Un commovente abbraccio. E la dichiarazione d’amore per la sua amata Angela. Sono stati alcuni dei momenti più intensi della presentazione del libro “ATTESA/WAITING (dal /from1960)” di uno dei maestri internazionali della fotografia Mimmo Jodice.
Atteso da due anni il volume, un libro non solo fotografico ma antologico e ricco di documenti, scritti, articoli, locandine e manifesti prodotti dal grande autore e dai tantissimi che hanno scritto dell’artista/fotografo napoletano, è stato presentato al Museo MADRE da Laura Valente, Presidente della Fondazione Donnaregina, Andrea Viliani, Direttore del Madre e co-curatore del volume, Anna Cuomo, co-curatrice e Ester Coen, durante un incontro/happening/festa condotto dall’ex giornalista RAI Enrico Deuringer per Scabec.
Un libro, edito dalla casa editrice Electa, dove la vita dell’artista napoletano viene esposta, raccontata dallo stesso Jodice e dai tanti personaggi che hanno scritto di lui nel corso di una carriera che comincia proprio negli anni ’60 e che ancora continua regalandoci pezzi d’arte fotografica e indirizzi di vita che ci conducono verso la curiosità, il rigore, la sperimentazione e la ricerca continua, che sono i principi fondamentali per poter affrontare l’arte fotografica.
Noi questi consigli li seguiamo, il Maestro è riuscito a realizzarli.
“Le foto si cercano, non si trovano per caso”, innumerevoli volte ho espresso questo concetto, ovviamente prendendolo a prestito, ma sempre citando Mimmo Jodice che della ri/cerca della luce ha sempre fatto il suo obiettivo primario.
Vibranti gli interventi dei relatori, come i saluti emozionati della Presidente della Fondazione Donnaregina, Laura Valente, che ha salutato il maestro con il calore della profonda amicizia che li lega, iniziati con l’accorata biografia umana e professionale del Direttore del Madre, passaggio fondamentale per capire l’opera del Mimmo Jodice artista/fotografo e del Mimmo Jodice uomo di cultura e appassionato delle arti e della conoscenza.
Non temerari gli accostamenti a Caravaggio e Canova, anzi, sono stati la giusta lettura dell’opera fotografica di Jodice che ha conosciuto, fotografato e lavorato insieme ai più grandi artisti del secolo scorso e di quello in corso, Beuys, Warhol, Kounellis Rauschenberg, e gli accostamenti a Magritte, De Chirico, Sironi oltre ad una ipotesi di commissione fotografica per riprendere e re-interpretare in suoi pezzi richiesta da Canova sono solo alcuni dei punti dell’intervento di Andrea Viliani che ci hanno fatto ri/conoscere l’artista e l’uomo Jodice, sempre alla ricerca della luce e della sua visione di città e mondi che avessero orizzonti temporali infiniti, come egli stesso spiega mentre parla di sue campagne fotografiche delle quali orgogliosamente dice che sono volutamente senza data e senza riferimenti al tempo e ai segni che caratterizzano le epoche, inducendo il fruitore a non rendersi conto se quella foto sia stata scattata ieri, oggi o addirittura domani.
La gestazione e la nascita del libro è stata esposta dalla co-curatrice Anna Cuomo che ci ha illustrato il lavoro certosino profuso in un libro antologia, che comprende tutta la vita professionale fatta di altissime vette, ma anche di momenti nei quali bisognava rimboccarsi le maniche e continuare con la stessa passione iniziale per non disperdere l’enorme bagaglio artistico/umano che si era fin lì costruito. Ester Coen, che come altri autori ha preso parte ai testi del libro, ha espresso, crediamo anche a nome di tutti gli altri autori, l’orgoglio di aver potuto partecipare alla stesura di questa antologia seguita passo dopo passo da Barbara, la figlia del maestro.
Mimmo Jodice ha poi preso la parola, per ringraziare i presenti, (oltre 500 persone) e tutti coloro che gli sono stati vicino nel corso degli anni, ma il ringraziamento più sentito, come è naturale che fosse, è andato a sua moglie Angela, la sua metà, la sua musa, la sua compagna, senza la quale, ha detto il maestro “oggi non ci sarebbe questa festa e non ci sarebbe stato il mio lavoro”.
Come ha affermato Andrea Viliani nel suo intervento, Mimmo Jodice ha avuto la forza della famiglia sempre con se, tutte le volte che la mano e le cinque dita hanno impugnato la macchina fotografica, fatto pressione sul pulsante di scatto, girato le leve dei tempi e dei diaframmi. Le cinque dita, metafora di cinque importanti presenze come la sua famiglia sono state vicino a lui, Angela, Barbara, Francesco, Mimmo e Sebastiano, al quale è dedicata questa meravigliosa opera.
Mimmo Jodice. Attesa-Waiting (dal-from 1960). Edizione illustrata
Curatore: A. Viliani, A. Cuomo
Editore: Mondadori Electa
Anno edizione: 2018
In commercio dal: 7 dicembre 2018
Pagine: 656 p., ill.
Tutte le foto sono di Kleopatra Anferova/allieva del Biennio Specialistico in Fotografia dell’Accademia di Belle Arti di Napoli
Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse,
Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES.
Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli.
Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli.
Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it
E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International.
Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.
L’artista napoletano Antonio Nocera ha recentemente svelato la sua nuova opera d’arte, intitolata “Xenia”, un’installazione site-specific situata nella hall dell’iconico Sina Bernini Bristol di Roma, un simbolo dell’hotellerie di lusso da 150 anni. Commissionata da Bernabò e Matilde Bocca, presidente e vicepresidente del gruppo Sina Hotels, l’opera interpreta con sensibilità il tema dell’accoglienza, valore che caratterizza la storia della famiglia Bocca da tre generazioni.
L’opera “Xenia”: simboli di ospitalità e trasformazione
Realizzata in bronzo e tecniche miste su legno e plexiglass, l’opera “Xenia” fonde materiali e simboli profondi: le farfalle, che rappresentano la libertà e la trasformazione spirituale; le conchiglie, emblema della casa e simbolo del gruppo Sina Hotels; e la figura femminile, richiamando l’importanza ancestrale delle donne. Il nome “Xenia”, derivato dall’antica Grecia, esprime il concetto di ospitalità sacra, in cui l’accoglienza era considerata un atto sacro poiché si credeva che gli ospiti potessero celare entità divine.
Un dialogo tra arte e spazio
L’opera, presentata all’interno di una struttura che ha recentemente subito una ristrutturazione nel 2021 ed è entrata nella Autograph Collection, si armonizza con i dettagli d’arredo realizzati su misura. Oltre a “Xenia”, i visitatori possono ammirare anche l’affresco “The Birth of Baroque” di Adalberto Migliorati, che celebra i capolavori del celebre artista Gian Lorenzo Bernini.
Progetti futuri
Durante l’evento di presentazione, Antonio Nocera ha rivelato di essere già al lavoro su una nuova serie di dipinti che saranno esposti al Sina Villa Medici di Firenze, sottolineando il legame speciale che ha con la città.
Questa opera non solo arricchisce l’esperienza dei visitatori dell’hotel, ma offre anche una web-app gratuita per esplorare i cenni storici legati a Bernini e un itinerario virtuale per visitare le opere d’arte dal vivo, unendo tradizione e innovazione tecnologica.
Il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere, scoperto nel 1922, è uno dei più importanti templi dedicati al culto di Mitra in tutto il mondo. Situato vicino all’Anfiteatro Campano e al Museo Archeologico dell’antica Capua, rappresenta una testimonianza unica del mitraismo, un culto misterico molto diffuso durante l’Impero Romano.
La diffusione del culto di Mitra a Capua
Il culto di Mitra giunse a Capua durante il II secolo d.C., probabilmente portato dai gladiatori orientali che praticavano il mitraismo. Questo culto, di origine persiana, si era diffuso in tutto l’Impero grazie ai soldati romani stanziati nelle province orientali. Capua, con la sua vivace comunità gladiatoria, divenne un importante centro per il mitraismo, grazie anche alla presenza dell’Anfiteatro Campano, uno dei più grandi dell’epoca.
La struttura del Mitreo
Il Mitreo si trova in una struttura sotterranea, tipica dei templi mitraici, accessibile tramite una rampa di scale. La sala principale, lunga circa 12 metri, ha una volta a botte e lungo le pareti laterali sono presenti i posti a sedere per gli adepti. Il cuore del tempio è la raffigurazione della Tauroctonia, un affresco in cui Mitra viene rappresentato nell’atto di sacrificare un toro, simbolo di rigenerazione e fertilità.
Il simbolismo della Tauroctonia
La Tauroctonia è il simbolo centrale del culto mitraico. Nell’affresco, Mitra, vestito con un mantello svolazzante e il tipico berretto frigio, uccide un toro sacro con un pugnale. Intorno a lui sono rappresentati diversi elementi simbolici: il Sole, che osserva la scena, e i Dadofori, Cautes e Cautopates, che simboleggiano il ciclo del giorno e della notte. La scena è completata da animali come il cane, lo scorpione e il serpente, che aiutano Mitra nella sua impresa.
Funzione del Mitreo e i riti misterici
Il Mitreo era il luogo dove si svolgevano i riti misterici legati al culto di Mitra. Solo gli uomini potevano partecipare a queste cerimonie, che prevedevano un’iniziazione articolata in sette fasi. L’atmosfera del tempio, con la sua volta stellata e i lucernari che lasciavano filtrare la luce, creava un ambiente mistico che richiamava la grotta in cui, secondo il mito, Mitra aveva ucciso il toro.
Il declino del Mitraismo
Il Mitraismo raggiunse il suo apice tra il II e il IV secolo d.C., ma iniziò a declinare con l’avvento del Cristianesimo. Sebbene fosse un culto molto diffuso tra i soldati romani e le classi popolari, non riuscì a competere con la crescita del Cristianesimo, e fu definitivamente soppresso con l’imperatore Teodosio nel 394 d.C. Oggi, il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere rimane uno dei templi meglio conservati, offrendo una finestra unica su questo antico culto.
Importanza archeologica e turistica
Dal 2014, il Mitreo, insieme all’Anfiteatro Campano e al Museo Archeologico dell’antica Capua, è gestito dal Polo Museale della Campania, attirando visitatori e studiosi da tutto il mondo. La sua rilevanza storica e culturale lo rende una tappa imperdibile per chi vuole esplorare le radici del Mitraismo in Italia.
Il mondo della techno napoletana ha perso uno dei suoi padri fondatori, Rino Cerrone (nella foto a sx assieme a Capriati) , scomparso all’età di 52 anni. Il celebre produttore e DJ, considerato una leggenda nel panorama internazionale del nightclubbing, ha lasciato un segno indelebile nella scena musicale. Joseph Capriati, uno dei suoi più noti discepoli, ha espresso il proprio dolore sui social, ricordando Cerrone come un maestro e un amico, capace di supportarlo nei momenti difficili e di insegnargli tutto sulla musica.
L’eredità musicale di Rino Cerrone
Cerrone, nato nel 1972, ha influenzato generazioni di DJ, tra cui Marco Carola, Danilo Vigorito, Markantonio e lo stesso Capriati. Insieme, questi artisti hanno proiettato la scena techno napoletana sul palcoscenico internazionale. I set di Cerrone erano caratterizzati da una fusione unica di techno e progressive, con sonorità che mescolavano la precisione della techno tedesca, la magniloquenza di quella svedese e l’energia del rave londinese. Il suo stile, pur complesso, aveva radici profonde nella cultura partenopea, con un approccio che riusciva a fondere ritmi serrati ed eleganza.
Una carriera globale, ma con il cuore a Napoli
Durante la sua carriera, Cerrone ha girato il mondo, suonando a Berlino, Amsterdam, Giappone e Sudamerica. Nonostante il suo successo internazionale, ha sempre mantenuto un legame speciale con Napoli, partecipando regolarmente a eventi locali. La sua techno era apprezzata per la sua raffinatezza e la capacità di coinvolgere il pubblico con un ritmo travolgente e una tecnica impeccabile, come dimostrato dai suoi set con tre piatti che sfumavano i confini tra i generi.
Il rapporto speciale con Joseph Capriati
Il legame tra Joseph Capriati e Cerrone era quello di un fratello maggiore e maestro. Capriati ha ricordato come da giovane lo considerasse un idolo, aspettando ore solo per assistere alle sue performance all’Old River. Il loro legame si è trasformato in una profonda amicizia, con Cerrone sempre pronto a offrire supporto e consigli, tanto da diventare una figura di riferimento nella vita e nella carriera di Capriati.
Il lutto nella club culture
La scomparsa di Cerrone ha lasciato un vuoto enorme nella scena della club culture. Mentre il dolore è palpabile tra i colleghi e fan, il ricordo della sua musica e della sua persona continuerà a vivere, come desiderava lo stesso Cerrone. Nonostante la tristezza, è probabile che i fan lo onoreranno facendo ciò che lui amava di più: ballare.