto ieri Sangiuliano – sulla quale possiamo ragionare e, insieme, disegnare un percorso, ma si può fare anche molto di più per il Molise, per Agnone, per questo territorio, ma soprattutto per coloro i quali vengono da qui perché questo è un luogo di cultura, questo è un luogo che ha grandi tradizioni che meritano di essere valorizzate”. Poi è intervenuto Sgarbi con un post: “Il fascino della ‘Ndocciata di Agnone, in Molise. Cittadini sfilano, in una sorta di rito propiziatorio, con le fiaccole. Il bagliore dei fuochi squarcia il buio della notte e anima i vicoli. Tradizione che merita il riconoscimento dell’Unesco”. La ‘Ndocciata è già riconosciuta, dal 2011, Patrimonio d’Italia per la tradizione dal Ministero del Turismo. L’evento attira, infatti, migliaia di turisti e ieri, secondo i dati forniti dagli organizzatori, erano oltre 10mila nonostante il maltempo. Per le strade principali di Agnone hanno sfilato 1200 ‘ndocce portate in corteo da ‘ndocciatori e figuranti, circa 320 persone.

La preparazione delle grandi torce comincia nel mese di marzo, con la ‘martellata’, ovvero quando i carabinieri Forestali segnano gli abeti bianchi da abbattere: essi, dopo l’essiccazione, diventano parte della ‘ndoccia assieme ai rami di ginestra. Il rituale, pagano e cristiano, è sempre lo stesso dal 1956: i bambini aprono il corteo portando le fiaccole più piccole e poi è un crescendo, fino ad arrivare alle ‘ndocce a ventaglio alte fino a tre metri. Gli ‘ndocciatori arrivano dalle Contrade del paese: Sant’Onofrio, Guastra, Colle Sente, San Quirico e dai quartieri agnonesi Capammonde e Capaballe e indossano un mantello a ruota di panno nero. Durante il percorso sono incitati dai turisti, che si affollano ai lati delle strade, e loro regalano momenti di folklore. Il rito si conclude in Piazza Plebiscito con il grande falò della Fratellanza: ciò che resta delle ‘ndocce viene lasciato bruciare per cancellare tutte le cose negative dell’anno che sta per concludersi e accogliere la positività del solstizio. Si replica il 24 dicembre con la ‘Ndocciata ai cui partecipano tutti gli agnonesi prima del cenone della Vigilia.

La fotogalleria che ci propone Mario Laporta, ci traccia alcuni momenti della ‘Ndocciata un evento tradizionale che si svolge ad Agnone, comune dell’Alto Molise in provincia di Isernia noto per la sua millenaria produzione di campane, La ‘Ndocciata è la “tradizione natalizia legata al fuoco” più imponente che si conosca al mondo, una  suggestiva processione di fiamme e scintille, che parla di una lunga, eterna emozione che si deve vivere, per poterla capire e apprezzare nel suo senso più profondo. Come recita anche il sito ufficiale della manifestazione “L’origine della tradizione del fuoco che “infiamma” la Vigilia di Natale ad Agnone si perde nella notte dei tempi.

Da principio la ‘Ndoccia (fonema dialettale che sta per ”grande torcia”) faceva parte certamente della ritualità pagana legata alla scadenza solstiziale del 21 dicembre. E’ noto infatti l’antico legame che l’uomo ha con il fuoco, ritenuto sin dall’alba della sua comparsa come fonte primaria di vita, elemento fecondatore e purificatore della natura; al pari sono noti agli studiosi i fuochi rituali che dalla Persia alla Normandia, dalla Russia al Galles, gli antichi abitatori dell’Europa e del vicino Oriente accendevano in onore del Dio Sole durante la notte più lunga dell’anno. Anche gli antenati degli attuali abitanti di Agnone, gli Osci e i temibili Sanniti che per secoli contesero a Roma il dominio dell’Italia centro meridionale, erano legati al fuoco, ai suoi significati e alle sue suggestioni. E’ da questo legame che deriva certamente la tradizione ultra millenaria del fuoco solstiziale che in Agnone, nel cuore dell’Appennino abruzzese-molisano, si è evoluta nella “‘Ndocciata”.

Rito dedicato al sole ed al suo ciclo annuale fatto proprio dal cristianesimo e divenuto per questo fuoco in onore al Dio che nasce, al Cristo Luce e Salvatore del mondo. Da documenti scritti si hanno testimonianze di questa tradizione magico-rituale fin dai primi anni dell’ ‘800. I padri-protagonisti di questa tradizione erano i contadini, un rito agreste dunque colmo di significati simbolici, parte del linguaggio della semplicità contadina. Ad esempio: “Mentre la ‘Ndoccia ardeva” si traevano auspici: se soffiava la “borea” si prevedeva una buona annata, al contrario se tirava il “vento” .

Se schioppettava andava bene, altrettanto se la fiamma era consistente: spari e fuochi, come ci insegna la storia delle tradizioni popolare, sono contro le streghe, considerate un vero e proprio male della società rurale. Anticamente, come oggi, la ‘Ndocciata di Agnone si svolgeva nella tarda serata del 24 Dicembre. Le maestose fiaccole, infatti, servivano con molta probabilità anche ad illuminare il cammino dei contadini che dalle zone rurali si portavano sino al paese per assistere alla messa natalizia di mezzanotte. Ma in che modo nei tempi più recenti si è arrivati a quello che è oggi la ‘Ndocciata?

Negli anni trenta del novecento ancora i contadini solevano sfilare spontaneamente per le vie del centro cittadino con in spalla ognuno la grande torcia fatta spesso con le proprie mani. Ma il secondo conflitto mondiale portò anche alla fine – o meglio ad una sospensione che rischiava di preannunciarla – di questa antica abitudine. La tradizione fu felicemente ripristinata nei primi anni cinquanta dalla Pro Loco di Agnone che, per incentivare la partecipazione all’iniziativa, organizzò una gara con premi. Da allora possiamo dire che per la ‘Ndocciata fu un crescendo continuo in imponenza del rito e attaccamento degli Agnonesi ad esso. Oggi il 24 Dicembre è un giorno simbolo della tradizione Agnonese e un appuntamento irrinunciabile per migliaia di turisti che provengono da ogni dove.”

 

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Cultura

La scuola di Scultura dell’ABANA insieme all’Orientale ospitano tre artiste Giapponesi al parco archeologico dei Campi Flegrei

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La Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti di Napoli ha ritenuto proficuo apporre una riflessione laterale allo studio dell’antico, invitando tre artiste che meglio si contraddistinguono in ambito internazionale per la produzione scultorea e performativa oggi. Con il progetto Magma vivo nell’arte contemporanea giapponese si intende condividere l’attività scultorea di tre talenti che in pratiche differenti hanno narrato negli ultimi 40 anni le dinamiche sociali e politiche in terra nipponica. Le artiste Noriko Ambe, Aoki Noe e Yoshiko Shimada interagiranno con gli studenti della scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti di Napoli per la creazione di site specific da inaugurare al Parco Archeologico di Cuma e al Tempio di Serapide di Pozzuoli. Le artiste avranno il sostegno di un gruppo selezionato di studenti di lingua e cultura giapponese dell’Università di Napoli L’Orientale, che, oltre a facilitare la comunicazione dal punto di vista linguistico, parteciperanno al processo creativo. Noriko Ambe ha individuato nel materiale cartaceo la continuazione divinatoria del valore simbolico affidato alla carta: del resto, foneticamente, in giapponese la parola carta e la parola dio si equivalgono. Le opere di Ambe sono stratificazioni che si innestano fino a diventare nervature, modellate metaforicamente da uno stato di lavorazione capillare, come fossero emerse dagli eventi naturali, fino a diventare oracolo e premonizione, salvezza sperata e radicamento di virtù culturali ed estetiche. L’opera di Ambe installata al Parco Archeologico di Cuma. Aoki Noe tratta il ferro come la pratica fine della creazione a cesello, in cui ogni singolo pezzo, forgiato alla misura stabilita, crea una composizione monumentale senza trascurare mai il dettaglio. Ologramma reale di una costruzione precaria, ma al tempo stesso profonda e forte. Radicate ed eteree, le sue opere trafiggono lo sguardo dello spettatore e sconfinano oltre la forma intesa, per aprire nuovi campi e nuove interferenze scultoree mai viste o percepite. L’opera di Aoki è visibile al Tempio di Serapide di Pozzuoli. Yoshiko Shimada è una Performer di lunga data, che analizza la storia recente per recuperare e riscattare le pagine strappate alla memoria collettiva. Una dinamica ricostruzione, una potente rappresentazione del reale, che restituisce alla storia, svelandole, le verità occultate. Senza mai lasciare al caso o omettere un singolo frammento dell’esistenza umana, Shimada conferisce materialità e potenza alle lotte per l’eguaglianza e per i diritti. La Performance è in mostra al Parco Archeologico di Cuma. Il progetto proposto dall’Accademia di Belle Arti di Napoli è realizzato con la collaborazione dell’Università di Napoli L’Orientale, l’ISMEO — Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente, il Parco Archeologico dei Campi flegrei, il MANN e l’Altro Giappone. Sono importanti partner nella realizzazione del progetto la Camera di Commercio Italiana a Tokyo, Fonderia Nolana, Berni spa, Le Associazioni Aporema onlus, Napoli è donna, Tempio Macellum e la Scuola di Fotografia e Didattica dell’Arte dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Il progetto si svolge sotto forma di workshop nei laboratori della Scuola di Scultura dal 24 al 28 Ottobre e sarà inaugurato il 29 Ottobre all’auditorium del Mann alle ore 10:00,  al Parco Archeologico di Cuma alle ore 12:00 e al Tempio di Serapide di Pozzuoli alle ore 15:00.

Le opere saranno fruibili al Parco Archeologico di Cuma e al Tempio di Serapide di Pozzuoli dal 30 Ottobre al 29 Novembre 2022.

 

 

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